RELAZIONE

della Commissione Governativa di indagine

sulle quote-latte istituita ai sensi dell'art.7

d.l. 31 gennaio 1997 n.11

 

INDICE

 

PARTE I^: LE PREMESSE

 

1.       La materia agricoltura tra Unione europea, Stato e Regioni

1.1     La competenza esclusiva della UE nella materia agricoltura.

1.2     La primazia del diritto comunitario.

1.3     La competenza delle Regioni.

1.4     La responsabilità dello Stato davanti alla UE.

1.5     Gli "obblighi" del Parlamento e delle Assemblee regionali.

 

 

 

PARTE II^: LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA

 

2.       La politica comunitaria nel settore lattiero-caseario

2.1     L'Organizzazione comune del mercato del latte (1964) ed il prelievo di corresponsabilità (1977).

 

3.       L'introduzione del regime delle quote-latte e la sua evoluzione

3.1     Il prelievo supplementare di corresponsabilità (1984):  la quota-latte nazionale.

 

4.       La quota-latte

4.1     La quota latte come bene patrimoniale dell'azienda dell'allevatore.

 

5.       Punti fondamentali della normativa comunitaria

5.1     Il contenuto principale dei Regolamenti comunitari nn.856/84 e 3950/92.

5.2     Le "formule" del pagamento del prelievo e la "compensazione naturale" nel sistema di formula B.

5.3     La scelta italiana della formula A combinata con l'elevazione dell'Associazione di produttori a "produttore unico",

5.4     Il "controllo" della commercializzazione del latte da parte di un organismo centrale.

 

6.       L'attuazione italiana della normativa comunitaria sul settore lattiero-caseario

6.1     Premessa

6.2     Il "censimento" della produzione lattiera nell'anno 1983 affidato all'Associazione italiana allevatori (AIA).

6.3     La "gestione" delle quote latte affidata all'Unione nazionale tra le associazioni di produttori di latte bovino (UNALAT).

6.4     I contrasti tra i funzionari amministrativi del MAF ed i Ministri dell'agricoltura: la procedura per danno erariale davanti alla Corte dei Conti e la sentenza 15 gennaio 1997 di "assoluzione" dei ministri Pandolfi e Mannino per il pagamento, per prelievo, di 77,5 miliardi per le campagne lattiere  1984-88.

6.5     La non-applicazione italiana della normativa comunitaria e la nostra "condanna" a pagare 3.620 miliardi, secondo l'Accordo Ecofin del 21 ottobre 1994.

6.6     I decreti MAF del 7 giugno 1989 n.258 e 30 novembre 1989 n.95 di attribuzione delle quote individuali; il d.l. n.391/1990 convertito nella legge n.48/1991 e la istituzione dell'anagrafe bovina affidata all'AIMA e formata attraverso l'UNALAT.

6.7     L'attribuzione sul bilancio dello Stato dell'onere del prelievo per gli anni 1987-1991. La legge n.468/92 e l'attribuzione della quota A (produzione individuale 1988-89) e della quota B (eventuale aumento di produzione tra il 1988-89 ed il 1991-92).

6.8     L'assegnazione delle quote da parte dell'AIMA: i tre bollettini AIMA per la campagna 1993-94; l'incarico al Consorzio controlli integrati in agricoltura (CCIA) ed il quarto bollettino AIMA per la campagna 1993-94; i due bollettini AIMA per la campagna 1994-95

6.9     Il controllo della produzione lattiera da parte delle Regioni secondo la normativa nazionale

6.10   Le modifiche parlamentari sovvertitrici del sistema delineato dalla legge n.468/92 e dal relativo DPR n.569/93: la rilevanza dei contratti associativi al fine della conservazione della quota; l'estensione, alle isole ed alle zone equiparate alle svantaggiate, dell'esenzione dalla riduzione della quota B; l'autocertificazione.

 

7.       Gli avvenimenti di quest'ultimo periodo.

7.1     L'Accordo formale UE ed Italia dell'11 aprile 1994.

7.2     L'Accordo Ecofin del 21 ottobre 1994 ed il riconoscimento italiano dello "sforamento" del QGG sulla base di dati stimati e non di dati effettivi: le osservazioni dell'Ufficio speciale della Corte dei conti presso l'AIMA e lo studio dell'Accademia Nazionale di Agricoltura e dell'Istituto di economia dell'Università di Bologna.

7.3     Il d.l. n.727/94 e gli emendamenti in sede di conversione: la legge n.46/1995.

7.4     Gli interventi giudiziari: le sentenze della Corte costituzionale.

7.5     Segue: la sentenza 28 dicembre 1995 n.520 della Corte costituzionale.

7.6     Il d.l. n.124/96 e la "sospensione" dell'efficacia dell'autocertificazione.

7.7     Le Commissioni d'inchiesta sull'AIMA e gli interventi del MiRAAF dell’ottobre 1996.

7.8     La Relazione della Commissione UE del 19 aprile 1995: il definitivo aumento del QGG attribuito all'Italia e le critiche al sistema italiano di affidamento all'UNALAT - cioè al controllato - delle funzioni di controllore della gestione delle quote.

7.9     Il "parere" del 20 maggio 1996 e la messa in mora dell'Italia in ordine al sistema di compensazione a livello delle Associazioni di produttori.

7.10   I decreti legge del 1995 e del 1996 più volte reiterati.

7.11   Il d.l. 31 gennaio 1997 n.11 convertito nella legge 28 marzo 1997 n.81

 

 

 

PARTE III^: LA VALUTAZIONE DELLA VICENDA

 

8.       Difformità tra normativa comunitaria e normativa italiana

8.1     L'anno di riferimento.

8.2     L'organismo di controllo.

8.3     La riserva nazionale.

8.4     Il sistema di compensazione.

8.5     La notifica, ai produttori, delle rispettive quote assegnate.

 

9.       Gestione delle quote

9.1     L'assegnazione delle quote individuali.

9.2     Il censimento AIA

9.3     La gestione delle quote da parte dell'UNALAT.

9.4     La gestione delle quote da parte dell'AIMA ed il ricorso ai Consorzi CCIA e CSIA.

9.5     Controlli incrociati dei dati AIMA - AIA - ASL.

9.6     Analisi dei dati dei bollettini

9.7     Segnalazioni pervenute

 

10.     Sistema di controllo

10.1   Il controllo legislativamente affidato alle Regioni e la sua sostanziale insussistenza.

10.2   Il coordinamento da parte dell'AIMA ed il suo carattere esclusivamente formale e di apparenza.

 

11.     Modifica del sistema di compensazione e retroattività

11.1   La compensazione a livello di Associazioni di produttori.

11.2   La compensazione a favore dei produttori non-associati.

11.3   Il d.l. n.440/96 e la compensazione nazionale con efficacia retroattiva per la campagna 1995-96 già decorsa.

11.4   La retroattività ed il principio (di diritto comunitario) dell'affidamento.

 

12.     Contratti aventi ad oggetto il trasferimento della quota senza azienda

12.1   La regola: la circolazione della quota non può avvenire senza l'azienda

12.2   L'eccezione: le ipotesi di circolabilità della quota senza azienda nel diritto comunitario.

12.3   La legislazione italiana sulla vendita e sull'"affitto" delle quote-latte senza azienda.

12.4   I sistemi italiani di trasferimento della quota senza l'azienda: i contratti di soccida.

12.5   Il contratto di comodato della stalla e della quota; il contratto di società unius acti con conferimento della quota.

12.6   La visita ispettiva della Commissione UE del 14 novembre 1994.

 

13.     Piani di sviluppo e di miglioramento e premi di insediamento per giovani allevatori

13.1  I piani di sviluppo.

13.2   I giovani allevatori.

 

14.     Irregolarità nella richiesta di quote

14.1   Varie ipotesi di irregolarità.

 

15.     Considerazioni conclusive

15.1   Le responsabilità nella gestione delle quote.

 

 

 

PARTE IV^: LE PROPOSTE

 

16.       Iniziative sul piano interno

16.1     Premessa.

16.2     L’anno di riferimento e assegnazione delle quote per la campagna lattiera 1997-98.

16.3     La regionalizzazione della gestione e del controllo delle quote, organismo statale di coordinamento e di controllo, riserva nazionale.

16.4     Ancora sull’organismo statale di direzione, coordinamento e controllo.

16.5     La notifica personale ai titolari di quota del loro QRI.

16.6     La cessione delle quote.

16.6bis La dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri.

16.7     La compensazione per la campagna lattiera 1995-96 e per la campagna lattiera 1996-97: a) gli interventi sul piano comunitario.

16.8     segue: b) gli interventi immediati sul piano interno.

16.9     Un possibile sistema di contrasto: indicazioni per una politica di prevenzione e repressione delle condotte illecite nel settore delle quote latte.

16.10   Attuazioni informatiche.

16.11   Le azioni di responsabilità.

 

17        Iniziative sul piano comunitario.

17.1     Tutela delle produzioni che necessitano di latte nazionale.

17.2     Auspicio di modifica della normativa comunitaria per una doppia compensazione.

 

 

TESTO

 

 

PARTE I^: LE PREMESSE

 

 

 

1.       La materia agricoltura tra Unione Europea, Stato e Regioni

 

1.1     La materia agricoltura è di competenza dello Stato, della Comunità europea, ora Unione europea (art.38, Trattato di Roma) e delle Regioni (vari articoli degli Statuti speciali ed art.117 Cost.). Più precisamente, la disciplina dell'agricoltura è riservata alla competenza esclusiva della Comunità, senza che questo implichi illegittima "rinuncia" dell'Italia alla sua sovranità, dato il tenore dell'art.11 Cost. (Corte cost. 27 dicembre 1973, n.183).

 

1.2.    Per il principio di primazia del diritto comunitario (Corte giustizia 15 luglio 1964 in causa 6/64; Corte cost. 11 luglio 1989 n.389), le leggi nazionali incompatibili con un regolamento o con una direttiva dettagliata della Comunità tanto se successivi, quanto se antecedenti alla legge nazionale, non possono essere applicate dal giudice (Corte cost. 8 giugno 1984 n.170); ma non devono essere applicate nemmeno dalla pubblica amministrazione (Corte giustizia 22 giugno 1989, in causa 103/88), perché la ripartizione delle competenze tra Stato e Comunità fa sì che la norma interna difforme non possa venire "in rilievo" per la soluzione del caso. Sicché, qualora la P.A. applicasse una norma interna incompatibile con una norma comunitaria attributrice di diritti al cittadino, quest'ultimo avrebbe azione di risarcimento danni (Corte di giustizia 19 novembre 1991, caso Francovich, ma con riguardo ad una "omissione" dell'Italia nell'applicazione di una norma comunitaria), dato che il diritto comunitario derivato è, di regola, intrinsecamente atto a produrre effetti diretti sui rapporti giuridici tra gli Stati membri ed i loro amministrati. Anzi, va precisato che il principio in forza del quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili trova applicazione anche quando l’inadempimento contestato è riconducibile allo stesso legislatore nazionale, tutte le volte che, per lo stesso diritto comunitario, lo Stato non ha margini di valutazione e spazi di discrezionalità (Corte giustizia 5 marzo 1996, in cause C-46 e 48/93).

 

1.3.    Per il carattere esclusivo della competenza della Comunità in materia agricoltura, tutta la disciplina di tale settore economico potrebbe, in concreto, essere oggetto solo di provvedimenti comunitari e ciò non solo con riguardo ai rapporti di diritto pubblico (tra privati e P.A.), ma anche a quelli di diritto interprivato. Dovendosi tener presente che le disposizioni comunitarie, per esigenze organizzative proprie dell’Unione europea, possono legittimamente prevedere, nei Paesi membri, norme attuative di se medesime e, quindi, normative statali derogatrici perfino del quadro della normale distribuzione costituzionale delle competenze interne, salvo il rispetto dei principi costituzionali e inderogabili (Corte cost. 24 aprile 1996 n.126; e già Corte cost. 19 novembre 1987 n.399).

Tuttavia, i regolamenti comunitari richiedono talvolta delle integrazioni da parte degli Stati membri e, di regola, le direttive non sono dettagliate; cosicché residuano spazi di manovra a favore degli Stati membri.

E' a questo punto che, per quanto concerne l'Italia, scatta la ripartizione (interna) di competenza tra lo Stato e le Regioni, perché a quest'ultime, o in virtù dei rispettivi Statuti per quanto concerne le Regioni a statuto speciale o in forza dell'art.117 Cost. per quanto riguarda le Regioni a statuto ordinario, è stata attribuita la competenza legislativa, rispettivamente esclusiva o concorrente, nella materia dell'agricoltura. Peraltro, la legislazione di tutte le Regioni incontra sempre i limiti dei principi generali dell'Ordinamento e quelli derivanti dagli impegni internazionali e dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, nonché quelli derivanti dal principio di uguaglianza di trattamento dei cittadini italiani nei rapporti di diritto privato (Corte cost. 21 luglio 1972, n.154; Corte cost. 5 febbraio 1992, n.35); mentre la legislazione delle Regioni a statuto ordinario incontra l'ulteriore limite del rispetto dei principi fondamentali delle leggi dello Stato o, in difetto di leggi-quadro, di quelli che sono desumibili dalle leggi statali vigenti (art.17, legge 16 maggio 1970, n.281).

 

1.4     Nei confronti della Comunità, tuttavia, è lo Stato ad essere responsabile (Corte cost. 10 giugno 1988 n.632; 24 aprile 1996 n.126); cosicché, nell'ambito degli stretti spazi di manovra che le direttive (o i regolamenti non completi) lasciano agli Stati membri, è stato necessario disciplinare le modalità procedimentali degli interventi regionali  nelle materie oggetto di diritto comunitario derivato, distinguendo tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario; tra possibilità di immediata legislazione delle prime e  necessità per le seconde di attendere per un certo tempo la legge-quadro statale; tra valore suppletivo o sostitutivo della legge statale con riguardo alle lacune delle leggi regionali o all'assenteismo delle Regioni (art.9 legge 9 marzo 1989 n.86, c.d. legge La Pergola).

Tutto ciò non ha impedito che la giurisprudenza e la dottrina italiana abbiano da tempo sottolineato la rilevanza del ruolo assunto dalle Regioni nel processo di integrazione europea, dapprima affermando la legittimità del riconoscimento in via generale di un loro potere applicativo delle disposizioni comunitarie - salvi gli interventi dell’Autorità centrale necessari a garantire una uniforme attuazione delle norme della Comunità - e successivamente sostenendo l’importanza, in tali circostanze, della collaborazione tra le Regioni e gli organi centrali, al fine di superare la contraddizione logica tra il principio costituzionale di decentramento in materia di agricoltura e la responsabilità statale in ordine al puntuale adempimento degli obblighi comunitari, definendo con maggior chiarezza la posizione delle Regioni all’interno del rapporto Stato-Unione europea (Corte cost. 12 ottobre 1990 n.448; 13 dicembre 1991 n.453).

 

1.5.    La conseguenza fondamentale della supremazia del diritto comunitario è che il Parlamento italiano e le Assemblee regionali non possono introdurre norme che siano in contrasto con i regolamenti e le direttive dettagliate della Comunità, essendo certo che le norme incompatibili saranno disapplicate dal giudice e che i danni cagionati dai legislatori nazionale e regionali e dalla P.A. ai diritti attribuiti ai cittadini dalla Comunità dovranno essere risarciti.


PARTE II^: LA RICOSTRUZIONE DELLA VICENDA

 

 

 

2.       La politica comunitaria nel settore lattiero-caseario

 

2.1     Anche il settore lattiero-caseario è stato ed è oggetto della politica di intervento della Comunità, oggi Unione europea.

L'organizzazione comune in tale settore risale al 1964, anno in cui è emanato il primo regolamento comunitario nel settore del latte (Regol. n.13/64 del 5 febbraio 1964). Successivamente con il Regol. n.804/68 del 27 giugno 1968, conosciuto come il regolamento-base in materia, la Comunità prevede l'istituzione di una organizzazione comune di mercato (OCM) che concerne un certo numero di prodotti, quali latte e crema di latte freschi, latte e crema di latte conservati, burro, formaggi e latticini, lattosio e sciroppo di lattosio, nonché mangimi a base di latte preparati per animali.

Inizialmente la Comunità persegue l'intento di armonizzare le condizioni produttive esistenti nei diversi Paesi membri, di sostenere i redditi degli agricoltori e, più in generale, di dare attuazione agli obiettivi dell'art.39 del Trattato. Tuttavia, acquista subito importanza decisiva l'ulteriore finalità di limitare lo squilibrio fra offerta e domanda che caratterizza il mercato lattiero. La produzione lattiera tende, invero, a seguire ritmi di crescita che non sono in armonia con la domanda, assumendo, nel settore, sempre più consistenza il fenomeno delle eccedenze produttive. Per questo motivo, ben presto non appare più sufficiente una politica basata sull'adozione del sistema comunitario dei prezzi e sulla regolamentazione degli scambi internazionali attraverso misure di protezione alle frontiere e di sostegno delle esportazioni sul mercato mondiale. Ed allora la Comunità si trova costretta a sperimentare l'efficacia, anche sul mercato del latte, di tecniche di controllo della produzione.

Intorno alla metà degli anni settanta, infatti, l'offerta dei prodotti lattieri è cresciuta notevolmente in relazione all'impiego di tecnologie sempre più sofisticate comportanti un notevole miglioramento nel rendimento della capacità produttiva, mentre la domanda è rimasta sostanzialmente stabile. Il tentativo di compensare la sovrapproduzione orientando i produttori e i consumatori verso forme di consumo alternativo, nella speranza che un aumento della  qualità di alcuni prodotti determinasse il ridimensionamento della produzione in eccesso ed un maggior consumo, aveva avuto, infatti, una debole influenza sul mercato lattiero caseario.

La Comunità decide, allora, di dare avvio ad una tipologia di intervento che si spera più efficace: viene adottato un regime di premi per la non commercializzazione e per la riconversione delle mandrie bovine ad orientamento lattiero (Regol. n.1078/77 del 17 maggio 1977) e viene istituito un prelievo di corresponsabilità (Regol. n.1079/77 del 17 maggio 1977).

Il prelievo di corresponsabilità si fonda sull'idea di far partecipare i produttori al costo della gestione delle eccedenze, nella convinzione che "è opportuno stabilire una connessione più diretta tra la produzione e lo smaltimento dei prodotti eccedentari" (secondo considerando), data la dimensione ormai raggiunta dal fenomeno della sovrapproduzione nel settore. Il provvedimento adottato prevede che i produttori di latte paghino un "prelievo" per la quantità di latte consegnata all'impresa di trattamento o trasformazione, o da essi commercializzata direttamente.

Il suddetto provvedimento costituisce l'antecedente logico del regime delle quote, alla cui adozione si giungerà nel momento in cui il problema dello squilibrio del mercato lattiero non appare risolvibile con il solo ricorso alla suddetta misura, tanto da essere, poi, abrogata (Regol. n.1029/93 del 27 aprile 1993). Ancorché a posteriori si debba giudicare inadeguata a risolvere il problema della sovrapproduzione, tuttavia nel quadro della politica comunitaria del settore la misura del prelievo di corresponsabilità del 1977 avrebbe potuto giocare il ruolo di preparare i produttori lattieri agli ulteriori sacrifici ai quali, con l'introduzione delle quote di produzione, ben presto sarebbero stati sottoposti.

Intorno agli anni '80 il mercato lattiero-caseario conosce una crisi di notevole dimensione e manifesta uno "squilibrio cronico"; presenta, cioè, una produzione che tende ad aumentare più rapidamente del consumo interno e delle esportazioni (Corte dei Conti europea, Relazione n.2/87, p. 3: Allegato sub 1). La politica di sostegno dei prezzi è considerata la principale responsabile di tale progressivo allontanamento dalle reali tensioni del mercato, e della determinazione e dell'aggravamento di situazioni ormai diventate insostenibili.

La Comunità, allora, perviene alla decisione di instaurare il regime delle quote-latte con il Regol. n.856/84 del 31 marzo 1984 che, in modo quasi criptico, si limita a definire la nuova misura come "prelievo supplementare di corresponsabilità", quasi per un desiderio di nascondere la vera natura di intervento limitativo della attività produttiva degli allevatori, intervento che comunque viene definito "assolutamente di pubblico interesse" (ultimo considerando del coevo Regol. n.857/84) e che è espressamente dichiarato come limitato nel tempo.

 

 

 

3.       L'introduzione del regime delle quote-latte e la sua evoluzione.

 

3.1     L'organizzazione comune di mercato nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari risale, come si è detto, al Regol. n.804/68 del 27 giugno 1968, ma il sistema delle quote è introdotto con il Regol. n.856/84 del 31 marzo 1984 inizialmente per un periodo di cinque campagne e ciò allo scopo di mantenere sotto controllo la crescita della produzione lattiera pur permettendo gli sviluppi e gli adeguamenti strutturali necessari, tenendo conto della diversità delle situazioni nazionali, regionali o delle zone di raccolta nella Comunità.

Dal 1986 il regime delle quote è stato più volte modificato in modo sostanziale. Fissato inizialmente nel 1984, il volume globale dei quantitativi garantiti è stato ridotto nel 1986, poi nel 1987 e nuovamente nel 1991. Nel 1986 e nel 1991, in concomitanza con le riduzioni delle quote, il Consiglio ha stabilito un programma di aiuti all'abbandono definitivo della produzione lattiera e, nel 1987, un programma di indennità alla sospensione temporanea di una parte delle quote. Ma, nel 1989, sono state assegnate quote supplementari a due titoli: a) d'una parte, 600.000 t., a seguito di una sentenza della Corte di giustizia, destinate ad una determinata categoria di produttori detti "SLOM" (proveniente dall'olandese "slachtoffers omschakeling"= "vittime di riconversione"), che in passato si erano impegnati a non commercializzare il latte e i prodotti lattiero-caseari o a riconvertire le mandrie bovine ad orientamento lattiero e che, al momento dell'introduzione del regime delle quote, erano stati esclusi dall'assegnazione di quote individuali; b) dall'altra parte, 1.039.886 t. a seguito di  quattro regolamenti dell'11 dicembre 1990, noti come "pacchetto Nallet" che hanno aumentato dell'1% i quantitativi globali disponibili degli Stati membri, al fine di assegnare quote addizionali a taluni produttori "prioritari" per un volume equivalente, appunto,  all'1% dei quantitativi globali garantiti dalla Comunità.

Nel dicembre 1990 il quantitativo globale è stato aumentato di 6.599.880 t. per il periodo dal 1° aprile 1991 al 31 marzo 1992, per tener conto dell'unificazione tedesca. Nel giugno 1991 i quantitativi di riferimento globali garantiti di tutti gli Stati membri sono stati ridotti in modo lineare del 2% per tener conto dell'evoluzione del mercato del latte (da Relazione n.4/93 della Corte dei Conti europea, p. 15, nota 1: Allegato sub 2). Inoltre, il 21 maggio 1992, Spagna, Portogallo e Grecia hanno ottenuto un aumento di quota-latte del 10%; mentre il 27 maggio 1993 il Consiglio CEE ha aumentato, in via provvisoria (la conferma definitiva è del Regol. n.1552/95 del 29 giugno 1995), la quota-latte italiana di 0,9 milioni di tonnellate, subordinatamente al rientro in quota entro un anno.

Dalla Relazione n.4/93 della Corte dei Conti europea (p. 34) si ricava che all'Italia è stato riconosciuto un quantitativo globale garantito di 8.798.000 tonnellate per gli anni 1984/85, 1985/86 e 1986/87; di 8.600.600 tonnellate per l'anno 1987/88; di 8.373.100 per l'anno 1988/89; di 8.300.000 per l'anno 1989/90 e di 8.488.200 per l'anno 1990/91. Attualmente, per il Regol. n.1552/95 del 29 giugno 1995, il quantitativo globale assegnato all'Italia è pari a 9.930.060 tonnellate, di cui 9.632.540 per le "consegne" e 297.520 per le "vendite dirette".

 

 

 

4.       La quota-latte

 

4.1     Benché sia noto, ci sia permesso di ricordare in modo più specifico il sistema delle quote-latte. Ed invero, quello che interessa mettere in evidenza è che il "prelievo supplementare di corresponsabilità", introdotto dal Regol. 856/1984, consiste nel pagamento di una sorta di penale o di misura fiscale (il prelievo supplementare, appunto) a carico del produttore di latte che abbia prodotto e commercializzato un quantitativo di latte superiore alla "quota" che gli è stata riconosciuta. In altre parole, i produttori del latte non sono obbligati a non-produrre, ma sono tenuti a pagare, per ogni litro di latte commercializzato in più della rispettiva quota di produzione, una somma talmente alta (oggi è fissata al 115% del prezzo indicativo del prodotto) da scoraggiare la produzione.

Se "prelievo supplementare" e "quota" sono i due aspetti dai quali può essere guardato l'intervento comunitario diretto a ridurre la produzione del latte e a renderne l'offerta più adeguata alla domanda, l'attenzione deve essere portata anche al  problema della natura della quota.

Per comprenderlo, occorre premettere, semplificando al massimo, che con il Regol.  856/1984 fu fissato, per l'intera Comunità, un anno di riferimento onde calcolare la produzione globale di latte che ogni Stato membro aveva avuto in quel periodo; che, sulla base di tale quantitativo di riferimento, viene assegnato periodicamente ad ogni Stato un quantitativo globale garantito o quota complessiva (QGG); che ogni Stato provvede a ripartire tale quantitativo tra i produttori di latte, tenendo conto della quantità da essi prodotta nell'anno di riferimento (QRI); che i produttori che commercializzano più della loro quota individuale sono tenuti a pagare il prelievo supplementare; che a tale prelievo è ora (secondo il Regol. 3950/1992) tenuta l'impresa di trattamento e commercializzazione del latte (la c.d. "latteria" o, meglio, adoperando l'espressione usata dal Regolamento, "l'acquirente"), la quale lo conteggia nel pagare ai produttori il prezzo del latte acquistato.

Si è avuta, cioè, nell'anno di riferimento (che, per l'Italia, è il 1983, per le ragioni espresse nel nono considerando del Regol. n.856/84) una sorta di "fotografia" della produzione lattiera della Comunità, con cui si è proceduto alla ricognizione della situazione di ogni allevatore sì da dichiararne il diritto a smerciare senza penale quello stesso quantitativo di latte che in quell'anno produceva. Il fatto che fosse l'allevatore il soggetto preso in considerazione - ed, invero, nell'anno di riferimento poteva esserci un assegnatario di quota che avesse solo una stalla, approvvigionandosi dei foraggi sul mercato -,  la "fotografia" riguardava gli imprenditori zootecnici e non già i proprietari di pascoli. La conferma può essere tratta dal fatto che era possibile concedere un quantitativo maggiorato a giovani "agricoltori" (art.3, par. 2, Regol. 856/1984) e ad imprenditori a titolo principale (art.4, par. 1, lett. c) che avevano, come attività, l'allevamento di vacche lattifere, nonché un quantitativo supplementare a coloro che si erano impegnati a realizzare un piano di sviluppo della produzione lattiera ai sensi della direttiva 159/1972 e del Regol. 1946/1981 (art.4, par. 1, lett. b).

Le considerazioni che precedono consentono di agganciare la quota all'attività dell'allevatore (v. anche Corte giustizia 15 gennaio 1991, in causa 341/89) e non già al fondo, nella misura in cui essa sostanzialmente si traduce in una sorta di autorizzazione amministrativa a commercializzare il latte senza pagare penale: autorizzazione e non già concessione, perché l'assegnazione della quota conferma e rende attuale la preesistente libertà di produzione del latte e si caratterizza in termini anche ricognitivi e non esclusivamente costitutivi.

Va osservato che la sanzione di un prelievo supplementare con riguardo al quantitativo di latte commercializzato oltre la quota assegnata induce a mantenerne la produzione al di sotto della quota; ne deriva che la stessa esistenza e l'ampiezza della quota di produzione rappresentano un valore economicamente non indifferente dell'azienda di allevamento di vacche lattifere considerata nel suo complesso. Per di più, il fatto che l'allevatore, fin dall'entrata in vigore del sistema delle quote, possa rinunciare al suo quantitativo ottenendo dalla Comunità un indennizzo (art.4 Regol. 857/1984), dà alla stessa quota un valore patrimoniale di scambio (v. anche Corte di giustizia 13 luglio 1989, in causa 5/88), ancorché limitato nel rapporto allevatore-Comunità. Ed allorquando il sistema così congegnato viene, nel 1987, modificato, per la possibilità che la quota sia venduta o ceduta temporaneamente (sia pure a determinate condizioni) senza la contestuale alienazione della terra (art.1, Regol. 5 ottobre 1987, n.2998/87), la quota assume la "natura" di entità oggetto di diritti. Invero, la conseguita patrimonialità e la circolabilità della quota, con l'incidere sulla relativa situazione giuridica soggettiva del titolare, postulano l'esaurimento di un processo di oggettivazione della quota stessa. In altre parole, l'esistenza del diritto tanto di dismettere la quota in cambio di un'indennità, quanto di cederla tutta o in parte, definitivamente o temporaneamente, in cambio di un prezzo (diritto che nella sent. 22 ottobre 1991, in causa 44/89, la Corte di giustizia avvicina al diritto di proprietà) postula l'esistenza di un bene che costituisce l'oggetto della tutela giuridica. Un bene che, nel caso di esame, è una creazione dell'Ordinamento; sicché - per la sua incorporalità - invita l'interprete a definirlo come bene immateriale e, per il suo collegamento all'azienda dell'allevatore e non alla terra, come elemento aziendale. Un bene immateriale che può essere acquisito sul mercato delle quote tanto da chi intenda aumentare la propria attività di allevamento, quanto da allevatori ex novo e di recente installazione qualora non vi sia possibilità, per costoro, di ricorrere all'assegnazione di un quantitativo della "riserva" statale, come previsto dal Regol. 11 dicembre 1989, n.3880/89.

 

 

 

5. Punti fondamentali della normativa comunitaria.

 

5.1    La normativa comunitaria del settore lattiero-caseario è contenuta nei Regol. 804/68 e 856/84, di cui si è detto, nonché nel Regol. n.857/84 del 31 marzo 1984.

Quest'ultimo stabiliva, tra l'altro:

a.       i parametri di determinazione del prelievo supplementare;

b.       i criteri di scelta tra la formula A o B;

c.       l'obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione la formula prescelta;

d.       i criteri di determinazione dei quantitativi di riferimento individuali di cui all'art.5 quater del Regol. n.804/68;

e.       la facoltà per i paesi membri di adottare misure per ristrutturare la produzione lattiera nazionale;

f.        le modalità di riscossione del prelievo.

In seguito, la Commissione ha stabilito le modalità di attuazione del sistema con il Regol. n.1371/84 del 16 maggio 1984, successivamente abrogato dal Regol. n.1546/88 del 3 giugno 1988, che determinava le nuove modalità di applicazione del prelievo supplementare.

Nel 1992 il Consiglio CEE, nel decidere di prorogare il regime per altri 7 anni a decorrere dal 1 aprile 1993, ha ritenuto opportuno, per esigenze di semplicità, fissare in un regolamento autonomo le norme fondamentali del regime prorogato e ha emanato, pertanto, il Regol. n.3950/92 del 28 dicembre 1992, attualmente vigente, che abroga il Regol. n.857/84, e snellisce la normativa, mantenendo comunque, in generale, il metodo adottato nel 1984. A seguito di ciò sono state introdotte, con il Regol. 536/93 del 9 marzo 1993, nuove modalità di applicazione, provvedendo contestualmente ad abrogare il suddetto Regolamento n.1546/88.

 

5.2     Per completezza delle premesse che serviranno, poi, da base per considerazioni e proposte, occorre mettere in rilievo che la Comunità, con il Regol. 856/84, dava agli Stati la possibilità di scegliere tra:

        la formula A, che prevedeva che la quota fosse considerata come attribuita al singolo produttore, sicché il prelievo fosse dovuto da ogni produttore per i quantitativi di latte consegnati all'acquirente, quando nel periodo 1 aprile-31 marzo avessero superato il quantitativo di riferimento;

        o la formula B che prevedeva, invece, che la quota fosse attribuita all’acquirente o latteria, sicché il prelievo fosse dovuto non già dal produttore, bensì da ogni acquirente per i quantitativi di latte consegnatigli e che nel periodo di 12 mesi avessero superato il quantitativo di riferimento, ovviamente con facoltà di rivalersi sui produttori che avevano sforato.

Il diverso sistema dava luogo ad una rilevantissima conseguenza e cioè quella per la quale, nel sistema di formula B, era possibile che si verificasse, all'interno della latteria acquirente, una "compensazione naturale" o perequazione tra l'allevatore che aveva venduto più della sua quota e l'allevatore che aveva venduto meno della sua quota (art.8, Regol. n.857/84), mentre una simile eventualità non poteva accadere con la formula A per la quale il prelievo doveva essere pagato da ogni allevatore che avesse sforato la sua quota; in tale secondo caso la compensazione sarebbe avvenuta solo in sede nazionale, cioè quando si sarebbe proceduto a "contare", da un lato, tutto il latte prodotto e, dall'altro, l'ammontare della quota nazionale o quantitativo globale garantito (QGG), procedendo ad una sorta di ridistribuzione dei quantitativi di riferimento individuali (QRI) inutilizzati.  Tuttavia, proprio perché le due formule non avrebbero dovuto provocare discriminazione di trattamento, il Regol. n.3950/92, nel disporre l'obbligo del pagamento del prelievo a carico della latteria acquirente (art.2, 2° comma) ma nel conservare il diritto di ogni Stato membro a scegliere tra le due (vecchie) modalità di perequazione, a livello di acquirente o a livello nazionale cioè (art.2, 1° comma, 2^ alinea), prevede che lo Stato possa restituire il prelievo riscosso qualora sia inferiore all'importo totale da pagare alla Comunità (art.2, par. 4).

L'Italia optava per la formula A: telefax MAF alla CEE del 3 luglio 1985 (non rinvenuto presso il MiRAAF), ribadito con telefax n.3389 del 3 marzo 1988 (Allegato sub 3); decreto MAF del 30 settembre 1985 (Allegato sub 4), nonché art.4, 1° comma, legge 26 novembre 1992 n.468, quando la Comunità era già sul punto di unificare le formule disponendo che il prelievo fosse sempre pagato dall'acquirente che così diveniva una sorta di “sostituto d’imposta” (v. Regol. n.3950/92 del 28 dicembre 1992). Ma certamente la politica ministeriale non doveva essere troppo chiara se la Corte dei Conti europea, nella relazione n.2/87, inseriva l'Italia tra gli Stati membri di formula B (v. Allegato sub 1, p. 9).

La ragione della scelta della formula A, che è basata sul sistema del prelievo a carico diretto dei numerosissimi produttori italiani (circa 222.000 nel 1983) anziché degli "acquirenti" (circa 2.500), probabilmente fu dovuta al fatto che per l'art.1 Regol. 857/84 il prelievo era fissato al 75% del prezzo indicativo del latte, contro il 100% dello stesso prezzo in caso di applicazione della formula B.

 

5.3     Altro aspetto importante della disciplina comunitaria è data dal fatto che l'art.12, lett. c, del Regol. n.857/84 permetteva la gestione unitaria delle quote da parte delle Associazioni di produttori. In virtù di tale disposizione, la successiva attribuzione della gestione delle quote all'UNALAT ed alle altre Associazioni di produttori italiani (v. infra, par. 6.3) avrebbe consentito che, in Italia, i produttori associati godessero di due successive compensazioni, la prima in sede di Associazione che si presentava all'esterno, al momento della consegna del latte alla latteria acquirente, come "produttore unico", e la seconda in sede nazionale, al momento del conteggio finale del latte commercializzato in rapporto al QGG.

Il successivo Regol. n.3950/92, che è il Regolamento con cui si sono consolidate le precedenti disposizioni ritenute ancora opportune (secondo considerando), non ha incorporato la vecchia norma dell'art.12 lett. c del Regol. n.857/84, con la conseguenza che, dalla campagna 1993/94, non è possibile alcuna forma di perequazione all'interno delle Associazioni come “produttore unico”, e ciò anche per evitare discriminazioni in danno dei produttori non-associati, che non potrebbero fruire di compensazioni a questo stadio.

 

5.4     La normativa comunitaria impone agli Stati membri, non solo di fare da tramite tra gli acquirenti e la Comunità per quanto riguarda il pagamento del prelievo dovuto perché è stato sforato il QGG, ma anche - ovviamente - di procedere ai controlli necessari per individuare i produttori che superano il loro QRI e quindi per garantire la riscossione del prelievo (art.7 Regol. n.563/93 del 9 marzo 1993).

Il controllo richiede forme sofisticate di attuazione posto che, a partire dal Regol. n.2998/87, è stata resa possibile la circolazione della quota senza azienda.

Più precisamente, occorre ricordare che, mentre il Regol. n.857/84 consentiva la circolazione della quota solo in caso di "vendita, di locazione [ma, per il nostro linguaggio giuridico, sarebbe stato meglio usare l'espressione "affitto"] e di trasmissione per via ereditaria dell'azienda" (art.7), cioè del "complesso delle unità di produzione gestite dal produttore" (art.12, lett. d), il Regol. n.3950/92 ha confermato la possibilità di vendere o di cedere temporaneamente la quota anche senza l'azienda (art.6), introdotta, come si è accennato, dal Regol. n.2998/87, ma lasciando agli Stati membri la decisione di non applicare la suddetta disposizione.

Può dirsi ancora che, ai sensi del "compromesso", di cui parla il Direttore generale Guy Legras nella sua nota del 1° aprile 1993 al nostro rappresentante permanente presso la Comunità (Allegato sub 5), l'Italia si sarebbe impegnata ad assegnare le funzioni di controllo, di calcolo e di riscossione del prelievo, ad un organismo che doveva "essere un ente pubblico diretto da un funzionario statale e composto di rappresentanti di tutti i ministeri interessati e in particolare del ministero delle finanze".

 

 

6.       L'attuazione italiana della normativa comunitaria sul settore lattiero-caseario.       

 

6.1     Nel richiamare il principio secondo cui i regolamenti sono immediatamente obbligatori in tutte le loro disposizioni e che le leggi interne eventualmente con essi incompatibili devono essere disapplicate, occorre ora illustrare i momenti fondamentali delle "operazioni" che l'Italia ha posto in essere per attuare - negli spazi di manovra consentiti dai Regol. nn.856 e 857/84 e 3950/92- la normativa comunitaria delle quote latte.

Qui ci si riferisce solo ai "momenti fondamentali", perché la "storia" completa di quello che è successo tra gli anni 1984-1988, è contenuta, in modo dettagliato, nell'atto di citazione degli ex-ministri dell'agricoltura, on. Filippo Maria Pandolfi ed on. Calogero Mannino, da parte della Procura generale della Corte dei Conti del 21 marzo 1991 e nella sentenza della Corte dei Conti del 15 gennaio 1997 con cui i predetti ex-ministri sono stati assolti dall'addebito di danno erariale per 77.558.842.190 lire per omessa applicazione dei regolamenti comunitari, e più precisamente per una somma pari all'importo a cui l'Italia era stata condannata dalla Corte di giustizia con sentenza 17 giugno 1987 per mancata riscossione del prelievo supplementare negli anni successivi al 1984. L'assoluzione sarebbe stata necessitata conseguenza della formula dell'art.1, 3° comma, legge 10 luglio 1991 n.201 che prevede che gli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari si applicano, sul territorio nazionale, solo a partire dal periodo 1991-92, norma riconosciuta costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale del 7 maggio 1996 n.146. Contro la sentenza della Corte dei Conti, la Procura Generale della stesa Corte ha proposto appello con atto del 10 marzo 1997, ritenendo che l’affermazione della responsabilità degli ex ministri Pandolfi e Mannino consegua dalla necessaria disapplicazione dell’art.1, 3° comma, legge 10 luglio 1991 n.201, in quanto difforme dai Regolamenti della Comunità.  Tali atti, oltre alla relazione dell’Ufficio Speciale di Controllo della Corte dei Conti sulla gestione dell’AIMA del 25 ottobre 1995, costituiscono, rispettivamente, gli Allegati sub 6, 7, 8, 9 e 10 alla presente Relazione.

 

6.2     Per "fotografare la produzione lattiera italiana nell'anno prescelto di riferimento (1983) era necessario accertare la quantità di latte in quell'anno prodotta da ogni singolo allevatore, occorrendo provvedere all'attribuzione, a ciascun allevatore, della sua quota di riferimento.

Si imponeva, allora, un "censimento"; e se da un lato si faceva carico (decreto MAF 30 settembre 1985: Allegato sub 4) a ciascuno allevatore di comunicare al MAF la produzione di latte venduta direttamente o consegnata alla "latteria" nel 1983, dall'altro si affidava l'incarico del censimento all'Associazione Italiana Allevatori (AIA) con apposito decreto del 26 ottobre 1985 (Allegato sub 11) che, sulla base di un preventivo di lire 11.667.916.810 (v. nota AIA del 4 ottobre 1985: Allegato sub 12.), concedeva l’importo di lire 10.405.600.000, poi ridotto a lire 6.805.021.500 con decreto del 25 ottobre 1986 (Allegato sub 13). All'AIA gli allevatori dovevano spedire direttamente la dichiarazione rivolta al MAF.

Nel frattempo è il MAF ad essere direttamente responsabile del superamento della quota globale nazionale, posto che il controllo del rispetto delle quote individuali sarebbe stato verificato solo a posteriori. Fiducioso che  fossero corretti i dati ISTAT di produzione lattiera - cioè quei dati che la Comunità aveva preso a base per l'attribuzione della quota nazionale (v. dati Eurostat, Allegato sub 14) -, il MAF in sostanza, nel periodo 1984-1986 (chiamato, giornalisticamente, il periodo del "bacino unico nazionale"), autorizzava praticamente gli allevatori ad ignorare l'esistenza del vincolo delle quote.

A seguito di reiterate proroghe, l'AIA, dopo aver dichiarato, il 23 giugno 1987, di aver “completato, registrato ed archiviato su supporti meccanografici” tutti i produttori di latte (v. Allegato sub 15), trasmetteva i suoi dati, inseriti in varie Tabelle, individuate con numeri romani da I a VI, ed in data 8 agosto 1988 inviava una relazione tecnica. Secondo tali dati, la produzione lattiera italiana dell'anno 1983 era stata di  8.774.738,6 t.; quella dell'anno 1984 di 8.943.547,1 t.; e quella del 1° semestre 1985 di 4.855.684,6 t. (l'Allegato sub 16 riporta la fotocopia dei dati forniti dall'AIA per la provincia di Parma, per la Regione Emilia-Romagna e per l'Italia) (v. anche infra, par.9.2).

Non è chiaro il motivo per il quale detti dati non furono considerati attendibili, posto che, dopo la nota MAF del 2 maggio 1987 di contestazione all'AIA (Allegato sub 17), le Tabelle furono accettate e fu disposto, in data 22 febbraio 1990, il saldo del compenso per un totale di lire 6.033.562.685 (Allegato sub 18). Gli unici elementi di fatto, che potrebbero essere rilevanti, è che già il 4 settembre 1987 il MAF, nel dichiarare che l’AIA aveva assolto “con efficacia meritevole di apprezzamento”, le ordinava di consegnare all’UNALAT tutte le schede di rilevazione (Allegato sub 19) e che, con atti 13 aprile 1988 - 24 gennaio 1989, il MAF incaricava l’UNALAT, dietro il compenso di lire 9.955.188.000, di procedere ad un programma di rilevamento degli allevamenti di bovini da latte (v. Allegato sub 20).

 

6.3     E' a questo punto che irrompe sulla scena l'Unione Nazionale tra le Associazioni di produttori di latte bovino o UNALAT.

Occorre chiarire che, nel sistema dell'Organizzazione comune di mercato (OCM) del latte è prevista - anzi, è sollecitata - la costituzione di Associazioni di produttori con funzioni operative (cioè con funzioni proprie delle cooperative) e con funzioni normative (cioè con funzioni proprie dei consorzi, avendo l'art.42 del Trattato attenuato, per i produttori agricoli, il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all'art.85 Trattato). L'UNALAT, la cui costituzione era stata auspicata dalle tre confederazioni agricole di rilevanza nazionale (Confagricoltura, Coldiretti e - oggi - CIA: v. audizione dott. Avolio, Allegato sub 21; nonché memoria UNALAT inviata a questa Commissione l’8 aprile 1997: Allegato sub 22), veniva "riconosciuta", quale associazione di produttori di 2° grado, con decreto del 22 dicembre 1986 (Allegato sub 23).

Nel frattempo, su richiesta italiana, veniva introdotta una modifica all'art.12 Regol. 857/84, in virtù della quale "produttore" potevano essere considerate le associazioni di produttori e le loro unioni (Regol. n.1305/85 del 23 maggio 1985), con la conseguenza che - avendo l'Italia optato per la formula A - era possibile alla associazione ed alla unione di produttori gestire, all'interno dell'associazione o dell'unione, le quote degli associati, anche ai fini del pagamento del prelievo in caso di sforamento del quantitativo risultante dalla somma delle quote individuali.

E così, costituitasi l'UNALAT, che riunisce, oggi, 80 Associazioni di produttori (v. Annuario del latte 1996, pag.116: Allegato sub 24) alle quali aderiscono circa il 90% delle imprese italiane produttrici di latte, e nelle more della consegna del "censimento" dell'AIA, il MAF, con decreto 2 aprile 1987 (Allegato sub 25), le assegna, per la campagna 1984-85, in via provvisoria (con riserva di suddividere la quota nelle due sottoquote "consegne" e "vendite dirette") un quantitativo complessivo di 9.246.380,3 tonnellate di latte e, poi, in via definitiva, l'11 aprile 1988, un quantitativo complessivo, tra “consegne” e “vendite dirette” a favore degli associati all’UNALAT, degli associati all’AZOOLAT e dei non-associati, di 9.914.000 tonnellate (v. tabella del d.m. 11 aprile 1988: Allegato sub 26), cioè per un QGG superiore a quello riconosciutoci a quel tempo, a) accettando la dichiarata rilevazione delle produzioni degli associati (decreto MAF dell'11 aprile 1988), riconoscendo, così, funzioni di "controllore" al controllato; e b) con l’incarico di gestire le quote per le prime cinque campagne 2 aprile 1984-31 marzo 1989 (decreti MAF del 2 aprile 1987 e dell'11 aprile 1988).

Trattasi del periodo - poi estesosi fino al 1991- detto del "produttore unico" (1987-1991), nel corso del quale si è provveduto per la prima volta all'assegnazione delle quote, ma, come si è detto, seguendo il criterio di equiparare l'UNALAT ai produttori singoli: sicché, alla prima fu attribuita la quasi totalità dell’asserita produzione nazionale (il 93, 26%), ripartendo il resto tra i produttori non-associati e le altre Associazioni di produttori non aderenti all'UNALAT.

Benché i singoli produttori associati fossero considerati titolari delle rispettive quote e, quindi, responsabili del loro rispetto, in concreto essi ricevevano solamente una "indicazione produttiva" - commisurata, peraltro, alla loro produzione commercializzata nella campagna 1987 e poi, per una "delibera" dell'Assemblea dell'UNALAT del 2 agosto 1990 (Allegato  sub 27), nella campagna 1988/89 (la campagna che sarà, poi, presa come riferimento dalla successiva legge n.468/92) e non già  in quella dell’anno 1983 di cui alle disposizioni comunitarie ( “quantitativo consegnato nel 1983”: nono considerando del Regol. n.856/84) -, con la conseguenza di non farli "sentire" responsabili del loro sforamento, stante la possibilità che l'UNALAT quale produttore unico, procedendo all'interno prima delle singole Associazioni e poi dell'Unione alla compensazione tra quote sforate e quote non-prodotte, non dovesse pagare alcun prelievo. Alla compensazione all'interno dell'UNALAT si sarebbe, poi, aggiunta la compensazione su base nazionale tra quanto commercializzato dall'UNALAT e quanto commercializzato dagli altri produttori singoli od associati con riguardo al QGG dell'Italia.

 

6.4     Risale a questo periodo 1986-1988 il contrasto tra i funzionari amministrativi del MAF ed i Ministri dell'agricoltura (il direttore generale dott. Pricolo si dimette il 12 settembre 1988; il responsabile della Divisione III^ della Direzione Generale della Tutela economica dei prodotti agricoli dott. Possagno chiede, il 3 settembre 1988, di essere trasferito di Direzione: Allegato sub 28), i primi inutilmente segnalando ai secondi che il sistema del "produttore unico", soprattutto per la mancanza di controlli e, quindi, di individuazione dei responsabili degli sforamenti, avrebbe avuto come conseguenza la responsabilità dello Stato verso la Comunità.

Dall'appunto del 12 settembre 1988, scritto dal dott. Pricolo al Ministro Mannino immediatamente prima di dimettersi, si legge che "l'omissione dei controlli, procedura non ammessa, chiaramente intesa ad evitare ogni possibile richiesta di pagamento del prelievo supplementare, sarà interpretata dalla Commissione come un'indebita corresponsione di aiuti da parte dell'Italia ai produttori di latte, con conseguente apertura di procedura di infrazione ed imputazione al bilancio italiano non solo delle somme relative alla mancata riscossione, ma anche delle maggiori spese sostenute dal Feoga e calcolate forfettariamente" (v. decreto di citazione della Procura generale della Corte dei Conti: Allegato sub 6).

Del clima esistente al vertice del MAF sono eloquente "racconto" tanto l'atto di citazione predisposto dalla Procura Generale della Corte dei Conti, quanto la stessa sentenza della Corte dei Conti del  15 gennaio 1997 che ha assolto dall'addebito di danno erariale gli ex-ministri Pandolfi e Mannino in forza del 3° comma dell'art.1 della legge n.201/1991, nelle quali si afferma che  "la circostanza che il comportamento sia stato posto in essere dai Ministri per la realizzazione degli interessi della economia agricola italiana non costituisce esimente in ordine alla produzione del danno erariale e alla conseguente responsabilità amministrativa perché il rispetto dei principi dell'ordinamento, e quindi anche delle disposizioni comunitarie che entrano a far parte dell'ordinamento giuridico vigente, costituisce manifestazione fondamentale del rispetto degli obblighi di servizio, ad esso demandati, da parte di ogni pubblico amministratore o dipendente e, quindi, anche da parte di un Ministro della Repubblica" (v. atto di citazione, Allegato sub 6); e che "effettivamente i Ministri convenuti in giudizio hanno volontariamente dato disposizioni nel senso di non osservare la normativa comunitaria" con un comportamento da riferirsi "esclusivamente ai Ministri dell'agricoltura, in quanto la struttura amministrativo-burocratica del Ministero aveva più volte richiamato la [loro] attenzione sulla necessità di ottemperare alle disposizioni comunitarie mediante l'adozione dei relativi provvedimenti", cioè con un comportamento che, essendosi "manifestato con la volontaria inattuazione delle direttive comunitarie attraverso l'omissione dei relativi regolamenti istitutivi del previsto tributo, ha indubbiamente cagionato un danno erariale (...) per l'importo di lire 74.326.019.850 + lire 3.232.822.340", essendo l'inottemperanza "in rapporto di causa ad effetto col danno erariale, in quanto ha cagionato l'irrogazione delle sanzioni da parte della Comunità europea a carico dell'Italia" (v. sentenza Corte dei Conti, Allegato sub 8).

 

 

6.5     Come si è già accennato (supra, par. 6.1), l'Italia era stata dichiarata responsabile, con sentenza 17 gennaio 1987, per omessa applicazione dei regolamenti comunitari sulle quote-latte e la Commissione aveva quantificato il nostro debito per prelievo supplementare di responsabilità in oltre 77,5 miliardi, provvedendo alla corrispondente rettifica finanziaria (in altre parole, dando all'agricoltura italiana i fondi dovutile, dopo aver sottratto il nostro debito), contro la quale l'Avvocatura dello Stato con nota n.7143 del 25 gennaio 1990 (riportata nell’atto di citazione della Procura Generale della Corte dei Conti: Allegato sub 6) aveva suggerito di non fare opposizione, essendosi la Corte di giustizia già pronunciata su analoga questione giudicando legittima un’analoga operazione di rettifica disposta dalla Commissione (v. anche sentenza del 17 ottobre 1991, in cause 342 e 346/89).

Se ci si chiede il perché dell'atteggiamento ministeriale italiano, non si può che partire da quanto l'ex-ministro Pandolfi ebbe a dichiarare nella sua memoria difensiva davanti alla Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del 3° comma dell'art.1 della legge n.201/1991. In essa si assumeva "come il sistema delle quote latte, adottato a partire dal 1984 per il contenimento della produzione di latte in ambito comunitario, si fosse rivelato fin dall'inizio particolarmente svantaggioso per l'Italia, sia in quanto volto a favorire i paesi eccedentari (mentre l'Italia è tra i paesi deficitari), sia per essere stata la quota italiana stabilita sulla base di dati statistici inattendibili e quindi ampiamente inferiore alla produzione effettiva. Inoltre, il sistema delle quote individuali (relative alle singole aziende), adottato da tempo nei paesi eccedentari per il regime degli ammassi, si presentava di attuazione particolarmente difficile in Italia, data l'estrema frammentazione dei centri di produzione. Per queste ragioni, che impedivano al Governo italiano di accettare una diminuzione della produzione pari a quella imposta ai paesi eccedentari, il ministro Pandolfi, agendo sempre su indicazioni del Governo, aveva condotto una lunga trattativa in sede comunitaria. Tale azione consentiva di ottenere adattamenti dei criteri di determinazione delle quote, un aumento del quantitativo assegnato all'Italia ed una deroga alle ulteriori limitazioni di produzione stabilite con il regolamento CEE n.775/1987. La conclusione di questo processo conduceva, in sede nazionale, all'approvazione delle leggi n.201 del 1991 e n.468 del 1992, attraverso cui si è provveduto alla graduale attuazione della normativa comunitaria; in sede comunitaria, all'aumento del quantitativo globale di produzione concesso all'Italia con il regolamento CEE n.1560/93. L'azione negoziale del ministro -prosegue la memoria - ha avuto sempre il pieno sostegno del Governo e del Parlamento (come dimostrato dai dibattiti parlamentari, oltre che dalle due leggi richiamate) ed ha consentito di evitare un grave danno all'economia nazionale, quale si sarebbe prodotto ove le statuizioni comunitarie fossero state pedissequamente attuate" (v. motivazione in fatto della Corte cost., 7 maggio 1996, n.146, Allegato sub 7).

In altre parole, e senza voler scendere a contestare che proprio l'estrema polverizzazione dei centri di produzione avrebbe dovuto suggerire l'opzione per la formula B e che la culpa in vigilando sulla determinazione, asserita in "dati inattendibili", della produzione lattiera ad opera del Servizio statistico del MAF e la culpa in eligendo nella scelta dell'operatore (l'AIA) chiamato a procedere al censimento delle imprese produttrici di latte e poi giudicato anch'esso inattendibile (ancorché, secondo questa Commissione, contro il vero), sarebbero addebitabili al Ministero dell'agricoltura, nonché senza voler ripetere quanto è affermato dalle più volte citata sentenza della Corte dei Conti, è indubbio che l'azione dell'Italia era diretta a contestare, a posteriori,  l'impegno assunto in sede comunitaria sulla politica di contenimento delle eccedenze attraverso lo strumento delle quote-latte, e a richiedere l'aumento della quota attribuita al nostro Paese.

In tale ottica devono leggersi la nota del Ministro Goria del gennaio 1992 (non rinvenuto presso il MiRAAF: v. nota MiRAAF del 5 aprile 1997: Allegato sub 29) sulla ingestibilità del regime delle quote-latte sulla base delle osservazioni dell'UNALAT dell’11 dicembre 1991 (v. Allegato sub 30) e la successiva lettera del Presidente del Consiglio Andreotti del 13 febbraio 1992 al Presidente della Commissione CEE Delors (v. Allegato sub 31 l’accenno all’intervento del Governo nella nota del Ministro Fontana al Presidente Amato del 24 novembre 1992, nonché v. la relazione della Direzione generale della tutela economica dei prodotti agricoli sull’incontro MacSharry-Goria dell’8 maggio 1992: Allegato sub 32), con una sostanziale "ammissione" di sforamento, per avere sottostimato l'entità della produzione dell'anno di riferimento (1983) come indicata dalle fonti ufficiali dell'ISTAT (v. Allegato sub 33 l'Analisi comparata della produzione del latte bovino in Italia nell'anno 1983, a cura del MAF e ad opera di A. Nardone, E. Comegna e G. Fabbri, pubblicata sull’Informatore agrario del 9 marzo 1995).

Comunque, per le contestazioni di infrazione che la CEE fa all'Italia (a partire dalla sentenza della Corte di giustizia del 1987, e dalle decisioni della Commissione in ordine allo sforamento per 77,5 miliardi relativamente agli anni 1985 e 1987 ed infine dalla nota Mac Sharry del 12 dicembre 1991: Allegato sub 34) in ordine alla non corretta applicazione del regime del prelievo supplementare, l'Italia risulta avere sforato, anche per gli anni 1989-93, per una quantità commercializzata di latte pari ad un prelievo di 5.220 miliardi. A seguito dell'incontro Ecofin del 21 ottobre 1994 (Allegato sub 35) l'Italia "accetta" di pagare 3.620 miliardi e più precisamente per la campagna 1989, lire 397,8 miliardi; per quella 1990 lire 531,4 miliardi; per quella 1991, lire 615 miliardi; per quella 1992, lire 602 miliardi e per quella 1993, lire 627 miliardi (v. infra, par. 7.2).

 

6.6     La necessità di adeguarsi ai regolamenti comunitari porta al decreto MAF 7 giugno 1989 n.258 (Allegato sub 36) con cui si afferma che l'UNALAT e le Associazioni di produttori sono titolari, a tutti gli effetti, dei quantitativi di riferimento come se fossero produttori singoli; che sono obbligati a tenere una contabilità di magazzino; che "entro tre mesi dalla fine di ciascun periodo l'UNALAT, le Associazioni e gli acquirenti, limitatamente ai produttori non associati, effettuano il versamento dell'importo dovuto del prelievo supplementare calcolato, ai sensi dell'art.9, par. 1 e 2, del Regol. n.857/84, sulla base del superamento effettuato durante il periodo di 12 mesi in questione, del quantitativo annuo di riferimento assegnato" (art.4).

L'impostazione del decreto MAF n.258/89 viene confermata dal decreto MAF 30 novembre 1989 n.95 (Allegato sub 37)  con il quale si attribuiscono le quote ai produttori non aderenti ad alcuna associazione, con riguardo ai periodi 1989/90, 1990/91 e 1991/92, “sulla base degli elementi evidenziati dall’indagine di cui al decreto ministeriale 30 settembre 1985, relativa ai quantitativi di latte consegnati e venduti direttamente dai produttori nel 1983, anno di riferimento ai sensi dell’art.2, par.2, Regol. n.857/84”.

Al momento della conversione del d.l. 21 dicembre 1990 n.391 relativo al trasferimento all'AIMA della gestione delle risorse comunitarie nel settore dello zucchero, viene introdotto l'art.6 bis con il quale "al fine di garantire l'applicazione del regime di cui al Regol. n.857/84" si istituisce l'anagrafe della produzione lattiero-casearia, affidandola all'AIMA e da realizzarsi "attraverso le unioni nazionali riconosciute delle associazioni dei produttori" (legge di conversione 18 febbraio 1991 n.48). Con decreto 14 marzo 1991 (Allegato sub 38) vengono dettate le modalità di funzionamento dell'anagrafe, per le quali: a) l'AIMA si sarebbe avvalsa dell'UNALAT; b) gli archivi e l'informatizzazione sarebbero stati centralizzati presso l'UNALAT, sia pure con diritto di accesso diretto dell'AIMA; c) l'iscrizione all'anagrafe sarebbe stata obbligatoria, ed anzi sarebbe stata il presupposto della quota; d) con apposita convenzione sarebbe stato pattuito il compenso all'UNALAT. La data finale concessa per l'iscrizione, prima prevista per il 30 novembre 1991, viene poi (DD.MM. 28 ottobre 1991, 25 maggio 1992, 9 novembre 1992 e 4 agosto 1993) spostata al 31 dicembre 1993 (Allegati sub 39, 40 e 41).

Della sorte di tale anagrafe e del rispetto della convenzione AIMA-UNALAT del 1° luglio 1992 per un compenso di lire 20.030.360.000 più IVA (v. Allegato sub 42) non si sa più nulla (v. audizione di Catania: Allegato sub 43); di essa si parla ancora nell'art.22, lett. c, del DPR 23 dicembre 1993 n.569, che prevede la realizzazione, da parte dell'AIMA, di un apposito sistema informatizzato centrale.

 

6.7     Della mancata applicazione in Italia del regime delle quote prende atto la legge 10 luglio 1991 n.201 che stabilisce esplicitamente che gli obblighi derivanti dalle disposizioni comunitarie in materia di prelievo si applicano a partire dal periodo 1991-92 (art.1, 3° comma), periodo successivamente spostato al 1992-93 dalla legge 26 novembre 1992 n.468 (art.12, 2° comma), e che dispone in particolare che "i saldi contabili con la CEE derivanti dalla definizione delle procedure previste dalla normativa comunitaria e concernenti il prelievo supplementare sul latte di vacca dovuto per i periodi 1987/88 al 1990/91 sono iscritti nella gestione finanziaria dell'AIMA - spese connesse ad interventi comunitari" (art.1, 9° comma).

Ciò che va messo in evidenza è che le citate leggi n.201/91 e 468/92, nel loro combinato disposto, sono sembrate avere operato una sorta di sanatoria a favore delle aziende produttrici, addossando allo Stato l'onere conseguente alla mancata riscossione del prelievo per tutto il periodo nel quale il regime delle quote non ha trovato applicazione in Italia. Infatti, la legge n.201/1991 (art.1) ha posto a carico del bilancio AIMA l'onere del saldo contabile relativo al prelievo per il periodo dal 1987 al 1991 (comma 9°), mentre la successiva legge n.468/92 ha ulteriormente prorogato l'applicazione del regime al 1992/1993, senza indicare il bilancio su cui andavano a gravare gli ulteriori oneri.

La valenza politica della disposizione (su cui v. anche supra, par. 6.1) si trova riflessa nell'art.12, 2° comma della legge n.468/92, laddove viene stabilito che "la differita attuazione della normativa comunitaria costituisce atto di indirizzo di politica economica in agricoltura al fine di tutelare l'utilità sociale, la sicurezza e la libertà dei traffici, la dignità dei lavoratori e di assicurare la tutela dell'ordine pubblico economico", e ciò senza alcuna considerazione che l'art.92 Trattato CEE vieta, per la tutela della concorrenza, gli aiuti di Stato alle imprese, comunque costituiti.

Tuttavia, la legge n.468/92 è il primo provvedimento legislativo italiano che tenta di adeguare il nostro diritto nazionale ai principi della politica comunitaria nel settore latte, provvedendo -negli spazi lasciati aperti dai regolamenti- ad operare il riparto di competenze tra Stato e Regioni stabilito, per la materia agricoltura, dalla nostra Costituzione.

Le novità della legge sono molte (e della circolabilità delle quote e dei meccanismi di controllo, compensazione e di pagamento del prelievo occorrerà parlare più dettagliatamente in prosieguo); ma ciò che ora merita essere sottolineato sono (per una "invenzione" tutta italiana, sia pure con una sorta di richiamo alle quote A, B e C dell'OCM dello zucchero di - questa sì - creazione comunitaria) la distinzione tra quota A (produzione individuale nel 1988-89) e quota B (eventuale aumento di produzione tra il 1988-89 ed il 1991-92) ed il "piano di rientro" ad esse connesso.

Per evitare un taglio produttivo troppo drastico, sono state, infatti, assegnate ai produttori quote individuali che, nel loro insieme, potrebbero eccedere la quota all'Italia spettante per il 1993-94 (art.2, 6° comma), con l'impegno di riportare, in tre anni, l'insieme delle quote al livello imposto dalla Comunità (art.2, 8° comma), e ciò attraverso il finanziamento di piani di abbandono volontari e la riduzione obbligatoria e non compensata della quota B (art.2, 9° comma), nonché tramite la previsione della perdita della quota per mancata produzione e commercializzazione per un periodo di 12/24 mesi (art.2, 4° comma).

L'attribuzione delle quote A e B spetta, però, solo ai produttori aderenti alla Associazione dei produttori riuniti nell'UNALAT e nell'AZOOLAT (art.2, 2° comma), dato che ai non aderenti ad alcuna associazione è attribuita solo la quota indicata negli allegati al decreto MAF del 26 maggio 1992 (Allegato sub 44), ovvero pari al latte commercializzato nell'anno 1990-91 o 1991-92 (art.2, 3° comma), mentre nessuna quota può essere concessa a chi non è compreso nei suddetti allegati (art.2, 5° comma).

 

6.8     L'assegnazione individuale delle quote rendeva assolutamente improcrastinabile l'accertamento, azienda per azienda, della produzione lattiera. D'altra parte, a tener conto del "compromesso del Consiglio" (v. nota del Direttore generale dell'agricoltura, Guy Legras, al nostro rappresentante permanente presso la CEE, amb. Federico di Roberto, del 1° aprile 1993,  Allegato sub 5), la legge n.468/92 - che il dott. Legras, nella nota suindicata, critica come contraria al suddetto "compromesso"- doveva ritenersi, per il sistema di accertamento e di controllo, il "corrispettivo" dell'impegno della CEE di aumentare il nostro QGG di 0,9 milioni di tonnellate di latte a partire dalla campagna 1993-94, impegno dalla CEE rispettato, sia pure in via provvisoria, con provvedimento del 17 dicembre 1992 (appena venti giorni dopo l'approvazione della nostra legge).

Le quote vengono assegnate dall'AIMA attraverso la pubblicazione degli elenchi (i c.d. "bollettini") dei produttori con produzione commercializzata, come si è detto, nel 1988-89 (per gli aderenti alle Associazioni di produttori) o nel 1991-92 (per i produttori non-aderenti ad alcuna associazione), e, perciò, attraverso un atto che si caratterizza in termini anche ricognitivi e non esclusivamente costitutivi.

La prima conoscenza dei dati da parte dell'AIMA è avvenuta in base alla documentazione presentata dai produttori alle rispettive Associazioni e ai dati forniti dall'UNALAT in forza di circolari AIMA (v. anche nota dell’AIMA a questa Commissione dell’11 aprile 1997: Allegato sub 45), essendo stata l'UNALAT delegata  de facto, sin dal 1988, della gestione del regime delle quote. Su tali documentazioni l'AIMA pubblica, nel gennaio 1993, il 1° bollettino definito "provvisorio"; nel marzo 1993 il 2° bollettino, anch'esso definito provvisorio e nel luglio 1993 il 3° bollettino, anch'esso definito provvisorio, contenente gli elenchi aggiornati dei produttori per la campagna 1993-94.

La seconda fase di conoscenza dei dati si apre con i controlli effettuati, su incarico dell'AIMA, dal Consorzio controlli integrati in agricoltura (CCIA) sulla base di una convenzione-quadro stipulata il 26 maggio 1992 (Allegato sub 46) e di due “atti esecutivi” sottoscritti nella stessa data del 22 marzo 1994 e per un corrispettivo complessivo di 32.450.000.000 (v. Allegati sub 47 e 48), mentre le Regioni - che, in virtù della legge n.468/92, sarebbero dovute essere i soggetti deputati al controllo (v. infra, par. 6.9) - eseguono controlli a campione su disposizione dell'AIMA che, in applicazione dell'art.16, 13° comma, DPR n.569/93,  non dovevano essere inferiori al 40% degli acquirenti e al 5% dei produttori titolari di quote vendite dirette. Sui dati forniti dal CCIA, l'AIMA pubblica il 4° bollettino il 10 dicembre 1993.

Ma, ai sensi della legge, la conoscenza dei dati deve avvenire attraverso le comunicazioni dei controlli effettuati da parte delle Regioni entro il 15 gennaio di ogni anno (art.2, 7° comma, DPR); comunicazioni che dovrebbero consentire all'AIMA di pubblicare i bollettini entro il 31 gennaio (art.6, 1° comma, DPR) e di trasmetterli alle Regioni entro il 20 febbraio successivo (art.6, 1° comma, DPR), le  quali, a loro volta, hanno l'obbligo di trasmetterli agli uffici periferici entro il 10 marzo (art.2, 2° comma, DPR), onde siano posti a conoscenza dei produttori interessati (art.6, 3° comma, DPR) prima dell'inizio della nuova campagna.

La conoscenza dei dati avviene, ancora, attraverso le comunicazioni dei contratti di vendita e di "affitto" delle quote la cui documentazione è stata giudicata "idonea" dalle Regioni, che hanno l'obbligo di comunicare i nomi dei produttori all'AIMA entro il 15 gennaio di ciascun anno (art.18, 9° comma, ed art.20, 10° comma, DPR) onde siano modificati i bollettini.

Qui è opportuno ricordare i dati dei vari bollettini che, per la campagna 1993-94, riguardano oltre 165.000 aziende con un'assegnazione di oltre 12.000.000 t. di quota, con il bollettino n.3 (pubblicato il 31 luglio 1993), e circa 138.000 aziende con una assegnazione di 11.400.000 t. di quota, con il bollettino n.4 (pubblicato il 10 dicembre 1993); mentre, per la campagna 1994-95, riguardano: circa 107.000 aziende con una assegnazione di circa 9.600.000 t. di quota, con il bollettino n.1 (pubblicato il 29 aprile 1994), e circa 112.000 aziende per 10.500.000 t. di quota, con il bollettino n.2 (pubblicato il 15 dicembre 1994) a seguito anche dei controlli operati direttamente dalla CEE (v. documento COM 147 def. del 19 aprile 1995, p. 4: Allegato sub 49) (v. anche infra, par. 7.2).

 

6.9     Mentre dell'anagrafe della produzione lattiera, disposta con l'art.6bis del d.l. n.391/90, regolata dal DM 14 marzo 1991 (Allegato sub 38) ed affidata all'UNALAT con la convenzione del 1° luglio 1992 (Allegato sub 42), non si ha alcun richiamo nei provvedimenti normativi nazionali, la legge n.468/92 ed il successivo DPR 23 dicembre 1993 n.569 fissano il sistema dei controlli.

In virtù di quanto è stato disposto con le suindicate normative, il controllo appartiene alle Regioni (art.2, 7° comma, legge; art.2, 5° comma DPR), alle quali è attribuito anche il potere di ridurre la quota qualora accertino che l'effettiva produzione del singolo produttore è stata inferiore del 75% della quota assegnata e ciò in un periodo consecutivo di cinque anni (art.3 DPR).

Ancora alle Regioni spetta il controllo (art.16 DPR) sulle dichiarazioni delle latterie acquirenti in merito alle quantità di latte consegnate dai produttori e sulle dichiarazioni dei produttori titolari di quote di vendite dirette - dichiarazioni (i modelli L1) che vanno trasmesse, oltre che alle Regioni, all'AIMA ed alle Associazioni di produttori, entro il 15 maggio di ogni anno (art.7 DPR)-, con il potere di applicare la sanzione del pagamento di una penalità pari all'importo del prelievo, e comunque non superiore a 20.000 ECU (art.3, Regol. n.536/93), alla latteria acquirente o al produttore titolare della quota di vendita diretta che non hanno rispettato il termine stabilito per la prescritta dichiarazione (art.7, 5 comma, DPR) e di dichiarare decaduto il produttore titolare di una quota per vendita diretta qualora non provveda a trasmettere la prescritta dichiarazione entro il 1 luglio (art.13, 5 comma DPR).

Ancora alle Regioni spettava il controllo (art.11, 6° comma DPR) della regolarità delle compensazioni che, ai sensi dell'art.5, 5° comma, legge n.468/92, venivano effettuate all'interno dell'Associazione di produttori, con il potere di applicare le sanzioni pecuniarie di cui all'art.11 legge, e di dare comunicazione all'AIMA, perché dichiarasse la decadenza delle Associazioni dalla gestione unitaria delle quote, in caso di irregolarità, da parte loro, nella compensazione o nella imputazione dei prelievi (art.11, 8° comma, DPR) [disposizione successivamente abrogata].

Ancora alle Regioni spetta il controllo sulle riduzioni (art.3 DPR) e sulle decadenze dalle quote (art.13 DPR), con l'obbligo di dare all'AIMA le necessarie comunicazioni per l'aggiornamento dei bollettini (rispettivamente art.3, 3° comma, ed art.13, 7° comma, DPR).

Infine, alle Regioni spetta il controllo (art.18, 9° comma, ed art.20, 10° comma DPR) della "idoneità" della documentazione sulla cui base risultano essere stati stipulati, entro il 30 novembre [poi spostato al 31 dicembre], acquisti o cessioni temporanee di quote-latte, con l'obbligo di darne comunicazione all'AIMA entro il successivo 15 gennaio per le modifiche dei bollettini.

 

6.10   Lo sforzo di chiarezza che, sia pure con una serie di limiti (v. nota Legras, Allegato sub 5), si era concretizzato nella legge 468/92, è vanificato con i provvedimenti normativi successivi.

A)      Il termine per la pubblicazione del bollettino per la campagna 1994/95, che ai sensi dell'art.4, 2° comma, legge n.468/92 era fissato al 31 gennaio 1994, veniva prorogato al 31 marzo 1994 con il d.l. 29 gennaio 1994 n.74 e poi al 30 aprile 1994 con il d.l. 31 marzo 1994 n.215 e con il d.l. 30 maggio 1994 n.323 convertito in legge 25 luglio 1994 n.470. Sicché il 29 aprile 1994, l'AIMA pubblica il 1° bollettino per la campagna (già iniziata) 1994/95 sulla base dei dati forniti dal consorzio CCIA, dati subito contestati dalle organizzazioni sindacali agricole, dall'Assolatte e da alcune Regioni. Si impone perciò un controllo sui dati acquisiti e così l'AIMA ripubblica un 2° bollettino per la stessa campagna 1994/95 in data 15 dicembre 1994. Peraltro, nel frattempo, con il d.l. 30 novembre 1994 n.658, veniva prorogato al 30 dicembre 1994 il termine (già del 30 novembre) per la presentazione dei contratti di cessione delle quote latte e ciò anche a seguito del già citato d.l. n.215/94, poi reiterato col d.l. n.323/94 ed infine convertito con la legge n.470/94, il quale, avendo data l'interpretazione autentica del comma 4° dell'art.2, legge n.468 "nel senso che, limitatamente alla assegnazione del quantitativo di riferimento per la campagna lattiero-casearia 1993-1994, non si verifica la perdita della quota ove il produttore abbia commercializzato, ceduto anche temporaneamente o utilizzato mediante contratti associativi la quota stessa nel periodo di osservazione compreso tra il 1° dicembre 1992 ed il 30 novembre 1993, ovvero, in caso di forza maggiore o impossibilità sopravvenuta, tra il 1° dicembre 1991 ed il 30 novembre 1993", aveva attribuito il crisma dell'ufficialità ad un numero imprecisato di transazioni di quote che non sempre (v. infra, par. 12 e 14) corrispondevano ad un'effettiva produzione, per di più inserendo nella formula, accanto all'ipotesi della cessione temporanea o "affitto" di quota, anche un'altra ipotesi, ignota al diritto comunitario, dell'utilizzazione della quota "mediante contratti associativi"(v. anche infra, par. 12.4 e 12.5).

B)      Il d.l. 23 dicembre 1994 n.727, che per la prima volta applicava la riduzione obbligatoria della quota B con esclusione dei produttori delle zone montane ai sensi della direttiva n.268/75 del 28 aprile 1975 (art.2, 1° comma) con effetto per il periodo 1995/96 (art.2, 2° comma), viene convertito nella legge 24 febbraio 1995 n.46 che contiene due disposizioni gravide di conseguenze: l'esenzione dalla riduzione viene estesa, oltre alle aree di montagna e sfavorite, anche alle isole e alle zone equiparate a quelle svantaggiate (art.2, 1° comma, lett. b); viene introdotto l'istituto della autocertificazione delle produzioni, per i casi di contenzioso circa l'ammontare delle quote individuali (art.2bis, 1° comma), facoltizzando gli acquirenti a considerare come prodotti i quantitativi autocertificati (art.2bis, 2° comma).

 

 

7.       Gli avvenimenti di quest'ultimo periodo

 

7.1     L'11 aprile 1994 tra il Ministro italiano dell'agricoltura e il Commissario dell'Agricoltura della Unione europea viene raggiunto un "accordo formale" (v. Doc. COM 150 del 18 aprile 1994: Allegato sub 50) con il quale si dà atto che, per la campagna lattiera 1994-95, era possibile ripartire, conformemente alla legge italiana, un monte-latte di 9.632.030 tonnellate (di cui 455.389 tonnellate per "vendite dirette"), dato che, "tenendo conto delle riduzioni operate in seguito a cessazioni dell'attività, a programmi di riscatto e ai vincoli posti dalla normativa italiana" (come, ad esempio, la prova fiscale documentata delle consegne e/o vendite), alla suddetta cifra si sarebbe arrivati, partendo "dall'importo iniziale delle quote assegnate pari a 11.472.000 tonnellate". Tuttavia, per l'esistenza di vari ricorsi già proposti contro le assegnazioni e/o le non-assegnazioni di quota, la Commissione avrebbe proposto al Consiglio di approvare, per il periodo 1994-95, oltre al QGG di 9.632.030 tonnellate, una riserva specifica di 298.030 tonnellate (poi attribuita dal Regol. n.1883/94 del 27 luglio 1994) che così ha portato il QGG italiano a 9.930.060 tonnellate.

 

7.2     Il 21 ottobre 1994 nel Consiglio ECOFIN (v. Allegato sub 35), i Ministri del Tesoro decidono di fissare in 3.620 miliardi l'ammontare complessivo delle somme dovute dall'Italia per il quinquennio 1989-1993, superando così le resistenze della Gran Bretagna che avrebbe voluto escludere la retroattività dell'aumento di quota di 900.000 tonnellate (v. supra, par. 3.1) alle campagne 1991-92 e 1992-93 (il che avrebbe comportato un "debito" italiano di 5.220 miliardi).

Invero, la Commissione aveva calcolato i seguenti addebiti per ciascun esercizio finanziario:

1985                                     3         miliardi

1986                                      -              -

1987                                   74              "

1988                                   84              "

1989                                 811              "

1990                                 959              "

1991                              1.104              "

1992                              1.091              "

1993                              1.255              "

I primi quattro esercizi erano già stati definiti prima dell'apertura del negoziato per l'aumento della quota e la Commissione aveva già recuperato le somme sopra indicate (v. supra, par. 6.5.).

Per i cinque esercizi 1989-93 la Commissione, accogliendo una richiesta italiana, aveva ridotto l'ammontare degli addebiti sopra indicati considerando retroattivo l'aumento di quota di 900.000 tonnellate deliberato dal Consiglio nel 1993 (v. supra, par. 3.1). In tal modo gli addebiti effettivi sarebbero ammontati a:

 

1989              397,8                miliardi  in  luogo  di            811

1990              531,4                    "       "      "       "               959

1991              615                       "       "      "       "            1.104

1992              602                       "       "      "       "            1.091

1993              627                       "       "      "       "            1.255

                     --------                                                        ---------

Totale         2.773,2                                                         5.220

 

Tanto l'Italia (che chiedeva un'ulteriore riduzione) quanto la Gran Bretagna (che contestava la retroattività dell'aumento di quota) presentavano ricorsi alla Corte di Giustizia, ricorsi poi ritirati dopo l'accordo ECOFIN che "condanna" l'Italia a pagare 3.620 miliardi.

Non può, a questo punto, essere taciuta la circostanza che la Corte dei Conti italiana, dopo aver richiesto al MiRAAF chiarimenti con la nota n.196 del 14 novembre 1994 (Allegato sub 51) e dopo aver ricevuto la risposta con nota del 7 dicembre 1994 n.35541 (Allegato sub 52), ha sollevato varie osservazioni, nella relazione del suo Ufficio speciale presso l’AIMA del 25 ottobre 1995 (Allegato sub 10, pag. 35 ss.), rilevando, in particolare, che l'Italia, per l'accordo ECOFIN del 21 ottobre 1994, si sarebbe basata non sui dati di produzione rilevati in occasione dell'attribuzione delle quote, ma su stime produttive più elevate. In sostanza, per il quinquennio 1989-93 "l'ammontare del super prelievo non avrebbe dovuto superare 1.413 miliardi rispetto ai 3.620 miliardi definiti nell'Accordo ECOFIN" (p. 43), perché pur tenendo conto della scarsa certezza dei bollettini AIMA sull'assegnazione delle quote che, per le distinte campagne 1993-94 e 1994-95 indicano cifre sempre diverse e cioè:

Bollettino n.1 del 17.1.93                                                 12.126.101 ton.

Bollettino n.2 del 31.3.93                                                 12.037.880 ton.

Bollettino n.3 del 31.7.93                                                 12.161.156 ton.

Bollettino n.4 del 10.12.93                                               11.471.957 ton.

Dati comunicati da AIMA a CEE marzo '94                      9.632.030 ton.

Dati comunicati da AIMA a CEE aprile '94                        9.583.811 ton.

Bollettino n.1 94/95 del 29.4.94                                         9.586.684 ton.

Dati comunicati da EIMA il 14.11.94                                 9.741.200 ton.

tuttavia, in relazione: a) al dato del censimento generale dell'agricoltura ISTAT del 1990 (206.368 aziende); b) all'abbandono, dopo il 1989,  della produzione lattiera di circa 16.000 aziende per oltre 1.000.000 di tonnellate di latte; c) all'indagine eseguita su una platea produttiva di 165.000 aziende (145.000 aziende controllate dal CCIA e 20.000 dalle Regioni) ovverosia su tutte le aziende ricomprese nel bollettino n.3/93 basato sull'anagrafico dell'UNALAT che aveva elaborato le stime di produzione fatte proprie dall'Italia nel novembre 1992 a sostegno della richiesta di aumento del quantitativo nazionale (v. supra, par. 6.5); d) al fatto che solo 700 aziende hanno proposto domanda di iscrizione perché erroneamente non-comprese nel suddetto bollettino n.3/93, è da ritenersi, secondo la Corte dei Conti, che "l'Amministrazione possedeva cifre abbastanza stabilizzate sull'effettivo volume di latte commercializzato nelle campagne 1988-89 e 1991-92 ed era già in possesso dei dati provvisori sul volume delle consegne effettive di latte della campagna 1993-94, anno successivo al quinquennio dell'accordo ECOFIN, dati, quest'ultimi, che confermavano sostanzialmente la validità di quelli accertati dall'AIMA" (p. 41, nonché v. i prospetti nn. 1-5 uniti alla detta relazione dell’Ufficio speciale della Corte dei Conti presso l’AIMA, prospetti che sono da considerarsi parte integrante della Relazione di questa Commissione di indagine).

Occorrerebbe, a questo punto, chiedersi perché il MiRAAF abbia preferito fondarsi su dati stimati, anziché sui dati accertati ancorché non sicuri al 100%: ovverosia, c'è da chiedersi quanto abbia pesato su tale decisione il fatto che, fin dall'inizio della disciplina comunitaria delle quote-latte, l'Italia, dopo aver accettato un QGG di 8.798.000 tonnellate, ne abbia preteso l'aumento invocando errori dei dati statistici, senza riflettere sul fatto che della necessità dell'avvio di un sistema di contingentamento si era fortemente consapevoli fin dal momento in cui ci si era resi conto della scarsa efficacia del prelievo di corresponsabilità del 1977 (v. supra, par. 2.1). In altre parole, c’è da chiedersi - ma questa è questione propria della Corte dei Conti - se la pretesa dell'aumento della quota, sollecitata con tutti i mezzi anche con quello di "ammettere" di aver sforato il QGG tanto da pagare centinaia di miliardi per ogni campagna lattiera, sia dovuta al motivo di voler difendere la rendita di posizione che gli assegnatari di quota hanno conseguito per effetto dell'attribuzione di un rilevante valore economico che il mercato ha dato alla quota in sé (v. supra, par. 4.1). D'altronde, per la stessa Corte dei Conti (v. Allegato sub 10) "appare lecito chiedersi, se in mancanza di propri dati di stima, l'amministrazione italiana potesse disattendere quelli acquisiti dal proprio organismo di intervento continuando ad accreditare, in qualche modo, quelli dell'UNALAT".

E sempre su tale punto merita essere riportata la “testimonianza” del cons. Corrado Calabrò, che è stato capo di gabinetto del Ministro Diana, allorché scrive su Agrisole del 7-13 febbraio 1997 che il Ministro Diana era riuscito, poco prima del cambio di Governo (e, perciò, prima del maggio 1994), ad ottenere, non solo l’aumento di 900.000 tonnellate, ma altresì una “multa” di soli 2.773 miliardi (v. Allegato sub 53).

Non può, peraltro, questa Commissione non rilevare quanto fosse difficile, senza adeguata preparazione forse possibile solo se ci si fosse attrezzati a partire fin dal 1977, avere dati statistici sicuri per il 1984, se si considera che ancora alla fine degli anni '70 l'Italia presentava un sistema zootecnico estremamente frammentato e contraddistinto da una forte dicotomia strutturale, nel senso che erano presenti un certo numero di aziende efficienti, con una dimensione economica paragonabile ad altri sistemi zootecnici della Comunità, e una frangia numerosissima di piccoli allevamenti con una consistenza di vacche inferiore alle 5 unità. Di qui conseguiva una sostanziale difficoltà a conoscere in maniera precisa e sistematica i dati sull'evoluzione della produzione e delle stesse strutture produttive. Specie considerando che soprattutto le piccole imprese ricorrevano a forme di vendita diretta, senza alcuna contabilità, e con la tendenza a sottostimare la reale entità della produzione commercializzata anche per "paura" che qualsiasi rilevazione dei dati aziendali venisse impiegata a fini fiscali.

Va ancora aggiunto che, ancora negli anni '80, era mancato in sede ISTAT l'aggiornamento di alcuni parametri tecnici, economici e strutturali che, tra la fine degli anni 70 e per tutto il decennio successivo, hanno subito sensibili cambiamenti, Basti pensare, per esempio, alla trasformazione nelle tecniche di conduzione degli allevamenti che hanno determinato un incremento delle rese produttive; all'abbandono di pratiche tradizionali, come lo svezzamento naturale dei vitelli; alla trasformazione delle tipologie di allevamento e al modificarsi del rapporto tra le diverse tipologie.

Invero, secondo l'ISTAT la resa unitaria delle vacche da latte sarebbe stata di 31,64 quintali, contro l'indicazione di 36,20 quintali per capo nel 1979 secondo uno studio condotto dall'Accademia Nazionale di Agricoltura (ANA) in collaborazione con l'Istituto di economia dell'Università di Bologna (v. Allegato sub 33, a cui si accenna supra, par. 6.5). E ciò può essere vero dato che è certamente vero che l'ISTAT, di sua iniziativa, ha operato una radicale revisione dei propri dati, mettendo in atto nuove metodologie di rilevazione che, applicate a partire dal 1990, hanno mutato radicalmente il quadro dei dati precedentemente forniti dall'Istituto, con particolare riguardo alle consegne (calcolate nel 1990 in 10.000.000 tonnellate, contro gli 8.400.000 computati per lo stesso anno con le vecchie metodiche) (v. nota 1 di pag. 18 della relazione dell’Ufficio speciale della Corte dei Conti presso l’AIMA, Allegato sub 10).

 

7.3     Come si è detto (supra, par. 6.7) la legge n.468/92 aveva stabilito che la quota fosse assegnata alle imprese attive nel 1988-89 sulla base della produzione da esse realizzata in tale periodo (quota A) ed agli incrementi produttivi dalle stesse conseguiti nel 1991-92 (quota B). Ma la quota B doveva essere riassorbita entro tre anni, ovvero con effetto dal 1 aprile 1995 ossia per la campagna 1995-96 secondo quanto previsto dagli accordi sottoscritti in sede comunitaria in occasione dell'aumento di quota concesso all'Italia. A tale data occorreva, dunque, rientrare nel tetto del QGG nazionale.

Poiché le quote complessivamente spettanti ai produttori risultavano ancora eccedenti rispetto alla quota nazionale, nel dicembre 1994 il Governo emana il decreto legge n.727/94 inteso a determinare i criteri per ridurre le quote dei produttori entro il tetto della quota nazionale. A tale fine veniva prevista la riduzione della quota B per tutti i produttori, con eccezione delle aziende di montagna. Ma, in sede di conversione, il Parlamento approva la legge 24 febbraio 1995 n.46 che, come si è accennato supra, par. 6.10, modifica l'impianto del decreto legge governativo. In primo luogo, vengono modificate le modalità per effettuare i tagli necessari al fine di attribuire un quantitativo complessivo di quote non superiore al quantitativo nazionale garantito, stabilendo che: si proceda ad effettuare i tagli in via prioritaria sulle quote A che avevano dato luogo a produzioni effettive al di sotto del 50% della quota stessa; successivamente si sarebbe proceduto alla riduzione lineare delle quote B, con esclusione, comunque, dei produttori delle zone montane e svantaggiate nonché delle isole e delle zone equiparate a quelle svantaggiate; introducendo, così, una disposizione diretta a concentrare le riduzioni sulle aziende che operano nelle zone maggiormente vocate all'allevamento ed a favorire forme anomale di cessioni temporanee di quote, sotto i nomina di soccida, di comodato di stalla  o di società semplice, da parte di assegnatari di quote non-riducibili (zone montane, isole, zone assimilate a quelle svantaggiate) a favore di assegnatari di quote assoggettate a riduzione (v. anche infra,  par. 12.4 e 12.5 ) con "fibrillazione" del mercato delle quote (v. audizione Sen. Robusti e dott. Carturan: Allegati sub 54 e 55).

In secondo luogo, la legge n.46/95 attribuisce ai produttori, che avevano ottenuto l’approvazione di un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico da parte delle Regioni prima dell’entrata in vigore della legge n.468/92, e che avevano già realizzato detto piano, la facoltà di ottenere l’assegnazione della quota corrispondente all’obiettivo di produzione indicato nel piano, con effetto dal periodo 1995-96, in sostituzione delle quote A e B ad essi spettanti (art.2, comma 2 bis) (v. anche infra, par. 13.1).

In terzo luogo veniva per la prima volta introdotto l’istituto della autocertificazione delle produzioni (art.2 bis della legge n.46 del 24 febbraio 1995, che convertiva, con significative modificazioni, il d.l. 23 dicembre 1994 n.727). E’ subito da precisare che l’originario decreto non prevedeva la possibilità per i produttori di autocertificare la propria produzione (v. anche supra, par. 6.1); sennonché la legge di conversione introduceva appunto tale possibilità, sia pure limitatamente ai casi di contenzioso e nelle more dell’accertamento definitivo delle posizioni individuali.

Il fenomeno, sul quale forse si è troppo equivocato, ebbe una limitata applicazione se si pone mente al fatto che:

-        si è circoscritta la possibilità di autocertificazione solo ai produttori che si trovavano in posizione di contenzioso rispetto alle risultanze del bollettino AIMA relativo all’annata lattiero-casearia 1994/95 ed al solo fine di chiudere le operazioni relative alla suddetta campagna;

-        l’autocertificazione ebbe concretamente vigore solo nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della legge n.46/95 (24 febbraio 1995) ed il termine della campagna lattiero-casearia 1995 (31 marzo 1995); a partire dalla successiva campagna infatti l’autocertificazione veniva dapprima sospesa o poi definitivamente abrogata;

-        la legge n.46/95 non imponeva agli acquirenti di ritenere valide, ai fini delle operazioni di compensazione, le quantità autocertificate, ma dava loro la semplice facoltà di operare in tal senso; è un dato di fatto, in proposito, che alcuni acquirenti (ad es. la S.p.A. Pettinicchio di Latina) non hanno ritirato nemmeno un litro di latte proveniente da quantità autocertificate;

-        l’autocertificazione riguardava la “produzione” e non, come spesso si è equivocato, la “quota-latte” (v. al riguardo circolare EIMA n.4 del 31 marzo 1995 - Allegato sub 56).

Ciò nonostante, è indubbio che possano essersi verificati casi di produttori che abbiano falsamente attestato produzioni in realtà non esistenti e che siano state utilizzate per commercializzare latte di dubbia provenienza, in modo da alterare sensibilmente il legittimo mercato del prodotto (v. anche infra, par. 14).

Va peraltro riaffermato che ove fossero stati posti in essere tutti i controlli legislativamente previsti ai vari livelli, si sarebbero senzaltro evitati, o quanto meno  ridotti, gli effetti distorsivi derivanti dall’eventuali false autocertificazioni.

Non essendo invece, come ampiamente e diffusamente dedotto in altra parte della presente relazione (v. infra, par.9.5 e 9.6), mai stata attuata alcuna forma di controllo “sostanziale”, ma essendovi sempre stato nel settore un sistema di controllo quantitativamente irrisorio e peraltro puramente cartaceo, non ci si può meravigliare se anche l’istituto delle autocertificazioni sia stato probabilmente utilizzato in maniera scorretta e forse anche truffaldina.

L'insieme di tali emendamenti avrebbe comportato, per la campagna 1995-96, lo sfondamento del QGG assegnato all'Italia. Ed invero, già con riguardo alla campagna 1994-95 erano state autocertificate quote per 167.000 tonnellate, portando a determinare una eccedenza, rispetto alle quote assegnate dall'AIMA, di circa 400.000 tonnellate (v. p. 20 della Memoria sul Problema quote latte in Italia consegnato dal dott. Catania della Direzione Generale delle Politiche comunitarie e internazionali nella sua audizione del 1 marzo 1997: Allegato sub 57), con il rischio  di dover pagare alla Comunità circa 75 miliardi di superprelievo per ogni 100.000 tonnellate di latte commercializzato al di sopra del QGG, ovverosia 300 miliardi.

Per tali motivi, il bollettino n.1, per la campagna 1995-96 (pubblicato il 1 aprile 1995), porta all'assegnazione di 9.600.000 tonnellate a favore di 110.000 aziende, l'AIMA avendo proceduto ad una riduzione lineare della quota B nella misura del 47,41%.

 

7.4     Agli emendamenti parlamentari al d.l. n.727/94 si aggiungono gli interventi giudiziari. Il bollettino n.2 del 15 dicembre 1994 (per la campagna 1994-95) viene sospeso dal TAR Sardegna (ordinanza  8 febbraio 1995: Allegato sub 58) su ricorso presentato dai produttori sardi.

La circolare 31 marzo 1995 n.4, diretta a dare attuazione alla legge n.46/1995, viene annullata dalla Corte costituzionale (sentenza 29 dicembre 1995 n.534), ma soltanto per essere andata al di là delle condizioni stabilite dalla legge, con disposizioni che sarebbero state in grado di ampliare la categoria dei beneficiari esenti dalla riduzione delle quote A e B.

L'art.2, 1° comma, della legge n.46/1995, che stabilisce la procedura di riduzione (prima, della quota A non in produzione; poi della quota B; ed il tutto con le suddette esenzioni), è dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale (sentenza 28 dicembre 1995 n.520), nella parte in cui non prevede il parere delle Regioni, nell'ipotesi in cui si intendano adottare "indirizzi generali" integrativi di quelli espressi dalla legge, mentre viene riconosciuta la non-necessità del coinvolgimento delle Regioni nel concreto procedimento di riduzione, dove entra in gioco soltanto l'adozione di provvedimenti specifici da parte dell'AIMA (Allegati sub 59 e 60).      

 

7.5     Quest'ultima sentenza della Corte costituzionale merita di essere ricordata, perché essa ha riconosciuto infondate le censure delle Regioni Lombardia e Veneto dirette a sostenere che le disposizioni statali fossero lesive della competenza regionale in quanto in contrasto con la normativa comunitaria.

Più specificamente, la Corte costituzionale ritiene: a) che l'art.2, comma 2 bis, legge n.46/1995, nel fare salvi gli obiettivi produttivi connessi ai piani di sviluppo e di miglioramento approvati prima della entrata in vigore della legge n.468/92 e già realizzati, non è in contrasto con l'art.6, 3° comma, Regol. n.2328/91 (che vieta gli aiuti agli investimenti nel settore lattiero-caseario che siano in grado di determinare il superamento delle quote assegnate), perché qui si sarebbe fuori dal regime comunitario degli aiuti; b) che l'art.2, 1° comma, lett. b (che, ai fini della esclusione dalla riduzione delle quote, equipara alle zone montane le zone svantaggiate, quelle ad esse equiparate e le isole) non è in contrasto con la normativa comunitaria, perché le direttive CEE n.268/75 e n.273/75 hanno collocato sullo stesso piano, quali "zone agricole svantaggiate", sia le zone di montagna, sia le zone svantaggiate in quanto minacciate di spopolamento, sia le zone assimilate a quelle svantaggiate nelle quali ricorrano svantaggi specifici; c) che l'art.2, 1° comma, lett. O.a (in cui si dispone, in via prioritaria, la riduzione della quota A non in produzione) non è in contrasto con la normativa comunitaria la quale non condiziona la riduzione della quota al decorso di un lasso di tempo di ragionevole durata; d) che l'art.2 bis (in cui si introduce il principio dell'autocertificazione) non è incostituzionale, perché esso non impedisce né depotenzia i controlli affidati alle Regioni in ordine al rispetto delle quote assegnate.

 

7.6     Nel tentativo di "raddrizzare" la situazione, il d.l. 15 marzo 1996 n.124 prevede la sospensione per la campagna 1996-97, dell'efficacia dell'art.2 bis del d.l. n.727/94 convertito nella legge n.46/95, sull'autocertificazione, con la conseguenza che le latterie (o "acquirenti"), al fine della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare, devono tener conto solo delle quote individuali risultanti dai bollettini aggiornati (art.1, 2° e 3° comma). Con lo stesso d.l. n.124/96 viene disposta (art.2) una nuova procedura di compensazione, ma con rinvio all'art.5,5° comma legge n.468/92, il quale attribuisce i relativi poteri ai presidenti delle Associazioni di produttori. Il suddetto decreto legge, reiterato con il d.l. 16 maggio 1996 n.260, non viene convertito.

Nel frattempo, viene pubblicato il 29 marzo 1996 un bollettino di aggiornamento per la già esaurita campagna 1995-96, il quale -tenendo conto della maggiore assegnazione di quota provocata dall'ammissione dei piani di sviluppo (art.2, comma 2 bis, legge n.46/95 di conversione del d.l. n.727/94)- provvede ad assegnare 9.700.000 di tonnellate per oltre 111.000 aziende, dopo aver ridotto, in modo lineare, la quota B di un ulteriore 26,5% (e cioè, in definitiva, rispetto alla quota B del 1994-95, del 74%).

 

7.7     Sul piano parlamentare gli anni 1995-96 vedono il Parlamento impegnato in una indagine conoscitiva sulle quote latte da parte della Commissione XIII (Agricoltura) della Camera dei Deputati (v., in particolare, il verbale della seduta del 10 settembre 1996 - audizione del commissario AIMA, dott. de Fabritiis -: Allegato sub 61), nonché in una Commissione parlamentare d'inchiesta sull'AIMA che interessa anche la gestione delle quote-latte (Allegato sub 62).

Risultano discussioni sulle quote latte anche dal verbale della 78^ seduta (16 maggio 1995) della Commissione Agricoltura del Senato (Allegato sub 63) e dal verbale della 163^ seduta, del 17 maggio 1995 dell'Assemblea del Senato (Allegato sub 64), nonché dal verbale della seduta del 9 novembre 1995 della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati per l'audizione del Ministro dott. Luchetti (Allegato sub 65), ancorché  l'argomento prevalente sia stato l'AIMA.

Va detto anche che già, il 12 maggio 1995, era stata depositata la relazione della Commissione ministeriale d’inchiesta sull’AIMA (presidente avv. Stato Francesco Lettera), che non aveva, però, preso in esame l’aspetto delle quote latte (Allegato sub 66).

Inoltre, il 17 ottobre 1996, a seguito della mozione parlamentare di alcuni deputati della Lega Nord (primo firmatario on. Comino: v. Allegato sub 67) e della pubblicazione su L’Informatore Agrario di un articolo di E. Comegna (v. Allegato sub 67 bis), il Ministro on. Pinto chiedeva al Comando dei Carabinieri Tutela Norme Comunitarie e Agroalimentari di svolgere tutte le indagini necessarie per la verifica dei fatti denunciati e l’accertamento di eventuali responsabilità (v. Allegato sub 68), ricevendo in data 19 dicembre 1996 una prima valutazione delle indagini avviate (v. Allegato sub 69).

 

7.8     Con relazione al Consiglio ed al Parlamento europeo, la Commissione UE, il 19 aprile 1995 (documento COM. 147 def., Allegato sub 49), ricorda che l'aumento di quota all'Italia di 0,9 milioni di tonnellate era subordinato all'effettiva applicazione del sistema delle quote e, in particolare, non solo alla creazione di un "organismo centrale incaricato di verificare la registrazione della produzione e la riscossione del prelievo", ma altresì alla "eventuale riscossione del prelievo presso i produttori" (p. 2); ed espone le proprie riserve "sul ruolo dato in Italia alle associazioni di produttori nella gestione di alcuni elementi del sistema, in particolare nell'ambito del meccanismo di compensazione", soprattutto con riguardo all'UNALAT per esserle stata riconosciuta "la possibilità di assumersi la responsabilità di gestire il flusso di informazioni sulle consegne del latte e su altri aspetti del sistema delle quote" (p. 3). Conclude che ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia e che "ha invitato le autorità italiane a vegliare a che le disposizioni relative alle quote vengano applicate indipendentemente dalle associazioni di produttori e che dette associazioni non si occupino comunque di nessuno degli aspetti relativi al controllo" (p. 3).

A seguito di tale relazione sostanzialmente favorevole all'Italia, il Consiglio approva il Regol. n.1552/95 del 29 giugno 1995 che aumenta definitivamente il QGG per l'Italia in 9.930.060 tonnellate, confermando - come già disposto dal Regol. n.630/95 del 23 marzo 1995- la modifica di ripartizione tra consegne (9.632.540 tonnellate) e "vendite dirette" (297.520 tonnellate).

 

7.9     Il 20 maggio 1996 la Commissione della Comunità emana un parere in cui si afferma che l'Italia è venuta meno agli obblighi previsti dalla normativa comunitaria, avendo disposto le compensazioni a livello di Associazione di produttori e poi a livello nazionale, mentre avrebbe dovuto prevederla a livello degli acquirenti o a livello nazionale; ed invita l'Italia ad adeguarsi entro due mesi dalla notifica del parere (Allegato sub 70).

Va ricordato, per comprendere appieno il problema, che il sistema di compensazione ha una ricaduta sull'effetto dissuasivo del prelievo, nonché sul "commercio" delle quote, poiché la compensazione, se è a livello di associazione, consente ai produttori che sforano il loro QGI: a) di compensare la loro maggiore produzione con le minori produzioni degli altri associati; e b) di indurli ad "acquistare" o "affittare" quote altrui per evitare lo sforamento, con ovvio aumento del "prezzo" della quota sul mercato.

Il "sistema" si complica con la possibilità - tutta italiana - di addivenire, non già a contratti di vendita o di "affitto" come previsto dalla normativa comunitaria, ma anche a forme atipiche di co-gestione, come contratti denominati "soccide" (che, tuttavia, tali non sono se non prevedano il trasferimento delle vacche dal soccidante al soccidario) o contratti di "società", e ciò a seguito dell'inserimento, nel d.l. 31 maggio 1994 n.215 (a cui si è fatto cenno supra, par. 6.10), della espressione "contratti associativi", accanto a quelle forme di cessione escluse dalla sanzione della perdita della quota per omessa produzione (v. infra, par. 12).

 

7.10   La questione quote-latte non tende a placarsi in Italia e, mentre numerosi produttori impugnano i bollettini, sul piano normativo, con un accavallarsi di disposizioni contenute in decreti-legge più volte reiterati, e più volte riprese in altri provvedimenti legislativi, vengono approvati:

a)      il decreto MiRAAF 25 ottobre 1995, il quale introduce la possibilità, per l'acquirente di latte, di sospendere l'applicazione automatica del prelievo supplementare se il conferente fornisce una fideiussione (Allegato sub 71);

b)      il d.l. 4 dicembre 1995 n.518 con il quale, oltre a differire al 31 dicembre la data del 30 novembre per la comunicazione delle cessioni delle quote senza azienda, consente la rinnovazione dell'affitto per due volte, anziché per una volta sola. Tale d.l. non sarà convertito, ma la possibilità del rinnovo per due volte e la proroga del termine dal 30 novembre al 31 dicembre, originariamente, del 1995 e, successivamente,  di ogni anno per la stipula dei contratti di vendita o di affitto della quota, sono ribadite prima dall'art.4 d.l. 23 ottobre 1996 n.552 (convertito nella legge 20 dicembre 1996 n.642) e poi, quanto alla proroga del termine, definitivamente confermata dalla legge 23 dicembre 1966 n.662 (art.2, 173° comma) collegata alla legge finanziaria per il 1997;

c)      il d.l. 31 gennaio 1996 n.41, reiterato con il d.l. 2 aprile 1996 n.182 e con il d.l. 3 giugno 1996 n.302, con cui si disponeva sia il differimento al 31 dicembre 1995 del termine del 30 novembre per la cessione delle quote, sia la possibilità del rinnovo per due volte. L'ultimo d.l. n.302/96 non sarà convertito.

d)      il d.l. 15 marzo 1996 n.124, reiterato con il d.l. 16 maggio 1996 n.260 sulla autocertificazione, di cui si è detto supra, par. 7.6;

e)      il d.l. 8 luglio 1996 n.353, reiterato con il d.l. 6 settembre 1996 n.463 e poi nuovamente reiterato con il d.l. 23 ottobre 1996 n.552, convertito (con emendamenti) nella legge 20 dicembre 1996 n.642, con il quale si dispone:

1.      la pubblicazione di un nuovo bollettino AIMA per la campagna 1995-96 in data 31 marzo 1996, sostitutivo dei bollettini pubblicati in precedenza (art.1, 1° comma);

2.      la previsione dell'acquisizione del parere del Comitato permanente delle politiche agroalimentari e forestali sui criteri per la riduzione delle quote individuali da disporsi dall'AIMA (e ciò in ossequio alla citata sentenza della Corte costituzionale n.520/1995, cui si è fatto cenno supra, par. 7.4) (art.1, 1° comma);

3.      l'abrogazione, a decorrere dal periodo 1995-96, dell'art.2 bis del d.l. n.727/94, convertito nella legge n.46/1995, sull'autocertificazione (art.1, 2° comma). La disposizione è confermata dall'art.2, 171° comma, legge 23 dicembre 1996 n.662;

4.      la procedura di compensazione nazionale, con l'indicazione dei produttori a cui favore, in ordine graduale, essa debba farsi (art.3, 1° comma), e conseguente sostituzione della corrispondente norma di cui all'art.5, 12° comma, legge n.468/92. La stessa disposizione è confermata dall'art.2, 168° comma della legge 23 dicembre 1996 n.662;

5.      l'obbligo per le latterie acquirenti di versare, entro il 31 gennaio 1997, il prelievo supplementare sulla base degli elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione nazionale (art.3, 2° comma), con conseguente inserimento di un comma (il 12° bis) all'art.5 legge n.468/92. La disposizione è confermata dall'art.2, 170° comma, legge 23 dicembre 1996 n.662;

6.      l'adozione di un programma volontario di abbandono, totale o parziale, della produzione lattiera, previa corresponsione di un'indennità ai produttori per la cessione delle quote di cui sono titolari, quote che confluiscono nella riserva nazionale e che saranno riattribuiti, dall'AIMA (art.3, comma 5bis), nella regione di provenienza (art.3, 4° e 5° commi) secondo un determinato ordine di beneficiari, tra i quali, all'ultimo posto, sono considerati i produttori a cui è stata ridotta la quota B per effetto dell'art.2 d.l. n.727/94 convertito nella legge n.46/95 (art.3, 5° comma);

7.      la proroga del termine di cessione della quota latte al 31 dicembre 1995, la possibilità della cessione solo per l'intero periodo e la possibilità del rinnovo della cessione soltanto per due volte (a cui già si è fatto cenno supra, in questo stesso paragrafo, al punto b) (art.4, 1° comma);

8.      la previsione della necessità di autenticazione delle cessioni da parte degli uffici regionali (art.4, 1quater, con inserimento del comma 2bis all'art.10 legge n.468/92).

f)       il d.l. 8 agosto 1996 n.440, reiterato con il d.l. 23 ottobre 1996 n.542, convertito (con emendamenti) nella legge 23 dicembre 1996 n.649, con il quale si stabilisce la cessazione dell'applicazione della procedura di compensazione prevista dall'art.5 legge n.468/92 con effetto retroattivo dal periodo 1995-96 e con conseguente dichiarazione di inefficacia degli adempimenti già svolti ai sensi della predetta norma (art.11, 1° comma), nonché la restituzione ai produttori, da parte delle latterie acquirenti, delle somme già trattenute, se a ciò dovute dopo l'operazione di compensazione nazionale (art.11, 3° comma). Le disposizioni suddette sono ribadite dall'art.2, 166°, 167° e 169° commi della legge 23 dicembre 1996 n.662;

g)      la legge 23 dicembre 1996 n.662 che sostituisce l'art.10, 6° comma, legge n.468/92 relativamente alle vendite ed agli affitti delle quote-latte (art.2, 173° comma).

 

7.11   Per il nuovo sistema di compensazione, circa 40.000 aziende risultano aver prodotto in esubero ed oltre 14.000 produttori vengono sottoposti a prelievo supplementare per il 1995-96 (v. definitiva circolare AIMA del 23 dicembre 1996 n.973: Allegato sub 72, omessi gli allegati).

A seguito delle contestazioni degli allevatori, viene emanato il d.l. 31 gennaio 1997, n.11, il quale, oltre a prevedere misure straordinarie per la crisi del settore lattiero-caseario, dispone (art.7) la costituzione di una Commissione governativa di indagine sulle quote latte con il compito di accertare, entro due mesi dalla data dell’insediamento (art.1, 31° comma, legge 28 marzo 1997 n.81, di conversione del d.l. n.11/97), le modalità di gestione delle quote a livello comunitario ed italiano, di individuare eventuali irregolarità nella commercializzazione del latte da parte di produttori ed acquirenti, nonché di valutare l'efficienza dei controlli svolti dalle amministrazioni competenti (ora art.1, 28° comma, legge di conversione).

Questa Commissione è stata nominata con decreto del Presidente del Consiglio in data 6 febbraio 1997 e si è insediata il giorno 25 febbraio 1997.

Acquisiti svariati documenti ed udite varie persone (funzionari del MiRAF e dell'AIMA; rappresentanti dell'UNALAT, dell'AZOOLAT e delle Organizzazioni sindacali; rappresentanti degli allevatori non-associati e dei presidenti delle Associazioni provinciali latte), la Commissione, dopo avere fin qui esposto la "storia" delle quote-latte, ora esprime le seguenti considerazioni

 

 

 

 

 


PARTE III^: LA VALUTAZIONE DELLA VICENDA

 

 

 

 

8.       Difformità tra normativa comunitaria e normativa italiana

 

8.1     Per la normativa comunitaria l'anno di riferimento italiano è il 1983 (Regol. n.856/84, nono considerando).

Per la normativa italiana l'anno di riferimento era stato fissato come 1983 con il decreto MAF del 30 settembre 1985 (Allegato sub 4), sulla cui base sono stati attribuiti i quantitativi di riferimento ai singoli produttori non-associati ed alle associazioni di produttori intese come produttore unico. Infatti, sempre con riferimento al 1983, i decreti ministeriali 2 aprile 1987 (Allegato sub 25) ed 11 aprile 1988 (Allegato sub 26) attribuiscono a) all’UNALAT il quantitativo di riferimento complessivo di 9.246.380,3 tonnellate; b) alle altre Associazioni di produttori non aderenti all’UNALAT un quantitativo complessivo di 216.755,813 t., e c) ai singoli produttori non-associati i rispettivi QRI per un totale di 294.626,442 tonnellate.

Successivamente, l’anno di riferimento è stato indicato, dalla legge n.468/92, nel 1988-89 (quanto alla quota A) e nel 1991-92 (quanto alla quota B) per i produttori associati e nel 1990-91 o nel 1991-92 per i produttori non-associati, con una disparità di trattamento, quanto all’anno base di riferimento, che non si giustifica ex art.3 Cost.

Per la primazia del diritto comunitario, la successiva opzione del legislatore italiano per un anno di riferimento diverso dal 1983 è tamquam non esset: né possono essere invocate difficoltà di rilevazioni per una pretesa inattendibilità di dati, posto che, comunque, QRI erano stati fissati individualmente, con riguardo al 1983, quanto meno per i produttori storici non-associati.

Ne consegue che il QRI per ogni allevatore italiano è dato dalla produzione che egli commercializzava nel 1983, e dunque dalla produzione comunicata al MAF, tramite AIA, con le dichiarazioni cui tutti gli allevatori erano tenuti e che - secondo quanto dichiara l'AIA nella sua nota del 12 marzo 1997 (Allegato sub 73) e nella sua nota dell’8 aprile 1997 (Allegato sub 74, con cui trasmetteva i dati aziendali del censimento 1983) e dal dott. Catania (audizione Allegato sub 43) - sono state, a suo tempo (settembre 1987), consegnate dall'AIA (il cui presidente era stato il dott. Carlo Venino) all'UNALAT (il cui presidente era divenuto lo stesso dott. Carlo Venino) la quale ancora le detiene.

Conseguenza ulteriore della disposizione del diritto comunitario è che la disposizione dell’art.1, 3° comma, legge n.201/1991, la quale stabilisce che gli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari si applicano, sul territorio nazionale, solo a partire dal periodo 1991-92 (poi spostato a partire dall’anno 1992-93) - disposizione che è servita agli ex-ministri Pandolfi e Mannino per essere “assolti” dalla responsabilità per danno erariale (v. supra, par. 6.1 e 6.4) -, nella misura in cui si appalesa ictu oculi chiaramente in contrasto con l’intero regime comunitario del super prelievo di corresponsabilità con riguardo al settore del latte, non può ricevere applicazione né dai giudici italiani, né dalla P.A. italiana: sicché il differimento, “per il territorio nazionale”, della vigenza dei regolamenti comunitari nel nostro Paese, è tamquam non esset. Né può essere invocato, al fine di modificare l’anno di riferimento, l’art.4 Regol. n.3950/92 che richiama il QRI disponibile nell’azienda pari al quantitativo disponibile il 31 marzo 1993 (e dunque il QRI della campagna 1992-93), perché ovviamente il QRI di cui parla la normativa comunitaria è quello dell’anno base di riferimento (1981 o 1983) con le successive riduzioni e con i successivi allineamenti fissati dalla Comunità (v. nono considerando del suddetto Regolamento che qualifica il 31 marzo 1993 come “la data di scadenza dei primi periodi di applicazione del regime di prelievo”).

Ed è proprio con riguardo a tale nuovo anno di riferimento (1991-92 per i produttori non-associati) che nella nota Legras del 1° aprile 1993 (v. Allegato sub 5) si dubita della correttezza dell’art.2, 3°comma, legge n.468/92 qualora esso avesse l’effetto di ridurre i QRI dei produttori non-associati rispetto a quelli che erano stati loro assegnati in precedenza.

           

8.2     Per la normativa comunitaria l'organismo di controllo della gestione delle quote deve essere un soggetto pubblico, centrale ed indipendente, incaricato di verificare la registrazione della produzione e la riscossione del prelievo (Regol. n.4045/89, nonché Accordo formale dell'11 aprile 1994 tra MAF e Commissario CEE all'agricoltura: v. documenti COM (94) 150 def. del 18 aprile 1994 e COM (95) 147 def. del 19 aprile 1995).

Per la normativa italiana il controllo relativo all'applicazione della normativa comunitaria è, invece, affidato alle Regioni (art.8 legge n.468/92), con riserva al MAF per quanto concerne la repressione frodi. Per di più, molte delle Regioni italiane hanno frammentato le funzioni di controllo tra i Servizi decentrati agricoltura e, anzi, la Regione Toscana ha delegato, con legge regionale n.10/89, il suo potere di controllo alle Province (v. le varie risposte delle Regioni alla richiesta di questa Commissione: Allegato sub 75) (v. anche infra, par. 10.1).

E' da riconoscersi, tuttavia, che un certo ruolo di coordinamento spetta ancora all'AIMA, benché esso consista sostanzialmente nella ricezione delle comunicazioni delle Regioni, nel sollecito di certi specifici controlli e nella funzione di percettore e pagatore dei prelievi (v. anche infra, par. 10.2)..

In argomento non si può, allora, passare sotto silenzio il parere n.256 del Consiglio di Stato, Ad. gen., del 1 ottobre 1993 (Allegato sub 76) sullo schema di quello che sarebbe diventato il DPR n.569/93, per il quale "i controlli, in materia di produzione lattiera, vanno affidati ad uno specifico servizio nazionale e non possono quindi essere demandati in via esclusiva alle Regioni". Nello stesso senso, la Corte dei Conti italiana nel referto al Parlamento sugli esercizi 1991-92, ha sottolineato che "la legge n.468 nell'assetto decentrato dei controlli e della gestione del regime lattiero aveva trascurato di garantire, in conformità della normativa comunitaria, la unicità del referente nazionale, responsabile del funzionamento del regime nei confronti della Comunità".

Sul punto v. anche infra, par. 10.

 

8.3     Per la normativa comunitaria, vi è solo una riserva nazionale (Regol. n.3950/92, artt. 5 e 7).

Invece, gli artt. 9, 11° comma e 13, 6° comma DPR n.569/1993 istituiscono una "riserva regionale", attribuendo alle Regioni sostanzialmente il potere di costituirla attraverso lo strumento della decadenza dalla quota non utilizzata ( art.2 , 7° comma, legge n.468/92 ) per una successiva riassegnazione da parte della stessa Regione. Più puntuali disposizioni sono contenute nel decreto MiRAAF del 27 dicembre 1994 n.762 (Allegato sub 77).

Per la primazia del diritto comunitario, le suindicate disposizioni italiane sono tamquam non essent.

Probabilmente, può ascriversi ad una inversione di tendenza il fatto che l'art.3 d.l. n.552/1996, convertito nella legge n.642/1996, disponga che le quote oggetto dei programmi volontari di abbandono devono essere riattribuite da parte dell'AIMA, ancorché totalmente nella regione di provenienza (nuovo art.12bis, 5° comma, legge n.468/92). 

 

8.4        Per la normativa comunitaria la compensazione (o “perequazione”, per usare l’espressione del Regol. 3950/92) a partire dalla campagna 1993-94 è possibile soltanto o a livello dell’acquirente o a livello nazionale, ovverosia una sola volta e con obbligo per lo Stato membro di fare una precisa scelta (settimo considerando ed art.2, par. 1).

Per la normativa italiana secondo la legge n.468/92, la compensazione era prevista

a livello di associazioni di produttori (art.5, 5° comma, legge n.468/92 ed art.11 DPR n.569/93) e a livello nazionale (art.5, 12° comma, legge 468/92): in tal modo, mentre i produttori non-associati “godevano” di una sola compensazione, i produttori associati ne “godevano” di due.

L’Italia, posta in mora solo con il parere della Commissione del 20 maggio 1996 (Allegato sub 70), ancorché anticipato con nota del 9 marzo 1995 (Allegato sub 78) cui il nostro Paese aveva risposto con nota del 4 maggio 1995 (Allegato sub 79), ha eliminato la compensazione a livello di associazione con il d.l. 8 agosto 1996 n.440, reiterato con d.l. n.542/96, convertito nella legge 23 dicembre 1996 n.649, dichiarando, in modo esplicito, retroattiva la disposizione abolitrice.

Dunque, attualmente la normativa italiana è perfettamente conforme a quella comunitaria, avendo lo Stato italiano scelto il livello nazionale per effettuare la compensazione.

L’argomento della retroattività, tuttavia, impone di sottoporre ulteriormente a riflessione il sistema di compensazione già adottato (v. infra, par. 11.4).

 

8.5     Per la direttiva comunitaria ogni singolo produttore deve venire direttamente a conoscenza del suo QRI, onde essere consapevole del rischio di una commercializzazione di latte oltre la quota, posto che l’art.1 Regol. n.3950/92 pone a carico del produttore il prelievo supplementare. Nella nota del dott. Legras (Allegato sub 5), infatti, si afferma che dal diritto comunitario si ricava che “la sicurezza del diritto vuole che detto quantitativo di riferimento individuale venga notificato singolarmente a ciascun produttore”.

La normativa italiana (art.4, 4° comma. legge 468/92 ed art.6, 2° e 3° commi, DPR n.569/93) prevede, invece, che le Regioni, ricevuti i bollettini AIMA con l’assegnazione delle quote, provvedano a metterli  “a disposizione degli operatori presso ciascun servizio decentrato agricoltura di ogni capoluogo di provincia” (art.4 legge 468/92), “al fine di consentire l’immediata visione agli operatori interessati” e, comunque, in modo da “consentire una immediata disponibilità di copie dei bollettini per gli operatori che ne facciano richiesta” (art.6 DPR  n.569/93).

Il contrasto tra le due normative, peraltro, non può essere risolto che con una specifica disposizione nazionale modificatrice della vecchia, dato che, in questo caso, la norma comunitaria non è “capace” di essere attuata immediatamente, ma abbisogna del filtro nazionale.

 

 

9.       Gestione delle quote

 

9.1.     L’assegnazione delle quote ai produttori non-associati è disposta dal MAF, per la prima volta, con il decreto del 30 novembre 1989 n.95, integrato con decreto 26 maggio 1992 n.82 (Allegati sub 37 e 44), mentre l’assegnazione della quota all’UNALAT quale “produttore unico” era stata disposta dal MAF con decreto del 2 aprile 1987 (in via provvisoria) poi ribadita con decreto dell’11 aprile 1988 (v. Allegati sub 25 e 26; v. anche supra, par. 6.3.)

L’UNALAT non provvide a determinare quote individuali, limitandosi a segnalare ai propri associati delle “indicazioni produttive”. L’ampia discrezionalità con cui l’UNALAT ha provveduto ad assegnare o a modificare la quota di spettanza dei singoli produttori è comprovata, per esempio, dalla nota del 3 novembre 1991 (v. Allegato sub 80) con la quale il dott. Venino, presidente dell’UNALAT scriveva: “comunico che in data 28.10.91 ho provveduto, telegraficamente, ad autorizzare le Associazioni ad inserire negli elenchi dei produttori storici anche i giovani produttori”; così come è comprovata dalla circolare UNALAT n.7770 del 10 novembre 1992 (v. Allegato sub 81) , con cui si dava alle associate APL la possibilità di includere negli elenchi delle quote A, in via provvisoria, i giovani di primo insediamento che hanno presentato domanda ai sensi del Reg. CEE nr.797/85 e, poi, del Reg. CEE nr.2326/91 e che hanno ottenuto l’autorizzazione al piano di sviluppo, per la quantità di latte prevista dal piano o calcolata forfettariamente; ed i produttori che hanno presentato entro il 31 marzo 1992 alla Regione un piano di sviluppo o di miglioramento, per il quantitativo di latte previsto dal piano stesso. La detta circolare dimostra che, anche al termine del periodo di sua gestione delle quote, l’UNALAT procedeva all’inserimento di soggetti negli elenchi, senza tener conto delle preclusioni legislative che non ammettevano trattamenti speciali in sede di assegnazione di quote latte. Ed è facile rilevare quanto questa decisione abbia portato all’ingiustificata maggiorazione della quota per alcuni produttori ed al sorgere di diversi abusi perpetrati con il supporto di alcune APL per i quali vi sono procedimenti di accertamento in corso. Ed infatti, a seguito di attività di accertamento svolta dalla Guardia di Finanza, è emerso che l’UNALAT, nel redigere gli elenchi, era a conoscenza del fatto che i produttori che avevano presentato piani di sviluppo ed i giovani di primo insediamento non avevano diritto alla quota; però, provvide egualmente ad inserirli, sperando di poter poi fronteggiare la situazione con una “decisione politica”, così confermando, implicitamente, l’esistenza di uno stretto interscambio tra l’UNALAT, espressione delle organizzazioni sindacali di categoria, e il livello politico-amministrativo operante presso il Ministero.

L’attribuzione individuale delle quote ai singoli produttori associati viene prevista per la prima volta a seguito dell’emanazione della legge n.468 del 26 novembre 1992, la quale segue la “rinuncia” forzata (per la campagna 1991/1992) alla titolarità della quota da parte di UNALAT avvenuta a seguito di una burrascosa riunione tenutasi presso il MAF (ministro G. Goria) nel mese di settembre del 1991 (v. audizione Possagno: Allegato sub 82).

Durante il 1992 in diversi incontri del Consiglio Agricolo CEE, il Governo italiano aveva assunto l’impegno di ridurre in alcuni anni la super-produzione di latte sino al livello della quota riconosciuta al nostro paese, chiedendo come contropartita l’aumento del 10% della quota nazionale pari a 900.000 ton. (Consigli Agricoli tenutisi in Lussemburgo il 30 giugno 1992 e a Bruxelles il 15 luglio 1992 e il 17 novembre 1992). Occorre tuttavia precisare che l’esubero produttivo di cui si parlava in sede CEE era solamente “stimato” in base a dati statistici; infatti, l’UNALAT non aveva mai fornito dati certi sulla reale produzione complessiva di latte realizzata nel nostro paese, con conseguente grave danno erariale (v. supra, par. 7.2).

L’impegno assunto in ambito comunitario si concretizza con l’emanazione della legge n.468/92, alla cui pubblicazione (4 dicembre 1992) segue immediatamente il parere favorevole della CEE per l’aumento del 10% della quota italiana (17 dicembre 1992).

Il primo problema che si pose all’attenzione del legislatore era quello relativo alla scelta dell’anno di riferimento. Infatti, i regolamenti comunitari rinviano alla produzione commercializzata da parte degli allevatori italiani nell’anno 1983; invece, la scelta operata fu quella di individuare un anno di riferimento più recente rispetto a quello originariamente previsto. E così, invece di prendere, come riferimento, i dati del censimento AIA del 1983, venne scelto come anno di riferimento la campagna 1988/89, essendo questo l’anno in cui erano state emanate le prime disposizioni applicative per le quote in Italia (d.m. n.258 del 1989) ed in cui la CEE aveva stabilito la proroga del regime delle quote latte.

Poiché, però, nel momento dell’entrata in vigore della legge n.468/92 erano già trascorsi tre anni, il legislatore si prefisse l’obiettivo di assicurare una copertura alle aziende che, rispetto al 1988/89, avevano incrementato nel 1991/92 la produzione commercializzata. Questi incrementi vennero riconosciuti come “quota B” suscettibili di una duplice forma di riduzione; una riduzione obbligatoria (per decisioni della pubblica amministrazione) ed una riduzione volontaria (nel caso di acquisto di “quota A”).

Va detto, peraltro, che, essendo la legge n.468/92 operativa dalla campagna 1993/94, l’arco di tempo complessivo intercorrente tra l’anno di riferimento (1988/89) e l’anno di applicazione della legge (1993/94) era diventato di cinque anni. Ovverosia, si trattava di un lungo intervallo di tempo in cui le modificazioni aziendali si erano susseguite con l’intensità propria di un sistema in rapida evoluzione. Pertanto, si rendeva necessario non solo calcolare la quota spettante ad ogni singolo produttore sulla base della produzione commercializzata e documentata rispettivamente negli anni 1988/89 (quota A) e 1991/92 (quota B), ma anche documentare tutti gli eventuali passaggi intercorsi per ogni singola azienda o per parti di essa (in caso di acquisto, affitto, successione ereditaria, conferimenti in società, ovverosia in caso di mutamenti di titolarità), dall’1988/89 al 1991/92 e nel 1992/93, per calcolare le quote spettanti nel 1993/94 ai singoli produttori.

Questo criterio di attribuzione della quota individuale ha portato a “fotografare” una realtà inesistente e di scarsa rilevanza giuridica, essendo diverso l’anno di riferimento previsto dal Regolamento CEE; conseguentemente, ha favorito la dilatazione di quel fenomeno che ha assunto nel linguaggio corrente il nome di “quote di carta”. Il dott. Nanni, nel ricostruire la vicenda, ha confermato il fenomeno descritto, precisando che: “Altra distorsione che io vedo nel sistema è appunto questo riferimento a periodi vecchi, per i quali, secondo me, né l’amministrazione né nessun altro aveva i dati... quindi abbiamo fatto un grosso lavoro di ricostruzione sulla carta, e questo è l’errore di fondo, perché quando la legge 468 mi dà la quota A in base alla produzione 1988/89 e la quota B in base al 1991/92 io stesso ricostruendo sto assegnando delle quote sulla carta” (v. Allegato sub 83). I primi bollettini pubblicati dall’AIMA (utilizzando i dati UNALAT) assegnano quote individuali per un quantitativo di molto superiore rispetto alla quota di spettanza italiana. L’AIMA, preso atto dell’inaffidabilità dei dati di provenienza UNALAT e della mancata attuazione dell’anagrafe lattiero-casearia (anch’essa affidata all’UNALAT) prevista dalla legge 18 febbraio 1991 n.48, deliberava, allora, di affidare al CCIA (Consorzio Controlli Integrati in Agricoltura), per il corrispettivo di oltre 32 miliardi (v. supra, par. 6.8.) il compito di procedere alle rilevazioni tecniche per la determinazione della quota spettante ai singoli produttori in base alle quantità di prodotto commercializzato durante le campagne 1988/89 e 1991/92.

Pur prescindendo dal fatto che il CCIA risulta strettamente collegato alle organizzazioni sindacali di categoria, ovverosia ai rappresentanti dei produttori che avrebbe dovuto controllare e, quindi, “sensibile” a determinati indirizzi, va sottolineato che la scelta di affidare l’esame delle dichiarazioni dei produttori, per il calcolo della quota di loro spettanza, non ad un organismo pubblico specializzato in materia e responsabile della verifica eseguita, ma ad un raggruppamento di imprese private, non indicato da alcuna norma e non investito da responsabilità dirette e per di più incaricato mediante due “atti esecutivi” di pari data (Allegati sub 47 e 48) con conseguente frazionamento del valore globale (circostanze meritevoli di un approfondito vaglio da parte della competente autorità tutoria), è risultata quanto meno infelice poiché tuttora persiste l’erroneità dei dati forniti. Tutto ciò è avvalorato anche dai controlli eseguiti dalle Forze dell’ordine presso i produttori (v., al riguardo, la sintesi di tale attività nell’Allegato sub 84).

Gli “atti esecutivi” di cui sopra prevedono l’erogazione da parte dell’AIMA a favore del CCIA, rispettivamente di lire 11.198.060.000 e di lire 21.251.940.000.

Il ricalcolo delle quote in base alle risultanze dei controlli assertivamente operati dal CCIA, ben lungi dal risolvere il problema, ha prodotto una nutrita serie di errori: ad esempio, ha fatto sparire decine di migliaia di aziende che non erano state rintracciate, e di conseguenza ha moltiplicato gli errori di calcolo delle quote (per esempio, inizialmente furono omesse le variazioni intercorse tra il 1988/89 ed il 1992/93). A questa distorsione di fondo si è poi aggiunto l’effetto dell’errore dovuto ai ripetuti trattamenti dei dati con il passaggio da un sistema all’altro; infatti, la quasi totalità di produttori ha dovuto registrare errori di natura minore, oltre a quelli che hanno subito il danno della omissione, totale o parziale, della quota spettante.

Che i vertici del Ministero e dell’AIMA fossero a conoscenza della gravità della situazione, è confermato da un verbale di deliberazione commissariale dell’EIMA datato 22 marzo 1995 in cui si precisa che: “Il Commissario (dott. M. Are) comunica di avere ricevuto una lettera del Ministro che invita l’Ente ad operare quanto necessario per superare i problemi inerenti alle quote latte. E’ necessario, comunque, cercare di privilegiare la produzione reale di latte, mentre fino ad oggi si è tenuto conto della produzione denunciata sulla carta. ... Il commissario riesce a ribadire la necessità di addivenire ad una corretta compilazione del bollettino al fine di individuare coloro che sono destinatari delle quote latte riferite alla reale capacità produttiva e quelli che sono destinatari di quote costruite esclusivamente su documenti cartacei;... Il commissario ribadisce che il problema è la creazione di quote fittizie che ha generato truffe a danno dello Stato. Esistono soggetti che non producono latte se non sulla carta, e che hanno rivenduto le proprie quote fittizie o le hanno altrimenti negoziate...” (Allegato sub 85).

Per correggere gli errori compiuti, sono stati avviati diversi percorsi, alcuni dei quali si sono successivamente esauriti. Essi vanno dalla comunicazione individuale, al trasporto di pratiche da parte delle Associazioni Produttori Latte e presentazione informale presso gli “sportelli latte” aperti a Roma dal rilevatore privato in diverse epoche, ai ricorsi interni presentati agli SPAFA e da questi trasmessi prima alle Regioni e successivamente all’AIMA, ai ricorsi presentati alla magistratura amministrativa e a quella ordinaria.

Il dott. Nanni, primo dirigente dell’AIMA e responsabile del settore quote latte, in riferimento al contenzioso aperto lo definisce “Un contenzioso pauroso... il fenomeno del contenzioso è un fenomeno generalizzato... Noi abbiamo ricorsi da tutte le parti, abbiamo delle posizioni in Sicilia, Puglia e Calabria,  nella stessa Campania e via dicendo, dove vediamo che la quota assegnata supera la produzione e nonostante tutto arrivano i ricorsi. Qui i produttori hanno una quota addirittura in esubero rispetto alle produzioni reali della Regione; potremmo anche stare zitti anzi questa quota potremmo addirittura mandarla a regalare.” (v. Allegato sub 83).

Questa impostazione ha portato a tortuosità ed incertezze, nel sistema di riconoscimento delle quote e relative variazioni intervenute nelle medesime (acquisti ecc...), come è comprovato dall’elevatissimo numero di elenchi ufficiali dei titolari di quota pubblicati, ad ondate successive, dall’AIMA, senza peraltro giungere ad un risultato degno di una qualche attendibilità.

E così, un ulteriore danno, da assommare a quelli derivanti da un sistema volutamente ingestibile, è quello causato dai costi dei controlli pubblici che sono rimasti inattuati (ci si riferisce ai controlli deputati alle Regioni, su cui v. infra par. 10), e dai costi dei controlli privati, che continuano ad assorbire le ingenti risorse destinate ai due consorzi privati titolari dell’incarico (Consorzio per i Controlli, e Consorzio per il Sistema informatico di AIMA).

Quanto fin qui esposto fa fondatamente e ragionevolmente ritenere che i bollettini pubblicati dall’AIMA non siano mai stati e non siano tuttora attendibili, come è confermato dall’accertata pressoché totale assenza di controlli sulle posizioni produttive individuali. Di ciò è, infatti, macroscopica evidenza la verifica compiuta da questa Commissione incrociando i dati (bollettini, dichiarazioni dei primi acquirenti, numero capi risultanti dai modelli dei Servizi veterinari), di cui infra, par. 9.5 e 9.6 della presente Relazione.

 

9.2     Come già detto in precedenza, a seguito dell’emanazione del Regol. n.857/84, che fissa le norme generali per l’applicazione del prelievo nel settore del latte e dei prodotti lattiero caseari, si pose per il nostro paese la necessità di acquisire, come testualmente indicato nel decreto MAF 30 settembre 1985 “...entro il più breve tempo possibile i nominativi di tutti i produttori che hanno ceduto nel 1983 latte e/o altri prodotti lattieri... nonché i quantitativi di prodotti consegnati” (Allegato sub 4).

Al fine di ottemperare alla disposizione comunitaria, l’art.2 del suindicato decreto prevedeva che ogni singolo allevatore, il quale nel corso del 1983 avesse effettuato consegne di latte di vacca, dovesse darne comunicazione al MAF, per il tramite dell’AIA (Associazione Italiana Allevatori). Venne a tal fine predisposto un apposito modulo avente lo scopo di uniformare i dati del redigendo censimento.

Con documento trasmesso al MAF il 4 ottobre 1985, l’AIA quantificava un preventivo di spesa, per la realizzazione del censimento, pari a 11.561.844.239, precisando che avrebbe provveduto ad acquisire i “...nominativi di tutti i produttori di latte esistenti nel paese, le rispettive quantità di latte prodotto e commercializzato...” (Allegato sub 12).

Con nota n.6740 dell’8 settembre 1986 (Allegato sub 86), l’AIA comunicava  che le spese sostenute per la rilevazione ammontavano a £ 6.805.021.510, essendo pervenuto un numero di schede di rilevamento inferiore a quello preventivato. Ed il Ministero disponeva conseguentemente il disimpegno della differenza rispetto alla previsione originaria.

Il censimento in oggetto, consegnato, in data precedente al settembre 1987, a seguito di reiterate proroghe (v. MAF 3 luglio 1986 prot. 11477; AIA 23 dicembre 1986 prot. 9216; MAF 13 maggio 1987 prot. 12942, Allegati sub 87, 88 e 89), veniva accolto con un giudizio di meritevole apprezzamento (v. nota MAF del 4 settembre 1987, di cui meglio si dirà infra), tanto che si disponeva il saldo del pagamento (v. anche supra, par. 6.2).

La circostanza che i dati del censimento furono invece, successivamente, ritenuti inattendibili a livello ministeriale-politico, risulta dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte dei Conti (v. Allegati sub 6 e 10), nonché dall’audizione del dott. Catania responsabile del settore presso il Ministero a partire dalla primavera 1989 “... mi fu detto che il dato non era attendibile” (v. Allegato sub 43).

E’ da precisare che il suddetto funzionario venne insediato al posto del dimissionario dott. Possagno il quale aveva chiesto di essere sollevato dall’incarico in quanto, come ha dichiarato a questa Commissione confermando tutto quanto aveva già dichiarato al dott. Canale della Procura Generale della Corte dei Conti, si era “... stufato della situazione che esisteva.... perché non ero messo in condizioni di lavorare... se non si arrivava all’applicazione delle quote latte ci sarebbe stato... un danno erariale... perché pur avendo prodotto tutta una serie di proposte di provvedimenti per dare applicazione alle quote, questi non sono stati mai adottati a livello ministeriale” (v. Allegato sub 82).

Le motivazioni portate a sostegno dell’inattendibilità dei dati del censimento, riguarderebbero, da un lato, l’incompletezza degli stessi e, dall’altro, la mancata informatizzazione su supporto magnetico.

In sede di accesso presso gli uffici del MiRAAF, questa Commissione ha preso visione dei dati riepilogativi del censimento relativi ad ogni singola provincia, nonché alle risultanze regionali e nazionali, prendenti in considerazione anche le aziende agricole con un numero di vacche da latte compreso tra 1 e 2

I tabulati visionati si presentano nella forma di “stampe informatiche”; inoltre, a seguito di richiesta dati all’AIA, a questa Commissione  sono stati trasmessi su supporto informatico i dati relativi al censimento in oggetto per ogni singola azienda (v. nota AIA dell’12 marzo 1997: Allegato sub 73).

Da una verifica a campione effettuata sui dati relativi alla provincia di Parma, estrapolando alcuni comuni, emerge che i dati riportati nel censimento risulterebbero sostanzialmente attendibili, essendo state censite tutte le realtà produttive operanti all’epoca nelle realtà territoriali in oggetto indipendentemente dal numero dei capi.

La verifica operata contrasta con la dichiarazione rilasciata dal dott. Venino, all’epoca presidente AIA e successivamente presidente UNALAT, il quale ha dichiarato a questa Commissione che il censimento era comunque inattendibile perché da esso “... erano stati esclusi volutamente, per disposizioni calcolate, tutti gli allevamenti inferiori a due o tre capi, ritenuti non di opportuna acquisizione...” (Allegato sub 90), mentre dalla verifica di questa Commissione anche queste piccolissime aziende risultano censite (v. Tabulati censimento AIA, Allegato sub 16).

I dott. Venino e Bussi, successivamente all’audizione disposta dalla Commissione, hanno inviato un documento (Allegato sub 91), in cui ribadiscono ulteriormente che: “Il censimento aveva previsto la individuazione di tutte le aziende escludendo però la rilevazione della produzione per le aziende con meno di 3 vacche da latte”.

La Commissione, avvalendosi del servizio informatico della Guardia di Finanza, ha fatto controllare il file inviato dall’AIA. Dal controllo è emerso che il rilevamento sulle aziende censite ha riguardato anche quelle con un numero inferiore a tre capi, ottenendo i seguenti risultati (Allegato sub 91bis):

-                              n.   4.705                aziende con  n.1 capo          

-                              n. 11.432                aziende con  n.2 capi

Emerge, quindi, con assoluta evidenza (sullo specifico argomento), la non veridicità delle dichiarazioni rilasciate dai suddetti dott. Venino e Bussi, tendenti a giustificare la scelta di creare un “gestore unico della quota”, quello che poi divenne l’UNALAT, alla cui presidenza venne chiamato lo stesso dott. Venino.

Nella relazione tecnica presentata dall’AIA in data 8 agosto 1988 emergono i motivi che hanno determinato un numero inferiore di censiti rispetto alla previsione originaria. Invero, si precisava che delle 201.543 aziende,  che non avevano dato riscontro al rilevamento nel periodo compreso tra il 1983 ed il 1985, circa 86.000 aziende avevano abbandonato l’allevamento, mentre le restanti “... producono latte che non viene commercializzato perché destinato all’autoconsumo della famiglia contadina e/o per l’allevamento del vitello” (Allegato sub 92).

Quanto all’altra pretesa causa di inattendibilità, va aggiunto che l’AIA con nota n.4679 del 23 giugno 1987, in risposta alla richiesta MAF del 2 maggio 1987, precisava che: “... il rilevamento è stato completato, registrato ed archiviato su supporti meccanografici. Tali elaborazioni riguardano le seguenti informazioni: a) per provincia e per regione, i nominativi dei produttori, il numero di codice dell’azienda, l’ubicazione dell’azienda, il numero di vacche da latte detenute nel 1983 e nel 1985, i quantitativi di latte consegnati nel 1983, nella campagna 1984/85 e nel primo semestre 1985” (v. Allegato sub 92 bis).

Relativamente alla materia in oggetto risulta, allora, di particolare interesse il documento MAF del 4 settembre 1987 prot. 579 (Allegato sub 19) a firma del Ministro on. Pandolfi, nel quale si precisa che: “... possa considerarsi esaurita la fase durante la quale l’AIA ha assolto, con efficacia meritevole di apprezzamento, i compiti affidatigli da questo Ministero con il D.M. 30 settembre 1985 per l’attuazione del rilevamento della produzione nazionale di latte bovino”, e si invita la stessa AIA a trasmettere l’elenco dei produttori e le schede di rilevazione all’UNALAT, a cui nel frattempo, con decreto 2 aprile 1987, il MAF aveva provveduto ad attribuire una quota globale pari a 9.246.000 tonnellate.

Il documento in oggetto conclude precisando che: “...nessun ulteriore adempimento nessuna responsabilità potrà far carico a codesta Associazione (AIA), incombendo alla UNALAT l’onere esclusivo della gestione e del controllo delle quote e dell’eventuale riscossione del prelievo dovuto dai produttori.”

Dalla ricostruzione dei fatti relativi alla vicenda del censimento AIA, questa Commissione ritiene di poter ravvisare, nell’operato di una serie di soggetti, la determinazione a considerare inattendibili le risultanze dell’attività censitaria, la quale avrebbe consentito già di attribuire la quota ai singoli produttori, come peraltro avvenuto nei restanti paesi della CEE, e tutto ciò al fine di privilegiare la scelta dell’UNALAT come produttore unico.

 

9.3     Ribadendo quanto esposto nella parte iniziale della presente relazione (supra, par. 6.3), l’UNALAT, la cui costituzione era stata auspicata dalle tre confederazioni agricole di rilevanza nazionale (v. audizione dott. Avolio, Allegato sub 21), veniva costituita e riconosciuta quale associazione di produttori con decreto MAF 22 dicembre 1986. Non può tacersi a tal proposito che diverse audizioni acquisite da questa Commissione hanno fatto riferimento, dapprima, al fatto che “... l’UNALAT è una unione di produttori che di fatto è anche emanazione delle tre confederazioni” (Coldiretti, Confagricoltura, Cia) e, successivamente ad “... una lunga fase in cui si è cogestito il settore agricolo, non solo del latte, con le organizzazioni di categoria, con una ... commistione di ruoli insomma sicuramente poco opportuna...”.

La conferma che UNALAT è diretta emanazione delle tre maggiori organizzazioni sindacali di categoria è contenuta anche nella memoria che il dott. Venino ha trasmesso alla Commissione in cui scrive: “Le tre organizzazioni professionali agricole (Coldiretti, Confagricoltura, Confcoltivatori) hanno promosso nel 1986 la costituzione di UNALAT” (Allegato sub 91).

Anche la scelta delle annate di riferimento, 1988-89 per la quota A e 1991-92 per la quota B fu  “...la risultanza di forti pressioni delle organizzazioni agricole che ... fecero pressione perché le quote non venissero attribuite, come era fisiologico,... sulla base della situazione di quel momento...” (v. audizione dott. Catania, Allegato sub 43).

Che la volontà di giungere alla costituzione di UNALAT costituisse un preciso obiettivo delle organizzazioni sindacali agricole risulta confermata da altre audizioni disposte da questa Commissione (v. Allegato sub 90 audizione Venino).

Il 23 maggio 1985 la CEE promulga il Regol. n.1305/85 modificativo dell’art.12 del Reg. 857/84, accogliendo la sollecitazione del Governo italiano, affinché le Associazioni di produttori e la loro Unione potessero assumere il ruolo di produttore unico.

Sulla scorta di tale modificazione, il 23 luglio 1986 viene costituita, come si è detto, l’UNALAT, riconosciuta a distanza di pochi mesi con il decreto 22 dicembre 1986, alla quale è successivamente assegnato, prima in via provvisoria e poi in via definitiva, la quasi totalità della “quota nazionale” (v. supra, par. 6.3).

In merito ai motivi che hanno indotto alla scelta del gestore unico si riscontra una concordanza di valutazioni da parte dei rappresentanti nazionali delle organizzazioni professionali agricole, come desumibile dal testo delle relative audizioni. Esemplari sono le risposte fornite dal dott. Micolini: “le confederazioni ... nello stesso tempo avevano messo in piedi l’organizzazione degli allevatori, l’UNALAT che era lo strumento attuativo...” (Allegato, sub 93), e dal dott. Avolio “Inizialmente siamo stati tutti più o meno concordi nel ritenere che il bacino unico favoriva la sistemazione di questa cosa secondo l’opinione del Ministro del tempo che era Pandolfi” (Allegato, sub 21).

La motivazione addotta per giustificare la scelta strategica di non assegnare la quota ai singoli produttori agricoli, ma di conferirla all’UNALAT in veste di produttore unico, (fatte salve le eccezioni marginali rappresentate dai produttori non associati e da coloro che, in una seconda fase, aderirono all’unica associazione di produttori esterna all’Unione, l’AZOOLAT), consiste nel presunto ritardo “economico-organizzativo” in cui si trovava il settore lattiero caseario nazionale rispetto alla struttura economico-produttiva dei paesi europei a maggiore vocazione zootecnica.

In proposito il dott. Avolio precisa che: “Eravamo (riferito alle tre centrali sindacali agricole) arrivati a questa conclusione, che questa richiesta del bacino unico avrebbe consentito poi di sistemare bene le cose per arrivare in una fase successiva all’assegnazione [individuale] cui inizialmente non eravamo pronti.”

Nella ricostruzione della “mancata gestione” della materia “quote latte”, il dott. Catania (Allegato sub 43) individua un periodo di assoluto vuoto gestionale che va “dall’entrata in vigore del regime alla metà del 1989, il cui il Ministro è cambiato, ed il nuovo Ministro chiede di dare corso all’applicazione del regime”. Infatti, in data 20 luglio 1989 viene emanato il decreto ministeriale n.258 che introduce i criteri di gestione del regime quote latte.

Il tentativo di applicazione del regime quote, peraltro tardivo rispetto al regolamento comunitario, si rileva infruttuoso. Lo stesso dott. Catania lo definisce come “strada impraticabile”, perché “...l’UNALAT è alla fin fine il soggetto meno adatto a gestire una materia di questo tipo, perché è la rappresentanza della produzione ed ha tutto l’interesse a non applicare affatto il regime; ... ed è un dato di fatto che loro non fanno tutta quella serie di adempimenti [che il decreto] del 1988 gli conferiva”.

Nella normativa di cui sopra si evidenzia l’assenza di disposizioni sanzionatorie, che caratterizzerà, purtroppo senza eccezioni,  anche le leggi successive; questa carenza è foriera di effetti negativi. Infatti, un sistema di contingentamento della produzione, com’è quello delle “quote latte”, può essere gestito e produrre, quindi, gli effetti desiderati, solo a fronte di previsioni sanzionatorie.

Il sistema di gestione quote, mediante il produttore unico, nasce con un grave difetto di origine: infatti, l’UNALAT non provvede ad assegnare la quota ai singoli produttori, aggirando lo spirito dello stesso Regolamento comunitario, e creando incertezza presso i singoli in merito alla produzione da essi realizzabile.

A seguito dell’art.3 del Regol. CEE 775/87, adottato su richiesta esplicita del nostro Paese a che la quota venisse riconosciuta anche alle Unioni dei produttori (ossia, in Italia, all’UNALAT), l’elemento minimale per il buon funzionamento del sistema consisteva nell’imputare ai singoli la quota da essi commercializzabile.

La stessa UNALAT, in un documento inviato al Ministro dell’agricoltura in data 18 dicembre 1987 n.8661/87, ribadisce con forza la necessità di “quantificare e di certificare con esattezza la quantità di latte prodotta da ciascun azienda...” (Allegato sub 94). Purtroppo alle “buone intenzioni” l’UNALAT non dava concreta operatività.

A seguito di un’ingiunzione da parte della CEE nei confronti del nostro Paese per uno stimato superamento del quantitativo assegnato nell’ordine di circa 300 miliardi durante le campagne 1985-86, 1986-87 e 1987-88, il MAF sente l’esigenza di conoscere i dati produttivi relativi alle campagne medesime. Questo porta lo stesso Ministero ad affidare ad UNALAT una rilevazione straordinaria dei dati produttivi con un costo di circa 8 miliardi, che l’UNALAT svolge con l’ausilio delle tre organizzazioni professionali. Da materiale acquisito da questa Commissione risulta che venne stabilito un “costo scheda” per ogni azienda rilevata di circa lire 30.000 e che il MAF ha esercitato, mediante una propria commissione, un controllo puramente cartaceo sull’accertamento in questione, senza riscontrare, peraltro,  alcuna inadempienza.

Le risultanze della rilevazione appaiono peraltro inutili. Infatti, la successiva legge n.468/92 prende in considerazione, come primo anno di riferimento, il 1988-89, ossia l’anno successivo a quello oggetto del rilevamento.

L’incertezza dei dati produttivi, derivante dalle segnalate discrasie del gestore unico, ha avuto come conseguenza l’effetto di “... addossare allo Stato l’onere conseguente alla mancata riscossione del prelievo per tutto il periodo nel quale il regime delle quote non ha trovato applicazione in Italia” (relazione dell’Ufficio speciale della Corte dei Conti presso l’AIMA: Allegato sub 10). Infatti, la legge n.201/91 ha posto a carico del bilancio AIMA (e quindi dello Stato) l’onere del prelievo per il periodo dal 1987 al 1991 e, in mancanza di documentazione in argomento deve ritenersi che l’Amministrazione abbia tacitamente esonerato l’UNALAT dalle conseguenze economiche derivanti dalle sue inadempienze, con ingiustificato addebito a carico della collettività (v. anche infra, par. 11.1).

Oltre alle migliaia di miliardi versati direttamente dallo Stato alla CEE a seguito della “mancata gestione” della materia quote latte (in forma di superprelievo per uno “stimato” eccesso di produzione), devono aggiungersi ulteriori danni economici, anch’essi assai rilevanti, strettamente connessi alla mancata applicazione del regime. Un esempio recente è costituito dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, datata 5 dicembre 1996, in cui si condanna l’Italia all’esclusione da oltre 103 miliardi di lire nell’ambito di un programma di ristrutturazione della produzione lattiera, perché “L’Italia all’epoca [1991] non applicava il regime delle quote lattiere, ed in particolare non aveva assegnato i quantitativi di riferimento...” (v. Allegato sub 95)

Malgrado i precedenti, nello stesso anno di emanazione della legge n.201/91 veniva previsto, con la legge 18 febbraio 1991 n.48 di conversione del d.l. 391/91,  che “al fine di garantire l’applicazione del regime di cui al Reg. CEE 857/84 è istituita l’anagrafe della produzione lattiero casearia. La raccolta e l’elaborazione informatizzata è affidata all’AIMA, per essere realizzata attraverso le unioni nazionali riconosciute... sotto il controllo del MAF ” (art.6 bis); e poiché all’epoca l’UNALAT era l’unica unione riconosciuta, è sempre a lei che si fa riferimento.

Da notare che per la prima volta l’AIMA viene coinvolta direttamente nella vicenda relativa all’applicazione del regime quote; ma, pur costituendo una base fondamentale per la determinazione dei quantitativi individuali di riferimento (l’iscrizione condizionava l’attribuzione delle quote individuali), l’attuazione dell’anagrafe è stata sorprendentemente differita nel tempo.

Peraltro, la Commissione, durante l’audizione del dott. Catania, avendo espresso perplessità sull’affidamento dell’anagrafe all’UNALAT, otteneva la  risposta: “... noi abbiamo vissuto una lunga fase in cui si è gestito il settore agricolo, non solo di latte, con le organizzazioni di categoria, con una ... commistione di ruoli... sicuramente poco opportuna” (Allegato sub 43).

Anche oggi la quantificazione del patrimonio zootecnico dei singoli allevatori, che costituisce, ad avviso di questa Commissione, l’elemento base per procedere all’instaurazione di un serio meccanismo di gestione e di controllo del sistema, finalizzato ad evitare frodi ed abusi, purtroppo copiosamente riscontrati, non è realizzata, e solo con gli ultimi provvedimenti legislativi sembra avviata alla concretizzazione. Tuttavia, questa Commissione non può nascondere le sue perplessità in ordine a quanto disposto dall’art.1, 36° comma, legge 28 marzo 1997 n.81 di conversione del d.l. 31 gennaio 1997 n.11 istitutivo dell’anagrafe bovina, in cui si attribuisce tale compito al Ministero della Sanità sulla base dei dati trasmessi dall’AIA. Infatti, i dati relativi ai bovini risultano già in possesso della Pubblica Amministrazione e, nello specifico, dei Servizi veterinari delle ASL. Anche se, in un numero marginale di casi, alcune ASL, violando gli obblighi loro imposti dalla legge 23 dicembre 1978 n.833, art.14 lettera p) hanno comunicato a questa Commissione di non aver eseguito i controlli veterinari, adducendo come esimente la carenza di personale. (vedi ASL BA/5 di Putignano, ASL Caserta 2, ASL CE/2 Aversa) (Allegato sub 96). Inoltre, nel corso dei controlli svolti da questa Commissione, sono emerse differenze tra il numero delle bovine registrato dalle ASL rispetto a quello registrato dall’AIA per i propri associati.

Sembrerebbe, quindi, possibile una “ricostruzione” dell’anagrafe direttamente da parte della P.A. sulla base dei dati già in suo possesso, integrando eventualmente le marginali lacune emerse a causa delle inadempienze di alcune ASL (v. anche infra, par. 15).

Concludendo, l’attività di “governo delle quote” (intendendo questa espressione in senso eufemistico), svolta dall’UNALAT, appare a questa Commissione assolutamente inadeguata; infatti, il funzionario responsabile dell’ufficio che si occupa delle Associazioni dei Produttori presso la Direzione Generale delle Politiche Agricole ed Agroindustriali Nazionali, il dott. G. Ciotti, con una comunicazione trasmessa al Ministro ed alla Procura della Corte dei Conti, datata 11 febbraio 1997, precisa che: “... l’UNALAT che controlla il 95% dei produttori di latte italiani, avrebbe dovuto controllare la produzione nel rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa che disciplina l’aiuto al settore. Quanto sopra, invece, non è avvenuto e si è originato così il fenomeno di splafonamento delle quote latte che ha comportato sanzioni dell’UE nei confronti dei produttori eccedentari. L’UNALAT ha ricevuto... finanziamenti vari in base alla L. 752/86, per svolgere un servizio ai soci che, in realtà  si è rivelato inesistente” (Allegato sub 97).

La conclusione a cui giunge il suddetto funzionario (con un ritardo quanto meno anomalo, essendo la comunicazione in oggetto successiva di 11 giorni alla pubblicazione del d.l. n.11 del 31 gennaio 1997 istitutivo di questa Commissione) non può che essere evidenziata: “...risulta poco comprensibile come queste unioni eclissatesi completamente dal panorama della politica agricola nazionale, possano ancora esistere invece di essere cancellate in base all’art.8 lett. a del Regol. n.1360/78”.

In riferimento alle enormi risorse finanziarie pubbliche, destinate all’UNALAT, è emerso che i finanziamenti complessivamente elargiti superano i 625 miliardi di lire. Infatti, come si ricava dall’Allegato sub 97 bis:

-        l’AIMA ha versato all’UNALAT (per quanto attiene ai fondi comunitari), l’importo di lire  299.541.404.630;

-        l’Ufficio Associazionismo del Ministero ha impegnato per l’UNALAT l’importo di lire 12.148.672.000;

-        l’AIMA ha versato all’UNALAT (per quanto attiene ai fondi nazionali), l’importo di lire 313.381.110.790.

D’altronde, che la gestione dell’intero sistema delle quote latte sia stata, quanto meno anomalo se non addirittura commista con l’organizzazione politico-sindacale, trova ulteriore conferma dalle audizioni assunte da questa Commissione: da un lato, infatti, il dott. Catania, relativamente all’entrata in vigore della legge n.468/92 riferisce che: “... viene chiesto a livello politico dalla Commissione, dal Consiglio a Bruxelles al nostro Ministro, al nostro Governo, di dare chiara dimostrazione che non giochiamo più, che questa volta facciamo sul serio”; dall’altro lato è lo stesso Presidente della Coldiretti, dott. Micolini, che testualmente riferisce “... da quando sono diventato presidente poco dopo ho cominciato a dire... state attenti amici che è finita la cuccagna, bisogna rispettare le regole...” (v. audizioni Catania e Micolini: Allegati sub 43 e 93).

In aggiunta, si ricorda (essendo già stata oggetto di pubblicazione sulla stampa nazionale) che, nei confronti dell’operato di soggetti ricoprenti incarichi rilevanti all’interno dell’UNALAT e dell’AIMA, sono state ravvisate le ipotesi di reato di cui agli art.323 c.p. (abuso d’ufficio), 640 bis c.p. (truffa ai danni dello Stato) e 480 c.p. (falso ideologico), per la somma di  lire 11.827.808.045.

 

9.4     Con l’emanazione della legge 26 novembre 1992 n.468, l’AIMA è investita del compito di “pubblicare gli elenchi dei produttori titolari di quota...” (art.2, 1° comma) e, anche a seguito del Regol. 536/93, viene designata come organismo centrale responsabile della supervisione e del coordinamento delle attività di controllo che con la legge n.468/92 vengono demandate alle Regioni.

Oltre alla pubblicazione dei bollettini dei titolari di quota, l’AIMA viene investita del compito di individuare, in base al riscontro di determinati parametri oggettivi (livelli di commercializzazione), l’ammontare delle quote spettanti ai singoli produttori e di effettuare, nei termini delle disposizioni nazionali e comunitarie, la compensazione nazionale per determinare l’ammontare del prelievo dovuto dai produttori eccedentari.

I primi bollettini vengono pubblicati utilizzando dati forniti dall’UNALAT, la quale, a sua volta, aveva utilizzato i dati forniti dai produttori tramite le APL. Le quote individuali per la campagna 1994/95 vennero, quindi, calcolate con riferimento alla quantità di produzione “verificata” nelle campagne 1988/89 e 1991/92, come risultava dalle schede di controllo inserite nello schedario.

Sull’attendibilità del censimento svolto da UNALAT, avvalendosi della partecipazione (ben retribuita) delle organizzazioni sindacali di categoria (che aveva prodotto 171.346 schede), appare chiarificante l’analisi eseguita dagli specialisti della cellula informatica del FEOGA, i quali oltre a precisare che “l’analisi rilevava che l’EIMA non aveva ancora trasmesso una copia completa dello schedario”, riscontravano una quantità di errori tali da concludere che: “Astrazione fatta delle difficoltà provenienti dall’introduzione di dati erronei, incompleti o doppi, il FEOGA ritiene che la concezione del sistema causa l’insuccesso del trattamento informatico” (v. nota Commissione europea del 1° luglio 1994: Allegato sub 98).

La verifica operata dal FEOGA appena qualche tempo dopo la missione di controllo in Italia (il 20/24 giugno 1994) aveva portato a constatare "6.582 doppie registrazioni per circa 432.000 tonnellate di consegna nel 1991/92 apparentemente introdotte due volte; 10.902 registrazioni di produttori apparentemente senza codice fiscale, né codice IVA - ciò che dovrebbe essere impossibile - per un quantitativo di 287.492 tonnellate di consegne nel 1991/92 attestate; registrazioni relative a 31.953 produttori dove nel 1991/92 venivano attestate 1.066.564 tonnellate, senza riferimento ad un’associazione di produttori, mentre le consegne dei produttori non-associati sono reputate essere solo un decimo di questo importo. I risultati di tale verifica vennero trasmessi dalla Commissione europea, al Direttore Generale del Ministero dell’Agricoltura ed al Direttore Generale dell’AIMA, senza tuttavia che venissero assunti i provvedimenti richiesti dalla gravità del caso.

Intanto, il monte quote risultante dai bollettini in oggetto, come precedentemente specificato (v. anche supra, par. 6.8), si rilevò estremamente elevato:

-        Bollettino n.1 del 17.1.93                       12.126.101 ton.

-        Bollettino n.2 del 31.3.93                       12.037.880 ton.

-        Bollettino n.3 del 31.7.93                       12.161.156 ton.                                      

Nel tentativo di porre rimedio ad una assegnazione di quote che superava di oltre due milioni di tonnellate il quantitativo attribuito al nostro paese dalla Comunità Europea, vennero disposti controlli sui produttori, ad opera del CCIA (Consorzio Controlli integrati in Agricoltura), le cui risultanze vennero elaborate dallo CSIA (Consorzio Sistema Informatico AIMA). Ma i controlli coinvolsero solamente una parte dei titolari di quota. Infatti, a fronte di 171.346 soggetti, il CCIA provvedeva a controllane solamente il 17,5%.

Anche l’attività svolta dal Consorzio informatico CSIA non può essere esente da osservazioni. Infatti, a seguito delle verifiche svolte in sede di “controlli incrociati” da parte del personale informatico della Guardia di Finanza per conto di questa Commissione, è emerso che i criteri di trattazione informatica dei dati non consentono di appurare la reale fondatezza delle informazioni gestite (manca l’indicazione del numero dei capi; non è previsto un sistema automatico di verifica dei codici fiscali errati; manca la verifica di eventuali posizione doppie non coerenti.

A conferma di quanto sopra, a seguito dei controlli incrociati operati dalla Commissione, verificando la eventuale discordanza tra le partite IVA ed i codici fiscali dei produttori riportate nel bollettino e negli L/1, è emerso, ad una sommaria verifica, che nel bollettino 1995/96 sono presenti circa 15.000 posizioni con partita IVA o codice fiscale “anomali”; e che anche nell’ultimo bollettino pubblicato, relativo alla campagna lattiera 1997/98, sono risultate presenti oltre 9.000 posizioni con partita IVA e/o codice fiscale errati.

Risulta palese una consistente presenza di fenomeni truffaldini posti in essere da taluni primi acquirenti con la complicità di titolari di “quote di carta”; occorre anche sottolineare come fenomeni di questo tipo non possano essersi realizzati e sviluppati se non con l’avallo dei responsabili delle APL (quanto meno nella forma della culpa in vigilando), in molti casi oggetto di procedimenti in itinere dell’autorità giudiziaria penale (v. infra par. 14). Infatti, i primi soggetti, che per vicinanza alla realtà produttiva e conoscenza del “tessuto” degli acquirenti sono in grado di svolgere un “controllo” sulle irregolarità che vengono commesse dai propri associati, risultano ovviamente i dirigenti delle Associazioni Produttori Latte.

A questo va aggiunto che in molti casi le sedi delle APL o delle organizzazioni sindacali, sono state il luogo fisico dove si è svolto, “a tavolino”, il controllo affidato dall’AIMA al CCIA, con la conseguenza di creare un flusso informativo, in parte “artefatto”, che si ripercuote ancora oggi nella gestione dei dati da parte dell’AIMA.

A fronte della conclamata inefficienza nella gestione dati, della quale il Ministero ed i vertici AIMA erano, ancora una volta, perfettamente a conoscenza, si riscontra un ingentissimo costo a carico dell’erario. Infatti, l’attività del consorzio CSIA  (di cui, si ricorda, sono parte le tre organizzazioni sindacali di categoria) costa all’erario circa lire 72 miliardi all’anno, mentre può dirsi, a titolo di confronto, che la gestione informatica a livello nazionale della Guardia di Finanza  viene realizzata con lire 11 miliardi.

La consapevolezza della situazione, da parte dei vertici del Ministero e dell’AIMA, è comprovata dal verbale della deliberazione commissariale AIMA del 9 maggio 1995, in cui il commissario delegato (dott. Are) dichiara: “In via preliminare esiste una situazione estremamente pesante e di estrema debolezza per l’Ente perché si avvale di un sistema che è una stratificazione di rapporti piuttosto che una loro razionale costruzione. Allo stato attuale.... non esiste certificazione del patrimonio informatico di proprietà dell’EIMA” (v. Allegato sub 85).

Nel medesimo verbale viene fatto riferimento ad una offerta da parte della società FINSIEL per una gestione informatica dell’EIMA che “ è di gran lunga inferiore ai costi attualmente sopportati dall’Ente”.

La cognizione dell’ingiustificatezza dei costi sostenuti è palesata da una dichiarazione del commissario EIMA riportata nello stesso verbale: “Pertanto, la prosecuzione temporanea dei rapporti alle stesse condizioni economiche con gli attuali gestori (CSIA) cagionerebbe un danno all’Ente”.

A seguito delle risultanze di cui sopra, risulta difficilmente comprensibile, a questa Commissione, cogliere se sussistano le ragioni oggettive che hanno portato alla prosecuzione del rapporto tra l’AIMA e il CSIA.

Dunque, la scelta di avvalersi dei detti Consorzi appare quanto meno poco felice. Infatti, da diverse audizioni emerge che anche il CCIA è espressione, nemmeno troppo indiretta, dei sindacati di categoria, o quantomeno di alcuni di essi. Ad esempio, per dichiarazione dello stesso dott. Micolini, presidente della Coldiretti, a domanda specifica circa la composizione del CCIA, ha risposto: “Le posso dire che sono società private nate credo all’interno di Confagricoltura...”(v. Allegato sub 93).

Oltre ai mancati controlli del CCIA, l’AIMA, confermando le risultanze di questa Commissione ha dichiarato, per mano del Direttore generale reggente (dott. Lazzereschi) che ha risposto ad una specifica richiesta scritta, che “Numerosi casi sono stati sottoposti alle indagini della Guardia di Finanza...”, oltre ad indagini su 35 casi sollecitate al Corpo Forestale. Invece, alla Guardia di Finanza risultano pervenute solamente richieste relative a controlli amministrativi, peraltro subito restituite perché non di competenza del Corpo ma dell’organo di gestione del sistema delle quote. Sotto questo profilo appare insoddisfacente la dichiarazione contenuta nel medesimo documento, con riferimento all’opera di controllo svolta dall’Ufficio ispettivo dell’AIMA. Il dott. Lazzereschi ha, infatti, scritto che: “... in merito all’attività dell’Ufficio Ispettivo relativamente alla questione in oggetto, nel richiamare quanto sopra esposto, non si hanno elementi da fornire in quanto le attività di controllo sono state demandate, anche normativamente, a soggetti privati e ad organismi pubblici...” (Allegato sub 45). Sorge inevitabilmente la domanda relativa alla funzione (ed eventualmente alla responsabilità) dell’Ufficio ispettivo dell’AIMA che non opera alcuna attività, ma si limita a demandare i compiti di sua spettanza ad altri organi, ai quali peraltro non comunica, se non marginalmente, i fatti rilevanti di cui viene a conoscenza. Quanto poi all’attività svolta dagli “organismi pubblici” citati, assume rilevanza solo l’operato della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri, i quali sono, di regola, intervenuti per autonoma iniziativa nell’ambito dei rispettivi compiti istituzionali e, come si è potuto rilevare, dalla fine del 1996 anche su iniziativa del Ministro delle Risorse Agricole Alimentari e Forestali.

In merito ai controlli eseguiti dall’Ufficio Speciale della Corte dei Conti sulla gestione AIMA sono stati richiesti i dati sull’attività svolta nel settore specifico (numero dei  controlli effettuati; rilievi mossi; elenco degli atti ammessi a registrazione e poi inficiati da accertamenti di PG; ecc.). La risposta pervenuta (nota Ufficio Speciale Corte dei Conti c/o AIMA del 10 aprile 1997 n.94 a firma Cons. V. Zambrano: Allegato sub 99) non fornisce però elementi pertinenti alle domande specifiche formulate, ma solo notizie di carattere generale e di riferimento alle relazioni inviate al Parlamento ed al Procuratore Generale della Corte dei Conti per il Lazio (v. anche, in via generale, la relazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’AIMA nella parte dedicata alla audizione del Cons. Oriani, pag. 173: Allegato sub 62).

Anche per il consorzio CSIA, come si è detto, è possibile fare un’analoga considerazione. Infatti, la stessa Commissione europea il 30 agosto 1993 esprimeva perplessità rilevando che “Il Consorzio per il sistema informatico dell’AIMA comprende anche la società Agrisiel. La partecipazione azionaria di questa società è in mano a tre principali associazioni agricole professionali (Coldiretti, Confagricoltura, Confcoltivatori) che tra i loro membri contano anche le associazioni di produttori che fanno parte dell’UNALAT”. Inoltre, la Commissione europea rimarcava che “Del CSIA fa parte anche la società di informatica AUSELDA, che ha anche un contratto con l’UNALAT per lo sviluppo del suo sistema informatizzato” (nota Commissione europea del 30 agosto 1993: Allegato sub 100). Sul punto appare illuminante quanto scrive il consulente della Commissione Parlamentare di Inchiesta sull’AIMA (v. Allegato sub 101).

La commistione di ruoli tra soggetti controllati e controllanti era evidente; ma la situazione appare grave, se si considera che, malgrado le osservazioni sull’opportunità di servirsi di tali Consorzi da parte dell’AIMA espresse dalla Commissione europea, ed i pessimi risultati operativi dimostrati, l’AIMA, il 22 marzo 1994 rinnovava la convenzione con il CCIA per una cifra superiore ai 32 miliardi (v. atti AIMA-CCIA del 22 marzo 1994: Allegati sub 47 e 48) e il 19 marzo 1996 quella con il CSIA per un costo annuo di circa 72 miliardi (v. atto AIMA-CSIA del 19 novembre 1996: Allegato sub 102), e tutto ciò nella perfetta conoscenza del Ministero, sia direttamente, in quanto destinatario delle risultanze ispettive della Commissione europea, sia indirettamente in quanto l’AIMA può ben essere considerata una sua propaggine operativa.

Se ci si dovesse chiedere quali siano state le ragioni che possano avere indotto il  Ministero ad avallare tali scelte, forse si dovrebbe pensare allo stretto collegamento tra le organizzazioni sindacali di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Confcoltivatori) ed il livello politico-dirigenziale del Ministero. Peraltro, i vertici delle organizzazioni sindacali hanno spesso ricoperto rilevanti incarichi politici ed espresso, talvolta, lo stesso Ministro dell’agricoltura. A tal proposito può ricordarsi quanto riferito dal dott. Catania in sede di audizione: “Abbiamo vissuto una lunga fase in cui si è gestito il settore agricolo, non solo del latte, con le organizzazioni di categoria, con una commistione di ruoli,... sicuramente poco opportuna” (v. Allegato sub 43).

Ad ulteriore conferma delle “commistioni” tra le organizzazioni sindacali e l’amministrazione pubblica, non si può sottacere la composizione del Consiglio di amministrazione dell’AIMA per come è stabilito dalla sua legge istitutiva. Tale Consiglio, nella sua versione del 26 luglio 1988, prevedeva tra i suoi componenti: “per. agr. Gottero e sig. Martorana, su conferma della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti; il dott. Alessandra, su conferma della Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana; il dott. Donati, su conferma della Confederazione Italiana Coltivatori”, mentre il Consiglio di Amministrazione nominato il 4 agosto 1993 contemplava tra i suoi componenti: “sig. Martorana, su designazione della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti; dr. Ferraccioli su designazione della Confederazione Generale dell’Agricoltura; dr. Pascale su designazione della Confederazione Italiana Allevatori”. In tempi più recenti (8 aprile 1994) può ricordarsi la sostituzione di un membro del detto Consiglio di amministrazione, disposta dall’allora Ministro in carica, con la seguente formula: “Ritenuto di scegliere nell’ambito della terna proposta dalla Coldiretti il nominativo del sig. Paolo Nigro, attuale Vice Presidente di tale Confederazione, quale componente del Consiglio di Amministrazione dell’AIMA, in sostituzione del sig. Onofrio Martorana:” (v. delibere commissariali EIMA del 22 marzo 1995 - Allegato sub 85 - e del 9 maggio 1995 - Allegato sub 103).

Non si può, tuttavia, non far presente ancora che dall’atto del 22 marzo 1994 risulta che l’AIMA, con precedente nota del 5 luglio 1993, aveva incaricato il CCIA di eseguire i controlli sui produttori, secondo la seguente formula: “Esecuzione dei controlli in azienda sia direttamente dal CCIA che in collaborazione con gli uffici regionali secondo le istruzioni di volta in volta impartite dall’AIMA.” Ma, nel verificare i controlli a cui il CCIA era tenuto, è emersa l’assoluta inattendibilità dell’operato del Consorzio, come è comprovata dai verbali investigativi dei controlli “a campionesvolti in ambito nazionale dai Carabinieri, dai quali atti si evidenzia che alla specifica domanda rivolta a diversi allevatori, se fossero stati interessati da controlli da parte di incaricati dell’AIMA, la risposta è stata negativa. Sono stati anche acquisiti verbali di controllo redatti dal CCIA, su incarico dell’AIMA, nei quali si dichiara la “non commercializzazione di latte”, mentre gli allevatori interessati dichiarano di aver prodotto latte, consegnandolo alle latterie sociali (v., ad esempio, i casi indicati in Allegato sub 84, ed anche infra, par. 14). E poiché la convenzione prevede che il Consorzio (CCIA) doveva fornire, a garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti dell’AIMA,  una fideiussione fornita da un istituto bancario o assicurativo, e poiché la convenzione precisa che “Il Concessionario risponderà altresì integralmente anche dei danni causati da eventuali errori nonché da incompletezza od omissioni nello svolgimento dell’incarico sia nei confronti dell’AIMA che dei singoli produttori e ciò sia nei casi di azione diretta che di responsabilità fatta valere da qualsivoglia altro soggetto pubblico o privato in via di regresso e/o di rivalsa”, ci sarebbe materia per un’azione di responsabilità (v. infra, par. 15).

Oggetto di esame è stato anche l’operato di controllo interno svolto dal Collegio dei Revisori dei Conti dell’AIMA. La Commissione ha richiesto documentazione inerente l’attività del Collegio che potesse avere riflessi in ordine alla materia oggetto dell’indagine, ottenendo la seguente risposta: “... per quanto risulta a questo Collegio i controlli amministrativi sulle quote latte sono stati attuati dall’Azienda con l’affidamento del servizio ai Consorzi (CSIA e CCIA) nel corso e successivamente a tali controlli nessun provvedimento o documentazione è stato trasmesso a questo Collegio per ogni esame di competenza e conseguenti relazioni” (Allegato sub 104). Essendo emersi precisi inadempimenti in ordine ai controlli “appaltati”, ci si chiedono le ragioni che hanno indotto la mancata contestazione dell’esborso patrimoniale, e l’attivazione di una azione di responsabilità.

 

9.5     Come visto dai precedenti punti 9.1 e 9.4  l’assegnazione delle quote, con tutte le vicissitudini e le complicazioni già indicate, è stata realizzata su “bollettini“ informatizzati, costruiti  tenendo conto dei dati disponibili nelle banche dati degli organi preposti all’incombenza.

La Commissione si è quindi posta il problema di analizzare tali dati ed i documenti realizzati con gli anzidetti sistemi, anche per riscontrare eventualmente la veridicità delle dichiarazioni rese nelle audizioni e degli altri elementi acquisiti nel corso dei lavori, dai quali traspaiono irregolarità.

Sono stati pertanto richiesti i tabulati dei “bollettini” più recenti al Centro di Calcolo dell’AIMA unitamente ai relativi supporti informatici, per consentire  l’analisi del loro contenuto e controlli incrociati su specifici aspetti. I supporti anzidetti sono stati “caricati” nel sistema informatico della Guardia di Finanza che ha posto a disposizione le apparecchiature  ed il personale tecnico occorrente.

Nei “bollettini” sono riportati ( v. la pagina  di esempio in Allegato sub 105) i dati del titolare della quota, il Comune, la Provincia e l’APL di appartenenza, il codice fiscale e partita I.V.A, l’ubicazione dell’azienda , un numero d’ordine di bollettino  e le quantità di latte, espresse in kg., delle “consegne” e delle “vendite”  autorizzate.

Il numero di codici del bollettino è composto da 11 caratteri che rappresentano, da sinistra verso destra;

-        1 per il numero del bollettino (esempio 9 per quello della campagna 1997/1998);

-        3 per il codice della provincia di appartenenza del produttore;

-        3 per il codice della APL di sua appartenenza;

-        4 per il numero cronologico alfabetico nell’ambito della Provincia.

Nel documento  non sono riportati altri dati che consentano di individuare la bontà delle quote, quali il potenziale produttivo dell’azienda, le produzioni delle precedenti campagne, gli “sforamenti” e così via, per cui lo stesso si traduce in un’arida ed ermetica elencazione di nomi, di cifre e di codici.

Per comprendere il meccanismo di costruzione dei “bollettini” si è fatto ricorso al personale della società di gestione del Centro di Calcolo AIMA (CSIA), che ha fornito  in merito, oltre a preziosa collaborazione, una serie aggiuntiva  di dati informatizzati dal CED, ulteriori tabulati ed apposito terminale che è stato installato presso la Commissione. Tutto il  nuovo materiale  è stato aggiunto al precedente per l’esame informatico congiunto e comparato .

Sono stati così acquisiti, sempre dal Centro AIMA, gli archivi delle “dichiarazioni di consegna” (Mod. L/1). Si tratta di archivi predisposti  sulla scorta di documenti di “prima nota”,  denominati “Dichiarazione di consegna Latte o equivalente Latte”, predisposti dagli “acquirenti “ che hanno ricevuto il latte “consegnato “ dai produttori.

Nella parte prima degli L/1 sono riportati i dati contabili aziendali. A ciascuna dichiarazione sono allegati i tabulati relativi ai singoli produttori. Per ciascun conferente sono indicati, essenzialmente:

-        il numero d’ordine del bollettino AIMA che gli assegna la quota;

-        il cognome e nome o la ragione sociale del produttore;

-        la Regione di appartenenza;

-        il codice fiscale e la partita I.V.A;

-        il quantitativo di riferimento;

-        le quantità di latte consegnate;

-        il periodo di conferimento;

-        la sede. Tale dato coincide normalmente con l’ubicazione dell’azienda, in quanto la quota è legata alla stalla.

E’ però possibile che il riferimento di sede sia costituito dalla sede legale del produttore, dal suo domicilio o dal luogo in cui lo stesso ha dichiarato  di detenere la contabilità fiscale.

Con notevole sorpresa da parte della Commissione si è dovuto constatare che neanche negli L/1 sono contenuti i dati del patrimonio bovino e della ubicazione e potenzialità produttiva di latte delle singole aziende. La costruzione delle quote assegnate, quindi, non viene e non è mai stata riferita o coordinata col numero dei capi posseduti ed alla conseguente potenzialità produttiva dell’azienda, ma è stata “agganciata” ai dati delle fatture delle consegne e pertanto su dati puramente cartacei.

Infatti su tali documenti fiscali non è mai stato effettuato alcun controllo per accertarne la veridicità e correttezza, né sono mai stati interessati la Guardia di Finanza o gli Uffici finanziari per svolgere accertamenti al riguardo. E questo anche per i casi, dei quali si parlerà infra, al par. 14, oggetto di segnalazioni o denunce inviate anche all’AIMA. Tutto ciò ha consentito certamente di utilizzare FOI (fatture per operazione inesistenti) con le quali si è data copertura contabile a “quote di carta”, se non a latte proveniente in nero da allevamenti “eccedentari”, o a latte d’importazione clandestina od ottenuto dalla rigenerazione di latte in polvere. Al riguardo si preciserà meglio al par. 14.

Di fronte a questo scollamento latte-mucche la Commissione ha quindi deciso di analizzare meglio la problematica e ha cercato di ottenere tutti i dati possibili sulla consistenza del patrimonio bovino da latte.

Sono stati pertanto interessati l’AIA ed il Centro di Calcolo AIMA. L’AIA ha fornito su supporti informatizzati i dati nazionali degli anni 1993, 1994, 1995 e 1996 (v. nota del 4 marzo 1997: Allegato sub 106). Successivamente sono pervenuti, a richiesta, anche i dati 1983 e 1984/85, completi dei dati sulla produzione lattiera del periodo.

Inoltre poiché in base alla legge 23 dicembre 1978 n.833, le ASL hanno l’obbligo, conformemente alle prescrizioni dell’art.14, lett. p), di assicurare la profilassi ordinaria per le epizoozie, la polizia veterinaria e la vigilanza sugli animali destinati alla alimentazione umana, sono stati richiesti a tutti i  Servizi veterinari, su supporti informatici, i dati relativi alle vacche da latte in produzione per singoli allevatori esistenti nei rispettivi territori di competenza e registrati sulle schede Mod. 2/33 sulle ispezioni in stalla.

L’acquisizione è risultata notevolmente difficile e complessa, sia per il notevole numero delle ASL, sia perché molte di esse hanno dichiarato di non disporre di adeguate attrezzature informatiche. A fronte di Servizi efficienti che non hanno avuto difficoltà alcuna ad adempiere alla richiesta o che hanno provveduto con diligenza e spirito di collaborazione a predisporre i dati per l’occasione, sono emersi casi di assoluta negligenza e inefficienza  e di dichiarato mancato svolgimento dei compiti istituzionali. Molte ASL hanno inviato tabulati cartacei, talvolta incompleti o illeggibili e dopo reiterarti solleciti; altre non hanno inteso provvedere, lamentando carenze di personale ed altre scuse. Nell’Allegato sub 107 sono riportate in copia le comunicazioni più significative al riguardo.

Sono stati utilizzati tutti i supporti informatici acquisiti. Per determinate aree geografiche si è provveduto, con notevole sacrificio del personale della Guardia di Finanza e con la collaborazione di quello del CED dell’AIMA, a registrare i dati dei tabulati cartacei. Le risultanze informatiche così ricavate sono state “affiancate” a quelle dei files AIMA e di quelli  AIA in modo da “assemblare” per ciascun produttore le risultanze riguardanti:

-        quantità di latte prodotto;

-        capi posseduti secondo le risultanze AIA;

-        capi presenti in stalla negli stessi anni secondo i Mod.2/33 ASL.

Tale incrocio-riscontro in base ai dati pervenuti, è stato possibile per gli anni 1995 e 1996 ed in particolare con riferimento alle quote ed agli L/1 della campagna 1995/96.

La comparazione ha presentato notevoli difficoltà di  realizzazione in quanto nei diversi comparti  non è risultato esistere un codice od un campo di riferimento comune, ma ogni amministrazione ha usato propri eterogenei sistemi di censimento e talvolta i codici sono risultati errati.

In particolare, l’Amministrazione Veterinaria non ha utilizzato il codice fiscale e/o la partita I.V.A. degli operatori, pur disponendone questi per obbligo di legge.

Tale difficoltà ha comportato l’esigenza di ridurre la ricerca a singole aree geografiche, impostando la comparazione sul cognome e nome degli operatori.

E’ stato difficoltoso anche il rilevamento per Comune e/o Provincia, poiché anche tali dati sono stati registrati in maniera differenziata (taluni con la sigla; certi con i vecchi codici ISTAT; altri con quelli vigenti).

I risultati della comparazione comunque hanno evidenziato dati quanto meno sorprendenti ed in particolare:

 

1)      Numero dei capi posseduti.

La stessa persona è risultata avere in stalla nello stesso anno un numero di capi diversi secondo  il rilevamento AIA rispetto a quello ASL.

La cosa appare verosimile per i dati AIA inferiori a quelli ASL, perché la prima rileva i capi in produzione, mentre le seconde hanno censito tutti i capi  controllati  per la brucellosi  e quindi  potenzialmente riguardante una platea maggiore. Appare, invece, incomprensibile la situazione opposta.

2)      Rese produttive per capo.

L’altro dato sorprendente emerso, è quello della resa produttiva annua per capo.

La Commissione ha acquisito a riguardo i dati statistici dell’Annuario latte UNALAT 1996 (v. stralcio Allegato sub 24).

Dal documento, relativo  al 1994, emerge che:

-        La produzione nazionale lattiera  bovina è stata di 10.365.000 di tonnellate;

-        La produzione media nazionale di latte per ogni capo è di kg.4.654;

-        I dati produttivi medi per capo variano sensibilmente nelle diverse regioni:  kg. 2.317 per la Basilicata, kg. 5.594 per la Lombardia, kg. 5.796 per la Sardegna ed addirittura kg. 7.445  per la Calabria.

I dati di queste due ultime regioni risultano difficilmente accoglibili sia per la consistenza delle stalle, sia per la diffusione di capi selezionati presenti, certamente non paragonabili con talune aree del Nord e Centro Italia a migliore vocazione produttiva e che risultano avere invece rese minori.

La comparazione ha riguardato la produzione ed il numero dei capi  1995 e 1996.

Le rese per capo però si ritiene possano essere validamente confrontate con quelle di produzione media 1994 sopra riportate, in quanto le differenze in aumento, legate al miglioramento genetico e nutrizionale, ove verificatesi, non possono che riguardare pochi punti percentuali.

Da questa comparazione (v. Allegato sub 108) sono emersi dati in gran parte allineati con le rese statistiche regionali, ma sorprendentemente per diversi operatori sono risultate largamente superiori ed in certi casi al disopra di ogni limite di credibilità.

Tutto ciò lascia supporre dichiarazioni produttive “gonfiate” e l’accoglimento da parte degli “acquirenti” di documentazione cartacea (F.O.I.) non corrispondente alle reali consegne.

Oltretutto queste straordinarie produzioni sono quasi sempre risultate, nel quantitativo globale, appena inferiori ai limiti di quota assegnati nel bollettino: il che lascia emergere dubbi ancora più consistenti sulla loro veridicità.

Può avanzarsi l’ipotesi che queste produzioni così fatturate:

-        siano in concreto solo cartolari;

-        consentano al titolare della quota di conservarne la permanenza nel tempo;

-        consentono agli acquirenti di caricarsi in contabilità costi mai sostenuti, contraendo conseguentemente il reddito fiscalmente imponibile e di detrarsi l’IVA;

-        consentono, ancora, a questi ultimi, di sostituire, al latte fatturato ma non ricevuto, prodotti acquistati in “nero” a prezzo ridotto o latte clandestinamente importato e proveniente da “sovrapproduzione” di altri Stati o dalla rigenerazione di latte in polvere o di altro destinato alla produzione di “latticello” con contribuzioni comunitarie.

Tali ipotesi non sono state sviluppate semplicemente in via teorica, ma trovano conferma nelle relazioni di servizio esistenti negli archivi della Guardia di Finanza su casi concreti individuati e verbalizzati.

In merito, nel successivo par. 14 sono elencate le tipologie di frode e altri elementi di conferma.

Sui controlli incrociati deve ancora segnalarsi un altro aspetto della vicenda, che interessa i piani di abbandono.

In merito, riguardando la problematica direttamente il sistema delle quote, è stata richiesta all’UNALAT ed all’AIMA  anche la specifica documentazione.

Si è provveduto ad incrociare i dati anzidetti con quelli ASL 1993, 1994, 1995 e 1996.

Anche per questa circostanza sono necessarie delle precisazioni:

1)      l’AIMA non dispone di dati  sul patrimonio bovino;

2)      il censimento affidato al CCIA nel 1993, che tanto è costato all’erario, non ha certamente portato contributi apprezzabili in tal senso.

Sono stati segnalati casi di schede sicuramente false, e talune con firme apocrife dei produttori, talvolta identiche a quelle del  “rilevatore”.

Le notizie acquisite danno certezza dell’irrisorietà del rimborso spese versato ai rilevatori per ogni controllo, anche se, si ripete, l’esborso erariale è stato invece consistente. Così, non essendo remunerativo, se non deficitario il compenso elargito, i dati sono stati “costruiti” a tavolino (v. supra, par. 9.4).

I controlli sono stati parziali e, come si è appena detto, si ha motivo di ritenere che siano stati in gran parte elaborati “a tavolino”.

3)      L’abbandono è stato legato non alla diminuzione dei capi in produzione o comunque in stalla, ma alla “riduzione” della quota latte assegnata.

Per conoscere, pertanto, il numero dei capi “ dismessi” è stato necessario richiedere al Centro di Calcolo AIMA di realizzare apposito programma per convertire, in base alle quote dismesse ed alla resa media regionale per capo, il numero presunto di capi abbandonati.

I tabulati UNALAT contengono, invece, anche i dati dei capi oggetto di abbandono.

Da un sommario esame di riscontro incrociato, che per motivi di tempo non è stato possibile perfezionare, emergono taluni casi in cui all’abbandono non corrisponde, negli stessi anni, alcuna contrazione del bestiame presente in stalla  e, per altri anni, addirittura si è avuto un incremento.

E’ stata anche acquisita la prova di un caso di abbandono effettivo non riconosciuto dall’AIMA per il quale, a fronte del mancato pagamento del corrispettivo, è corrisposto il concreto ritiro della quota latte per cui l’operatore si è ritrovato ingiustamente non remunerato, senza bestiame e senza quota.

Diversi casi concreti di falsi “abbandoni” sono stati verbalizzati dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri (v. infra par. 14).

 

9.6     Nel corso delle audizioni e da situazioni note ai Comandi dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza è emersa l’ipotesi di sussistenza di doppie quote intestate allo stesso allevatore.

Disponendo la Commissione dei dati informatizzati dei bollettini e degli L/1 1995/96 e 1997/98 per i controlli incrociati (v. supra, par. 9.5) si è provveduto ad effettuare l’analisi dei dati anzidetti per individuare eventuali “discrasie” riguardanti la conferma o meno delle ipotesi segnalate.

E’ stato richiesto al Centro di calcolo del Comando Generale della Guardia di Finanza di effettuare, pertanto, una ulteriore serie di riscontri sui files disponibili.

I risultati evidenziano una serie di errori e duplicazioni. In particolare sono stati individuati:

a.       Codici fiscali e partite IVA errati e non validati. Utilizzando un semplice programma di “validazione”, sono stati individuati oltre 9.000 operatori che ancora nel bollettino 1997/98 (v. Allegato sub 164) hanno il codice fiscale o la partita IVA errata. I dati del bollettino 2 / 1995-96 (v. Allegato sub 165) sono ancora più rilevanti. A questi, in svariati casi, è risultata corrispondere la mancanza del codice fiscale o della partita IVA (v. Allegato sub 109) e per centinaia di situazioni si è riscontrato l’errore congiunto sia del codice fiscale che della partita IVA.  A tali errate situazioni si è aggiunta talvolta l’assenza di dati sull’ubicazione della stalla; talvolta ancora, in luogo di questa, risulta l’indicazione “sconosciuto”. In queste condizioni la certezza di avere attribuito la quota all’operatore giusto o ad un operatore effettivamente esistente appare dubbia, soprattutto in quei casi in cui tutte le anzidette anomalie coesistono.

b.       Casi dubbi di omonimia o di quote doppie allo stesso nome. Altro rilevamento dati è stato realizzato dal personale del CED della Guardia di Finanza per individuare i casi di iscrizioni plurime in bollettino. Tale ipotesi non è di per sé un errore, in quanto sussistono casi di omonimia ed anche casi di produttori che possiedono due o più quote differenziate. E’ possibile, pertanto, la legittima plurima inclusione nel bollettino. I dubbi sulla correttezza dell’attribuzione della quota sussistono quando sul bollettino sono riportate più quote con partita IVA e codice fiscale uguali e per la stessa località, ma con riguardo al semplice fatto che sui cognomi o nomi o ragione sociale o sui dati dell’ubicazione sussistono piccole differenze che rendono tali dati non perfettamente combacianti. Di casi del genere sono stati individuati svariate centinaia. I più sospetti sono certamente quelli in cui il codice fiscale è risultato mancante o in cui è assente  l’ubicazione della stalla (v. Allegato sub 166).

c.       Casi di attribuzione di più quote sulla stessa partita IVA. Anche tale ipotesi è concretamente possibile nel caso in cui riguardi lo stesso operatore che ha due stalle in sedi diverse con quota disgiunta o per le partite IVA attribuite a persone giuridiche. Il rilevamento effettuato dai Finanzieri però ha evidenziato casi di doppia ingiustificata attribuzione di quota alla stessa persona fisica, senza che ve ne fosse palese motivazione. Questi casi appaiono più emblematici e, per taluni, si è avuta conferma dell’antigiuridicità di attribuzione delle quote confrontando i dati di dettaglio dal terminale AIMA installato presso la Commissione. Sono stati scoperti casi in cui l’operatore si è iscritto, certamente in malafede, a due APL diverse; altri in cui, a parità di partita IVA o di codice fiscale, è incluso nel tabulato addirittura con due cognomi diversi ma simili, oppure ragioni sociali appena differenti (es. “F.lli Caio” e “Fratelli Caio”) o con ubicazioni diverse (una notoria, ed una “sconosciuta”). Dai controlli di dettaglio è emerso che, talvolta, una delle due quote non è stata utilizzata (forse perché l’operatore non ne era a conoscenza); in ogni caso, queste doppie attribuzioni hanno contribuito ad elevare il monte latte “quotato”, aumentandone il quantitativo globale nazionale. In mancanza di tempo non è stato possibile verificare “due campi” cioè la concreta e la reale situazione dei casi emersi, ma si è proceduto a scandaglio per via informatica col terminale AIMA (v. Allegati sub 110 e 111). La sussistenza della irregolarità è certa. Più grave il fatto se ad una quota “arbitraria” di questo genere è corrisposta una concreta utilizzazione o da parte del produttore o da parte dell’acquirente o di terzi. Considerati i casi noti e verbalizzati dai Carabinieri, la sensazione emersa è, però, quella di una possibile “gestione” di tali fattispecie da parte delle APL, talvolta in accordo con gli “acquirenti” ed all’insaputa degli assegnatari.

Il fenomeno evidenzia comunque:

-    l’esistenza di “quote di carta”;

-    la quantificazione di quote latte superiori al concreto;

-    la loro utilizzazione e commercializzazione in frode.

Sono stati individuati centinaia di casi di duplicazione, ma i controlli sull’irregolarità, come indicato, sono stati condotti solo a campione ed al fine di acquisire la prova dell’ipotesi di concreta sussistenza. In merito occorrerà svolgere in prosieguo, specifiche ed accurate indagini, anche perché, come verrà meglio precisato al par. 14, sono stati accertati dalle Forze di Polizia casi certi di utilizzazione di queste doppie quote.

d.       Dati sull’ubicazione delle stalle. L’attribuzione delle quote in bollettino trova il suo riferimento territoriale nel luogo di produzione del latte. L’ubicazione da riportare in tale documento dovrebbe essere, naturalmente, riferita al luogo di esistenza della stalla.

E’ stato però rappresentato alla Commissione che ciò non è vero in assoluto, in quanto è possibile che l’ubicazione memorizzata possa corrispondere alla sede legale dell’azienda produttrice o addirittura al luogo in cui questa ha depositato le sue scritture fiscali in base alla vigente normativa sui redditi e IVA.

Queste ipotesi diversificate sollevano notevoli perplessità per vari ordini di cose ed in particolare:

-        in ordine al controllo:

l’indicazione di luoghi diversi dalla stalla impedisce o in ogni caso rende più difficoltosi gli accertamenti sulla produzione, sul patrimonio bovino e sulle operazioni di carico e sulla circolazione del latte, atteso che dal bollettino non è possibile individuare il luogo di produzione;

-        in ordine alla correttezza dei documenti di trasporto e delle fatture di vendita:

appare dubbia la produzione documentale posta in essere, anche ai fini sanitari del trasporto, a garanzia dei prodotti movimentati e della loro commercializzazione. Si pensi ai casi in cui la stalla sia in comune o  addirittura in regione diversa dai luoghi sopra indicati;

-        in ordine ai controlli incrociati sulle movimentazioni “atipiche”:

è certamente significativo seguire i flussi di latte che si spostano da una regione di produzione al luogo di trasformazione situato in un’altra regione, magari non confinante. L’aggravio dei costi derivanti dalla percorrenza di lungo tragitto è antieconomica. Tale rilevamento, considerato il sospetto, è stato effettuato recentemente anche dall’AIMA (v. Allegato sub 112). Sta di fatto, però, che molti casi sono entrati nella casistica solo perché il produttore ha indicato la sede legale od il luogo di detenzione delle scritture contabili in regione diversa da quella di produzione del latte. In questo caso l’acquirente ha avuto a che fare con la quota di altra regione. Ci si chiede che fatture costui abbia assunto in carico e con quale indicazione geografica di provenienza del latte e quali “attestazioni” abbia riportato nel mod. L/1 del produttore.

Occorre poi l’ipotesi non improbabile, di sede legale o di sede presso studi di commercialisti in località di montagna o assimilate per le quali non scatta la compensazione in caso di sforamento della quota. Certamente in questi casi il rilevamento non è corretto.

Da tutto ciò emergono situazioni depistanti, sia per gli organismi di controllo che operano su strada, sia per la redazione dei bollettini.

Su tale problematica la Commissione ha disposto un semplice riscontro, estrapolando i produttori che nel bollettino corrente risultano avere l’ubicazione del luogo di produzione in Roma. Dal sopralluogo eseguito con riferimento ad alcuni casi (v. rapporto G. di F.: Allegato sub 113), sono emerse indicazioni di luoghi inesistenti e casistiche in cui al posto dell’asserita stalla si trovano abitazioni civili di lusso che nulla hanno a che fare con le quote latte. In merito, la Commissione ritiene di segnalare l’esigenza di ancorare ferreamente i dati del bollettino agli effettivi luoghi di produzione, anche perché la documentazione di specie, essendo strumento di produzione. non può che trovarsi in tali luoghi.

Si segnala, infine, che dall’esperienza acquisita dagli Organismi di polizia giudiziaria e tributaria emerge la chiara tendenza di chi concretamente froda, di “proteggersi” dietro agguerriti studi legali o commercialistici, o con altre predisposizioni del genere.

e.       Controllo incrociato con le risultanze dell’Anagrafe Tributaria. Sulla scorta dei dati dei bollettini e degli L/1, la Commissione ha tentato anche un controllo sulla coerenza delle risultanze di produzione con quelle fiscali (v. Allegato sub 114).

Il problema è risultato di complessa e difficile soluzione in quanto i dati AIMA ed AIA disponibili attengono alle annualità più recenti (1995 e seguenti).

Oltre tutto, gli L/1 per i bollettini sono riferiti, conformemente alla regolamentazione U.E. sulla PAC, all’annata agraria (1° aprile - 31 marzo), mentre, come è noto, le registrazioni fiscali ed i riferimenti impositivi sono adottati per anno solare. Inoltre i dati dell’Anagrafe Tributaria, consultabili da terminale, sono completi solo fino al 1994.

Per tali motivi non è stato possibile procedere alla comparazione di dati omogenei. Sono stati fatti dei tentativi per singoli operatori e con riferimento al volume degli affari delle dichiarazioni IVA.

Tali dati sono stati posti a raffronto con gli ipotetici ricavi dello stesso anno, calcolati costruendo l’equivalente del valore di vendita del latte ad un prezzo medio di mercato all’epoca considerato, ottenuto dai capi risultanti presenti in azienda al rilevamento ASL di tale stesso periodo e per una produzione per capo calcolata sulla media ponderata annua della specifica annualità nella regione di appartenenza.

Si è empiricamente considerata la produzione registrata per la campagna agraria equivalente a quella di un anno solare per cercare, comunque, un raffronto.

Sono emersi tanti casi di “vicinanze”, ma anche situazioni di macroscopiche divergenze e molti soggetti risultanti creditori di IVA. In merito, si ritiene sussistano notevoli spazi per accurati controlli, anche se in gran parte si tratta di soggetti che fruiscono del regime agevolato per l’agricoltura.

Nella particolare situazione europea, potrebbero anche ipotizzarsi illecite “contribuzioni” nazionali a favore degli operatori.

 

9.7     Sullo specifico argomento dei controlli incrociati deve segnalarsi, infine, che le risultanze cui la Commissione è pervenuta attraverso i controlli svolti dall’Informatica della Guardia  di Finanza sono avallati anche dalle ricerche di terzi ed in particolare da quelle commissionate dalla Regione Marche sul bollettino n.9 (1997/98) e da alcune associazioni di produttori.

Come emerge dal documento presentato dal dott. Piergiorgio Sabatini, per conto della Regione Marche e APL Crema, si tratta di dati analoghi a quelli evidenziati più sopra, e che quindi danno conferma della correttezza del rilevamento, e che sono stati comunicati all’AIMA ed al MiRAAF con il documento in Allegato sub 115 esibito anche a questa Commissione.

Si devono anche segnalare gli sforzi del personale del centro di calcolo AIMA per individuare e ridurre gli errori dei bollettini.

 

 

 

10.     Sistema di controllo

 

10.1   Come si è detto supra par.8.2, la normativa comunitaria pretende un organismo di controllo centrale (Regol. n.4045/89); anzi la Comunità ebbe a riconoscerci l’aumento di 900.000 tonnellate di quota, in quanto l’Italia si era impegnata formalmente a rispettare tale disposizione (v. Accordo dell’11 aprile 1994, doc. COM. 150 def. del 18 aprile 1994 e COM. 147 def. del 19 aprile 1995). È già supra, par. 8.2, si è fatto cenno ai pareri del Consiglio di Stato del 1 ottobre 1993 e della Corte dei Conti nel suo referto al Parlamento per gli esercizi 1991-92, entrambi diretti a sottolineare la necessità, in conformità della normativa comunitaria, di garantire l’unicità del referente nazionale.

Tuttavia, secondo la nostra legislazione (legge n.468/92 e DPR n.568/93) alle Regioni ed alle Province autonome spettano “le funzioni di controllo relative all’applicazione della normativa comunitaria sulle quote latte ed il prelievo supplementare sul latte bovino nei confronti dei produttori, degli acquirenti e delle associazioni di produttori”, con salvezza , al MAF, dei soli poteri di controllo sulle frodi (art.8 legge).

La regionalizzazione del controllo sulle quote latte si ricava, altresì, da altre specifiche norme:

a)      l’art.2, 7° comma, legge n.468/92 stabilisce che “le Regioni svolgono periodici controlli sull’entità della produzione effettiva di latte dei singoli produttori”, fino a poterne ridurre la quota “al livello della media di prodotto commercializzato nell’arco di cinque periodi” presi in considerazione (art.3 DPR, con riferimento all’art.2, 7° comma, secondo inciso, legge), e ciò attraverso l’effettuazione di “un controllo sistematico, mediante procedure informatizzate, di tutte le dichiarazioni trasmesse dagli acquirenti e dai produttori in caso di vendite dirette” (art.16 DPR);

b)      l’art.5, 1° comma, legge n.468/92 stabilisce che gli acquirenti devono trasmettere alle Regioni le varie dichiarazioni di cui ai Regolamenti comunitari, con riguardo tanto ai produttori associati (2° comma), quanto a quelli non-associati (1° comma);

c)      l’art.5, 7° comma, legge n.468/92 stabilisce che le associazioni di produttori dovevano trasmettere alle Regioni le delibere di imputazione del prelievo supplementare [ disposizione ora abrogata];

d)      l’art.5, 11° comma, legge n.468/92 stabilisce che i produttori assoggettati a prelievo devono trasmettere alle Regioni la ricevuta dei versamenti effettuati sulla contabilità speciale predisposta presso il Ministero del Tesoro, al fine di rendere possibile alle Regioni stesse il controllo a campione presso gli acquirenti per verificare il rispetto della normativa (art.9, 5° comma, legge) e, quindi, di intimare agli inadempienti il pagamento (art.7, 1° comma) e, in caso di inottemperanza, di effettuare la riscossione coattiva mediante ruolo (art.7, 2° comma) e di “condannare” l’inadempiente ad una sanzione amministrativa rapportata al prelievo, oltre agli interessi, “secondo modalità prescritte dalle Regioni” (art.7, 3° comma, con rinvio all’art.6, 1° comma), e ciò tanto con riguardo ai produttori non-associati, quanto (fino alla vigenza del vecchio sistema di compensazione a livello di associazione) con riguardo alle associazioni di produttori;

e)      l’art.10, 2° comma, legge n.468/92 attribuisce alle Regioni il potere di individuare “l’area omogenea” all’interno della quale è concessa ai produttori la facoltà di alienare o di “affittare” la quota senza la terra, nonché di fissare un eventuale limite inferiore alle trenta tonnellate annue per ogni ettaro di SAU perché i contratti aventi ad oggetto la quota siano convalidati (art.10, 3° e 4° commi);

f)       l’art.10, 6° comma, legge n.468/92 impone ai cedenti e cessionari di quota di comunicare, oltre che all’AIMA, alle Regioni i contratti di vendita e di “affitto” di quote senza terra, onde le Regioni: 1) provvedano a convalidare i relativi contratti (art.18, 9° comma, e 20, 1° comma, DPR n.569/93); 2) riducano del 15% la quota ceduta al fine di costituire un’apposita riserva regionale (art.10, 10° comma); e quindi 3) provvedano ad attribuire detti quantitativi, così ottenuti, a giovani agricoltori o a produttori di zone montane (art.10, 11° comma) e ciò entro dodici mesi, pena il confluire di tali quantitativi nella riserva nazionale (art.10, 11° comma) [le disposizioni relative alla riduzione delle quote per cessione delle stesse sono state, ora, abrogate a decorrere dal periodo 1997-98: art.1, 54° comma, legge 28 marzo 1997 n.81 di conversione del d.l. 31 gennaio 1997, n.11];

g)      l’art.11 legge n.468/92 attribuisce alle Regioni il potere di irrogare sanzioni amministrative (con incameramento dei proventi) per le violazioni perpetrate dai produttori, dalle associazioni di produttori e dagli acquirenti.

Quanto ai rapporti con lo Stato centrale, rappresentato dal MAF (poi MiRAAF) e quindi dall’AIMA, le Regioni si presentano come “trasmettitori” di notizie e come “ricevitori” di indicazioni sui soggetti (acquirenti e produttori) da controllare. Come meglio si dirà infra, par.10.2, la legge n.468/92 ha affidato all’AIMA il compito di pubblicare gli elenchi dei produttori di latte - tenendo conto delle comunicazioni regionali sugli abbandoni, decadenze, vendite ed affitto di quote ecc.. -, nonché di predisporre, sulla base dei criteri generali fissati dal MiRAAF, i programmi di abbandono della produzione (art.2, 1° ed 8° commi).

Le Regioni hanno, sostanzialmente, mancato al loro ruolo. A parte il fatto della ulteriore frammentazione dei “centri” di controllo nei regionali Servizi Decentrati Agricoltura (o nelle Province come ha legiferato la Regione Toscana), sta la circostanza che, ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano (che ha svolto tutti i controlli  diretti sia all’individuazione dei produttori che hanno cessato la commercializzazione del latte, sia alla verifica della corrispondenza dell’entità della produzione effettiva con le dichiarazioni effettuate dai produttori e dagli acquirenti, con un’anagrafe bovina), della Regione Abruzzo (che ha, per la campagna 1995-96, eseguito i controlli su tutte le aziende) e della Regione Val d’Aosta (che ha realizzato, anch’essa, l’anagrafe bovina), le altre Regioni hanno espressamente ammesso di non avere compiuto controlli se non quelli richiesti dall’AIMA. Alcune hanno invocato la giustificazione di non avere avuto né personale, né mezzi (v. Regioni Campania e Liguria); altre hanno invocato l’ambiguità delle disposizioni della legge (art.2) e del DPR (art.3) sostenendo che in pratica i controlli sarebbero dovuti essere compiuti dalle Regioni solo dopo il 31 marzo 1998, ovverosia dopo i cinque periodi consecutivi al termine dei quali esse avranno il potere di ridurre la quota di quei produttori la cui produzione sia stata costantemente inferiore al 75% della quota attribuita (v. Regioni Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Basilicata, Sicilia e Puglia).

La suddetta risposta, che sembra concertata ex abrupto tanto è il difetto di ragionevolezza oltre che di conoscenza del diritto che essa presenta, non può essere accettata, soprattutto nella misura in cui pare che le Regioni, a cui è stato dato il potere, vogliano godere del privilegio della irresponsabilità (v. nota Regione Basilicata del 19 marzo 1997 diretta a questa Commissione: Allegato sub 116), mentre è regola fondamentale - giuridica e politica - che gestione e responsabilità siano le due facce della stessa medaglia.

Si è accennato a vizi giuridici e logici nella risposta di molte Regioni: ed invero, principio elementare è che un regolamento non può mai modificare una legge,  sicché esso deve essere interpretato nel modo più coerente possibile con la legge; inoltre, è impossibile poter procedere, il 1° aprile 1998, alla riduzione della quota dei produttori con produzione inferiore al 75% nei cinque anni del periodo preso in considerazione, se non si è proceduto, a tappeto, all’accertamento della corrispondenza dell’entità della produzione effettiva di tutti i produttori con riguardo alla rispettiva quota e ciò in tutti i detti cinque anni. (Le risposte delle Regioni sono riportate, tutte insieme, nell’Allegato sub  75).

Dunque, il sistema di controllo regionalizzato non ha funzionato, e la disastrata situazione dei vari bollettini, che si sono susseguiti fuori termine e con successive correzioni, dipende, non solo da colpa del “collettore” delle notizie (l’AIMA), ma altresì dalla colpa dei “trasmettitori” di notizie (cioè le Regioni) che dovevano inviarle solo dopo aver fatto i necessari e doverosi accertamenti. Spetterà alla Corte dei Conti valutare se ricorra danno erariale e se anche le Regioni ne debbano rispondere, oppure se, nel caso di specie, veramente sia stato attribuito un potere senza responsabilità, o se il difetto debba essere attribuito solo allo Stato a causa (come si esprime la Regione Emilia-Romagna) del sistema misto di implementazione, o a causa (come si esprime la Regione Sardegna) del fatto che l’AIMA non ha realizzato subito il sistema informatico, mettendolo immediatamente a disposizione delle Regioni.

Certo è che i controlli, nelle quasi generalità dei casi, non sono stati svolti dalle Regioni  come prescritto dalla normativa comunitaria (v. nota Commissione europea del 6 dicembre 1996 con riferimento alla missione UE di controllo dal 3 al 7 giugno 1994: Allegato sub 117) e dalla legge nazionale (art.8) e, quindi, che non sono state trasmesse le notizie necessarie per una corretta formazione dei bollettini. Si aggiunga che i controlli disposti su incarico dell’AIMA, ex art.16, 13° comma DPR n.596/93, dovrebbero essere interventi del coordinatore del sistema, al fine di risolvere problemi particolari di accertamento, e non certamente il sistema di controllo di routine: e ciò è tanto vero che la Provincia di Bolzano e le Regioni Abruzzo e Val d’Aosta hanno svolto controlli puntuali.

Esempio del difetto di coordinamento tra Regioni e AIMA è il caso dell’allevatore bergamasco P. Leoni, il quale ha preso in “affitto” due quote da due “affittanti” diversi, senza mai riuscire ad ottenere il riconoscimento di entrambe (v. Allegato sub 117bis).

Il mancato rispetto dei doveri istituzionali da parte delle Regioni, che è stato particolarmente grave nel caso della Regione Veneto che si è rifiutata perfino di diffondere i bollettini AIMA, sembra, allora, dipendere forse da scelte deliberate, piuttosto che dalle carenze ravvisabili nei provvedimenti dell’AIMA di attribuzione delle quote. E’ da chiedersi, allora, se nel sistema comunitario del regime delle quote latte, dove gli spazi di manovra concessi agli Stati membri sono veramente minimi, si possa ritenere che le Regioni abbiano una propria discrezionalità “politica”. La risposta negativa di questa Commissione sembra confermata dal d.l. n.11/1997, che a decorrere dal periodo 1997-98 attribuisce alle Regioni le funzioni amministrative relative all’attuazione della normativa comunitaria in materia di quote latte e di prelievo supplementare. In ogni caso è materia di riflessione la sentenza della Corte Costituzionale del 24 aprile 1996 n.126, secondo la quale le disposizioni comunitarie, per esigenze organizzative proprie dell’Unione europea, possono legittimamente prevedere normative statali derogatrici perfino del quadro della normale distribuzione costituzionale delle competenze interne, salvo il rispetto dei principi costituzionali inderogabili.

 

 

10.2   Come si è già accennato supra, par.10.1, con la legge n.468/92, che regionalizzava il sistema di controllo delle quote-latte, si prevedeva l’assunzione da parte nell’AIMA di una serie di competenze che avrebbero dovuto costituire una sorta di rapporto di sovraordinazione AIMA-Regioni.

E così, oltre a quanto disposto dall’art.2, 1° ed 8 commi legge n.468/92 (v. supra, par.10.1), il DPR n.569/1993 affidava all’AIMA: a) il monitoraggio delle dichiarazioni delle consegne e delle vendite dirette, mediante la creazione di un apposito schedario; b) la supervisione del controllo contabile dei movimenti di latte, delle compensazioni e di quelli in loco effettuati dalle Regioni; c) il coordinamento delle misure amministrative prese dalle Regioni per la messa in opera dei controlli, ovverosia competenze che, in sostanza, sono dirette soltanto a supportare a livello tecnico ed operativo la funzione di controllo delle quote che è, invece, nelle mani delle Regioni e ciò con queste conseguenze: 1) che mentre all’AIMA sono state addossate solo competenze formali ma con le connesse responsabilità finanziarie, i reali poteri di gestione sono stati riconosciuti a strutture e soggetti esterni; 2) che l’Italia non ha costituito, come impostole dal Regol. n.4045/89 e come formalmente impegnatasi con la UE nell’Accordo dell’11 aprile 1994, l’organo centrale di controllo, referente delle istituzioni comunitarie.

La conferma di quanto appena detto si ricava dal fatto che l’AIMA non è riuscita ancora a pubblicare bollettini in tempo utile e senza errori (v. supra, par.9.4), come contestatole dal MiRAAF con nota n.31014 del 2 marzo 1995 (v. Allegato sub 118).

 

 

11.     Modifica del sistema di compensazione e retroattività

 

11.1    Come si è detto supra, paragrafi 5.2, 5.3 ed 8.4, la Comunità prevede un sistema di compensazione, a scelta dello Stato, o a livello dell’acquirente o a livello nazionale, a partire dalla campagna 1993-94.

In precedenza, quindi, legittimamente lo Stato italiano, che aveva scelto la formula A, per la quale il prelievo era riscosso presso il produttore, aveva in pratica reso possibile, oltre alla compensazione a livello nazionale, una compensazione a livello di Associazione di produttori, avendo elevato l’UNALAT, che comprendeva la quasi totalità dei produttori italiani, a “produttore unico”. Il produttore associato aveva perciò, tendenzialmente, la forte speranza di una quasi sicura compensazione all’interno della Associazione stante l’ampiezza della platea dei beneficiari, venendo così meno l’effetto dissuasivo della sanzione del superprelievo sul produttore a non superare il suo QRI (così la Corte dei Conti europea  4/1993: v. Allegato sub 2), potendo egli verosimilmente contare su una minore produzione da parte dei consociati.

Tuttavia, in una delle campagne  in cui si presentava come “produttore unico” (1989-90), l’UNALAT aveva ammesso un complessivo sforamento per un quantitativo di 52.000 tonnellate pari ad un ammontare di prelievo di circa 19 miliardi (v. memoria prodotta dal dott. Catania il 1° marzo 1997, p. 9: Allegato sub 43), versando il 23 gennaio 1991 un acconto di 5 miliardi (v. nota UNALAT del 16 ottobre 1990 al MAF: Allegato sub 119).

Sulla base di una interpretazione estensiva dell’art.1, 3° comma, legge n.201/1991 - che, come si è detto supra, par. 8.1, è in plateale contrasto con la regola dell’immediata applicazione dei regolamenti comunitari nel territorio di tutti gli Stati membri -, l’UNALAT, però, si giovava dell’irregolare “differimento” della vigenza, per l’Italia, della normativa comunitaria e, per l’effetto, veniva illegittimamente sollevata, di fatto, dalle conseguenze della propria disapplicazione della normativa comunitaria che - ripetesi - era ed è immediatamente applicabile: con dovere dello Stato di richiedere, oggi, all’UNALAT il pagamento del prelievo, quanto meno nella quantità ammessa e non versata.

 

11.2    I produttori non-associati avrebbero potuto giovarsi della compensazione solo a livello nazionale. Questa diversità di trattamento aveva indotto la Comunità a mettere in discussione il sistema che l’Italia di fatto aveva realizzato: invero, come si è già accennato, i produttori non-associati godevano di un solo livello di compensazione, mentre gli associati ne godevano di due. Ovviamente, la compensazione a favore dei non-associati si sarebbe verificata solo qualora le Associazioni, nel loro complesso, avessero presentato una produzione minore dei complessivi QRI dei loro associati, rispetto alla produzione maggiore della somma dei QRI dei non-associati.

Onde ovviare a tale situazione, il MiRAAF, con decreto 27 dicembre 1994 n.762 (Allegato sub 77), disponeva che anche i produttori non-associati godessero, tra di loro, di una sorta di compensazione, l’EIMA dovendo ripartire la quantità non utilizzata da parte di alcuni, fra i produttori che avevano superato la propria quota, e ciò proporzionalmente alle quantità eccedenti consegnate da ciascuno di essi (art.5).

A tal proposito, si tenga conto che, secondo l’AIMA, i produttori non-associati sono stati, per la campagna 1995-96, in numero di 9.843, per complessivi QRI di 116.772 tonnellate di latte e con uno sforamento di 7.103 tonnellate. Per l’Osservatorio sul mercato dei prodotti lattiero-caseari, che ha pubblicato per i tipi Franco Angeli di Milano, nel giugno 1996, il volume Annuario del latte 1996, i produttori non associati, nel 1994-95, erano 258, con una produzione lattiera complessiva di 102.100 tonnellate (v. Allegato sub 24, tavola a pag.119). La differenza del numero dei produttori non associati (258 secondo i dati AIA-UNALAT riportati nel volume suindicato; 9.843 secondo la nota dell’AIMA, ancorché con riguardo a due annate diverse) si potrebbe spiegare rilevando che i dati contenuti nel detto volume riguardano le “imprese in produzione”, mentre i dati forniti dall’AIMA comprendono anche i non-associati che hanno ceduto, nel 1995-96, le loro quote: invero, secondo la nota AIMA dell’11 aprile 1997 (Allegato sub 120) i produttori con produzione in corso nel 1995-96 erano 206 ed i produttori senza Associazione identificata e con produzione in corso erano 184, mentre quelli senza produzione erano, rispettivamente, 8.086 e 1.367.

 

11.3   Come si è detto supra, nel par. 8.4., la Commissione UE, dopo avere inviato il 9 marzo 1995 una prima nota (v. Allegato sub 78) ed aver ricevuto le obiezioni del MiRAAF con nota del 4 maggio 1995 (v. Allegato sub 79), il 20 maggio 1996 metteva formalmente in mora l’Italia, invitandola ad adeguarsi alla normativa comunitaria, pena il ricorso alla Corte di giustizia per la procedura di infrazione (Allegato sub 70).

L’Italia si adeguava e con il d.l. 8 agosto 1996 n.440, non convertito, ma reiterato con il d.l. 23 ottobre 1996 n.542 (che, finalmente, veniva convertito, con emendamenti, nella legge 23 dicembre 1996 n.649), eliminava la compensazione a livello di associazione, prevedendone esplicitamente la sua retroattività alla campagna 1995-96, cioè ad una campagna lattiera già esaurita.

Occorre, ancora, mettere in evidenza che solo il 29 marzo 1996 veniva pubblicato il bollettino di aggiornamento per la già esaurita campagna 1995-96, mentre la circolare AIMA n.657, diretta ai singoli produttori, con l’indicazione dei rispettivi prelievi per aver sforato i propri QRI della campagna esaurita, è datata 25 settembre 1996, e ciò a seguito del d.l. n.440/96 che a quella data era ancora oggetto di discussione per la conversione, poi non avvenuta.

 

11.4   Assume certamente rilievo il fatto che la determinazione definitiva dei QRI (con riguardo ai quali, poi, è “scattato” lo sforamento e quindi il prelievo), è avvenuta quando i produttori avevano già posto in essere l’attività economica “assoggettata” alla nuova disposizione italiana, tanto è vero che, proprio sulla difformità della data del bollettino - successiva alla campagna 1995-96 - rispetto alla data rilevante secondo la normativa comunitaria - ovviamente, una data anteriore all’inizio della campagna - si fondano l’ordinanza del Giudice del Tribunale di Bologna del 21 dicembre 1996 (Allegato sub 121) e l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 24 gennaio 1997 (Allegato sub 122) con cui è stata accolta, ex articolo 700 c.p.c., la domanda di vari produttori diretta ad ottenere la sospensiva delle richieste di versamenti del superprelievo. Ma alla Commissione pare prevalente il rilievo che deriva dalla risposta affermativa alla questione concernente il più ampio problema di cosa succede quando una legge espressamente “promette” certe provvidenze giuridiche (o consente certe operazioni che si traducono in effettive provvidenze), tanto da generare nei cittadini un determinante affidamento con riguardo alle proprie operazioni economiche.

È da riconoscersi che, per la primazia del diritto comunitario, allorché il Regol. 3950/92 ha imposto un solo livello di compensazione, la nostra difforme legge sui due livelli compensatori non poteva essere applicata e ciò fin dall’inizio; ma non si può non considerare che è principio di diritto comunitario la tutela del legittimo affidamento.

In altre parole, individuato il meccanismo comunitario di applicazione del prelievo supplementare di responsabilità e rilevate le particolari modalità di applicazione del prelievo in Italia, quali sono le conseguenze dell’atteggiamento della Comunità di accettazione, fin al 1996, della diversa normativa italiana ?

Certamente non si è in presenza di una situazione assimilabile al caso dei produttori c.d. SLOM, che si erano impegnati a non commercializzare il latte in un momento precedente all’introduzione del regime delle quote e poi erano stati esclusi dall’assegnazione di quote individuali (Corte di giustizia 28 aprile 1988, in cause nn. 120/86 e 170/86), cioè all’ipotesi in cui è stata la stessa Comunità ad aver dato luogo ad informazioni sulle linee di sviluppo dell’economia comunitaria in un determinato arco di tempo, inducendo alcuni produttori ad abbandonare provvisoriamente la propria attività economica con la certezza di poterla riprendere, mentre poi costoro si sono trovati coinvolti in un successivo comportamento normativo della stessa Comunità che avrebbe sottratto loro (se non ci fosse stato l’intervento della Corte di giustizia) il diritto di riprendere la vecchia attività con sacrificio dell’interesse connesso all’affidamento.

Ma può dirsi che si è in presenza di una situazione assimilabile a quella del caso Ferwerda (Corte di giustizia 5 marzo 1980, in causa 265/78), nel quale l’impresa Ferwerda si era, nelle sue operazioni commerciali, attenuta alla circolare olandese 15 ottobre 1976, nella quale si dichiarava che gli operatori economici potevano chiedere una restituzione per forniture aventi “destinazioni particolari”, ricalcando il testo dell’art.3 del Regol. n.192/75, ma omettendo di precisare, diversamente dallo stesso articolo, che doveva trattarsi di approvvigionamento di navi nella Comunità, mentre la Ferwerda, senza omettere alcuna informazione, aveva richiesto le restituzioni all’esportazione per partite di carne spedite a navi nelle Bermuda ottenendo dall’Autorità olandese, prima, la restituzione all’esportazione e, poi, la richiesta di rimborso delle restituzioni posto che - si sosteneva - il versamento era in contrasto con il detto art.3 Regol. n.192/1975.

In sostanza, nel caso Ferwerda - come nel precedente caso Frecassetti (Corte di giustizia 11 settembre 1976, in causa 113/75) - un imprenditore olandese aveva operato in base a disposizioni nazionali e comunitarie interpretate, e quindi osservate, in buona fede, non solo dall’operatore economico, ma anche dalle autorità doganali e comunitarie (e ciò fino alla suindicata sentenza interpretativa della Corte di giustizia in causa Frecassetti), sicché egli si era “affidato” alla corrente interpretazione della normativa allora vigente. Orbene, la Corte di giustizia, sulla questione pregiudiziale di interpretazione della normativa comunitaria, ha concluso nel senso che per il principio di certezza del diritto (valido non solo nel diritto nazionale ma anche nel diritto comunitario) “benefici finanziari concessi per errore dall’autorità pubblica non possono essere recuperati se l’errore commesso non è dovuto alle informazioni inesatte fornite dal beneficiario o se tale errore, sebbene le informazioni fornite fossero inesatte, ma fornite in buona fede, poteva essere facilmente evitato”.

D’altra parte, implicitamente la nostra Corte Costituzionale (sentenza 5 giugno 1984 n.170) ha riconosciuto che la base giuridica degli operatori italiani (che si trovavano in situazioni analoghe al caso Frecasetti) per chiedere la non-applicazione retroattiva del DPR 22 settembre 1978 n.695 reso compatibile con la normativa comunitaria riformulata dopo la sentenza Frecassetti del 1976, era il principio della certezza del diritto o del legittimo affidamento, dato che la Corte invitava i giudici di merito (di rinvio) a far riferimento alle norme  e ai principi di diritto comunitario, per stabilire se e a quale titolo il regime dei prelievi alla importazione dovesse essere applicato anche per il periodo precedente all’11 settembre 1976 (data della sentenza Frecassetti).

In altre parole, se le autorità nazionali hanno “attuato” la normativa comunitaria sulla compensazione del Regol. n.3950/1992 (a mezzo della legge nazionale n.468/92 ed, ancora, a mezzo del decreto MiRAAF del 27 dicembre 1994 n.762, poi giudicati sicuramente come difformi e, perciò, non applicabili) sempre allo stesso modo per le campagne 1993-94 e 1994-95 e ciò senza forte reazione della Comunità, la quale, dopo le osservazioni contenute nelle lettere del 1° aprile 1993 (nota Legras, Allegato sub 5) e del 23 agosto 1993 (Allegato sub 123) , spiegava  all’Italia, con la nota 3 novembre 1993, che “qualora avesse scelto di mantenere il sistema di compensazione al livello delle associazioni di produttori”, avrebbe dovuto adottare cinque determinate precauzioni, che venivano elencate ed esplicitate (Allegato sub 124). Inoltre, a seguito della visita ispettiva della Commissione CEE del 14 novembre 1994, il Commissario Steichen, nella nota del 7 dicembre 1994 (v. Allegato sub 125), scriveva che “la visita presso le Associazioni di produttori ha permesso di constatare che, malgrado la mancanza di alcune dichiarazioni, la perequazione di fine campagna è stata correttamente effettuata grazie alla gestione del regime messa in opera dalle AP e alla loro iniziativa”.  E se soltanto dopo alcuni anni le Autorità nazionali si sono rese conto (anche a causa di uno specifico quesito proposto alla Commissione con nota MiRAAF del 31 marzo 1994 - v. Allegato sub 126 - e, quindi, dell’intervento della Comunità del 9 marzo 1995 e poi del formale “parere” del 20 maggio 1996), di aver sbagliato a causa della più corretta interpretazione comunitaria che dà contezza della difformità della norma nazionale e della sua immediata disapplicabilità, c’è da chiedersi se non ricorrano i presupposti del dictum della Corte di giustizia del caso Ferwerda, in virtù del quale è doveroso per le pubbliche autorità rispettare il principio dell’affidamento legittimo, con l’unico obbligo di verificare l’esistenza delle seguenti condizioni: a) che ricorra un interesse privato degno di tutela, b) che le operazioni commerciali siano oggetto di impegni irrevocabili; c) che la lesione arrecata a tali interessi sia stata imprevedibile e sia intervenuta senza preavviso; d) che nessun interesse pubblico vi osti (v. conclusione avvocato generale Mayras nelle cause riunite nn.44-51/77, Union Malt: Allegato sub 127).

Orbene, nel caso nostro di specie - compensazione a livello di Associazione di produttori a favore dei produttori associati - non vi è dubbio che: a) ricorre un interesse privato degno di tutela; b) che l’operazione commerciale di produzione di latte, con eventuale sforamento del QRI, è stato oggetto di un impegno (organizzazione della rispettiva impresa) ormai irrevocabile, essendosi quasi alla fine della campagna lattiera quando è intervenuta la legge n.642/96 che ha fatto retroagire il sistema comunitario di compensazione; c) che, per lo stesso comportamento delle Autorità comunitarie, i produttori associati italiani di latte potevano ritenere legittimo il sistema adottato dall’Autorità nazionale e, quindi, ritenere imprevedibile il cambio di “rotta”; d) che interessi pubblici inderogabili della Comunità non ostano all’applicazione del principio dell’affidamento legittimo dei produttori italiani per l’applicazione, per la sola campagna 1995-96, del sistema di compensazione a livello di associazione.

A proposito del punto d), è opportuno prospettare ulteriori considerazioni. Innanzitutto, va messo in evidenza il fatto che la formulazione del testo dell’art.4 bis del Regol. n.590/85, come emendato dal Regol. n.774/87 e, poi, dal Regol. n.764/89, consente agli Stati membri di limitare il prelievo supplementare dovuto dai produttori o dagli acquirenti al solo superamento del QGG, ovverosia della quota nazionale.

In secondo luogo, il sistema di imputazione a livello di associazione di produttori previsto dalla legge n.468/92 non è produttivo di danno per la Comunità, dal momento che presuppone pur sempre un secondo livello di compensazione (a livello nazionale), al termine del quale, ove si riscontrino eccedenze rispetto al QGG assegnato all’Italia, scatta l’obbligo per lo Stato membro di corrispondere le somme relative a tali eventuali eccedenze. Invero, dal punto di vista “quantitativo”, l’ammontare del latte prodotto in un’annata lattiero casearia (1° aprile - 31 marzo) non subisce variazioni, sia che le operazioni di compensazione si svolgano dapprima a livello di associazione di produttori e, successivamente, a livello nazionale, sia nell’ipotesi che si utilizzi, come nel caso dei produttori non-associati, il solo livello nazionale di compensazione. Il prelievo supplementare, infatti, è dovuto esclusivamente per le produzioni eccedenti il quantitativo nazionale, che, come è stato detto, non varia in caso di utilizzazione dei due livelli di compensazione

 

 

 

 

12.     Contratti aventi ad oggetto il trasferimento della quota senza azienda

 

12.1   Originariamente la quota-latte non poteva circolare senza l'azienda. Il legame quota-azienda, in qualche modo evidenziato dall'art.7 Regol. n.857/84 (per il quale, "in caso di vendita, locazione o trasmissione per via ereditaria di un'azienda, il corrispondente quantitativo di riferimento è trasferito totalmente o in parte all'acquirente, al locatario o all'erede"), appariva rafforzato dal Regol. n.1546/88, il cui nono considerando, nel riconoscere la facoltà degli Stati membri di attribuire all'affittuario il diritto di "portare con sé"        la quota in caso di cessazione dell'affitto non oggetto di rinnovo (par. 4 dell'art.7 Regol. n.857/84 come modificato dal Regol. n.590/85 del 26 febbraio 1985), precisava che tale facoltà costituiva una deroga al principio secondo cui il trasferimento di un quantitativo di riferimento non poteva essere effettuato indipendentemente da un trasferimento di terre.

Il "criterio territoriale" trovava la sua giustificazione nell'impatto positivo, da un punto di vista ambientale, del collegamento fra trasferimento delle quote e trasferimento del fondo, data che l'aggancio della quantità di produzione lattiera al terreno presupporrebbe un'idonea superficie a pascolo e, quindi, determinerebbe il mantenimento di un tipico paesaggio agrario e la sua tutela dal degrado.

Va aggiunto che, per interpretazione della Corte di giustizia (sentenza 13 luglio 1989 in causa n.5/88, Allegato sub 128), per "azienda", di cui all'art.12, lett. d del Regol. n.857/84, deve intendersi "il complesso di beni per la produzione agricola gestito da un soggetto che commercializza latte" e, dunque, il complesso organizzato comprensivo di terra, edifici aziendali, vacche e quota, ancorché non importi   -nell’ipotesi di affitto di fondi rustic i- che "le cheptel laitier et les installations tecniques nécessaires à la production de lait  aient été apportés par le bailleur".

 

12.2   Con il Regol. n.2998/87 del 5 ottobre 1987, nella disciplina comunitaria viene prevista la possibilità che gli Stati membri introducano due forme di circolazione della quota senza azienda, come eccezione al principio che esclude un tal genere di mobilità della quota.

Giustificandola con l'opportunità "di proseguire la ristrutturazione della produzione lattiera e di migliorare l'ambiente", è stabilita, così, l'estensione delle deroghe al principio del collegamento del QRI all'azienda (v. il sedicesimo considerando del consolidato Regol. n.3950/92), essendo autorizzati gli Stati membri "a prevedere una certa mobilità dei quantitativi di riferimento all'interno di un ambito geografico determinato e in base a criteri obiettivi" (medesimo considerando). Più precisamente, ora l'art.6 Regol. n.3950/92 consente che gli Stati membri autorizzino cessioni temporanee del QRI per un periodo di dodici mesi eventualmente rinnovabili, ma limitate "al livello dell'acquirente o all'interno delle regioni" e comunque entro il 31 dicembre di ogni anno; mentre l'art.8, quinto trattino, del suddetto Regolamento consente che gli Stati membri autorizzino i produttori, su espressa richiesta degli stessi ed allo scopo di migliorare la struttura della produzione lattiera a livello dell'impresa o di consentire l'estensivizzazione della produzione, il trasferimento del QRI senza corrispondente trasferimento di terre.

Se si volesse usare un linguaggio corrente tra i costituzionalisti italiani, si potrebbe dire che la facoltà concessa dall'UE agli Stati membri di prevedere, nel diritto interno, i contratti di "vendita" e di "affitto" della quota (così, la nostra legge n.468/92, con formula, quanto alla seconda, tecnicamente scorretta dato che, ai sensi dell'art.1615 c.c., si intende per affitto la cessione temporanea del godimento di una cosa produttiva), è in sostanza una ipotesi di riserva di legge rinforzata, poiché la determinazione concreta delle disposizioni normative nazionali deve mirare alla realizzazione delle due congiunte finalità della ristrutturazione della produzione lattiera e del miglioramento dell'ambiente: sicché sulla base di tali fini devono essere saggiate le legislazioni nazionali.

 

12.3   L'Italia decide di optare per la facoltà di autorizzare la mobilità della quota senza azienda solo con la legge 26 novembre 1992 n.468: il che importa una prima conseguenza, e cioè che nel nostro diritto non sono riconoscibili, e dunque non possono essere invocati, contratti di "vendita" o di "affitto" di quote conclusi prima della campagna lattiera 1993-94, ovverosia stipulati prima del 1° aprile 1993.

I referenti normativi nel diritto italiano sono: l'art.10 legge n.468/92 e gli artt. 17-20 DPR n.569/93. Più precisamente, è concesso ai produttori il diritto di vendere o "affittare", totalmente o parzialmente, la propria quota A senza alienare l'azienda agricola (art.10 legge ed artt. 18 e 20 DPR), purché:

a)      le aziende, rispettivamente del cedente e del cessionario, siano nella medesima regione e nella medesima categoria di territorio (art.10, 2° comma, legge; art.17, 2° comma, DPR);

b)      l'azienda cessionaria abbia una produzione lattiera non superiore al limite di trenta tonnellate annue per ogni ettaro di SAU e, con l'acquisto o l'affitto, non superi tale limite (art.10, 3° comma, legge; art.17, 3° comma, DPR);

c)      la cessione sia pattuita entro il 30 novembre di ogni anno [ora, ex art.4 d.l. n.552/96 convertito nella legge n.642/96, portato al 31 dicembre di ogni anno] (art.10, 6° comma legge; artt. 18, 8° comma e 20, 6° comma, DPR);

d)      la vendita sia comunicata, per l'esercizio del diritto di prelazione, ai soci della cooperativa ed ai produttori dell'Associazione di produttori di cui faccia parte il cedente (art.10, 7° e 8° commi, legge; art.19, DPR);

e)      l'"affitto" sia stipulato esclusivamente a favore dei produttori dell'Associazione di produttori di cui faccia parte il cedente, ma ciò per le sole campagne 1993-94 e 1994-95 (art.10, 13° comma, legge);

f)       i contratti risultino da scrittura privata autenticata (artt. 18, 5° comma, e 20, 6° comma DPR) [ora è prevista la formalità dell'autenticazione da parte degli uffici regionali] e siano convalidati dalle Regioni (artt. 18, 9° comma e 20, 10° comma DPR);

g)      l'"affitto" della quota sia previsto per un intero periodo, rinnovabile una sola volta (art.20, 4° comma DPR) [ora è ammesso il rinnovo per due volte: v. art.4, 1° comma d.l. n.552/96, convertito nella legge n.642/96]; inoltre:

h)      il produttore che acquista la quota subisce la riduzione della sua eventuale quota B (art.17, 4° comma, DPR) [ora abrogato ex art.4, comma 1bis, d.l. n.552/96, convertito nella legge n.642/96];

i)        la quota venduta od "affittata" subisce, comunque, una decurtazione -a seconda dei casi- del 15% o del 10%, al fine della costituzione di un'apposita riserva per l'attribuzione di nuove quote a giovani agricoltori e a produttori di montagna (art.10, 10° comma, legge; art.17, 4° comma, DPR) [disposizione ora abrogata, a partire dalla campagna 1997-98, dall'art.1, 54° comma, legge 28 marzo 1997 n.81, di conversione del d.l. n.11/97];

l)        i produttori, il cui abbandono della produzione per un periodo di almeno dodici mesi sia stato già accertato dalla amministrazione (art.17, 5° comma DPR) e quelli che non hanno commercializzato latte nel corso della campagna 1988-89 (art.17, 6° comma, DPR), non possono avvalersi della facoltà di vendere od "affittare" la propria quota.

Quello che merita di essere segnalato subito è che il nostro sistema non prevede una formale richiesta di autorizzazione per la vendita della quota senza azienda (v., invece, Allegato sub 129, la diversa e specifica procedura del Dairy Produce Quotas Regulations 1994 della Gran Bretagna, con la traduzione della sect. 13), limitando il procedimento alla verifica, da parte delle Regioni, della scrittura privata di vendita antecedente il termine del 30 novembre (ora, dicembre) di ogni anno; e che il fine del miglioramento dell'ambiente, indicato dalla UE come necessaria direttrice della normativa nazionale sulla mobilità delle quote senza azienda, non è mai espressamente richiamato né nella legislazione, né tanto meno nella circolare MiRAAF del 29 ottobre 1993 n.16 in applicazione della legge n.468/92 (v. p. 6 della circolare, Allegato sub 130), quasi per una sorta di "riconoscimento" della inesistenza del dato ambientale nei "criteri obiettivi" che avrebbero, invece, dovuto presiedere la formulazione della normativa italiana.

Sono state, invece, rispettate le prescrizioni comunitarie sui tipi contrattuali consentiti (cessione definitiva -o vendita- e cessione temporanea -o "affitto"-), sulla durata annuale delle cessioni temporanee, sul limite geografico regionale della mobilità delle quote, nonché sulla perdita della quota per mancata commercializzazione del latte in un periodo di dodici mesi (per quest'ultima norma v. art.5, 2° inciso,  Regol. n.3950/92).

Per modelli di simili contratti di vendita e di “affitto” della sola quota v. Allegato sub 131.

 

12.4   Punto fondamentale per comprendere meglio la "prassi" contrattuale che si è instaurata tra i produttori italiani è la disposizione per la quale non vi è possibilità di avvalersi della facoltà di vendere o "affittare" la propria quota da parte di coloro o che avevano abbandonato la produzione tra il 1 dicembre 1992 ed il 30 novembre 1993 perdendo così il diritto alla quota (art.2, 4° comma, legge n.468/92) o che non avevano commercializzato latte nel 1988-89 tanto che non era stata loro attribuita alcuna quota. Tuttavia, a coloro che risultavano non aver prodotto nella campagna 1991-92 era stata riconosciuta una quota nel bollettino n.3 dell'AIMA; ma costoro erano stati individuati con un asterisco (i c.d. produttori "asteriscati") per la riserva di accertamenti e di convalida, posto che ragionevolmente poteva presumersi che essi non avessero prodotto e commercializzato latte neanche nel periodo successivo.

Dunque, coloro che non avevano commercializzato latte né nella campagna 1988-89 (è, come si è detto supra par. 6.7, l'anno di riferimento per l'attribuzione della quota A), né nella campagna 1992-93 (è l'annata precedente l'applicazione della legge n.468/92 con l'introduzione della facoltà di vendita e di "affitto" della quota senza azienda), non avendo diritto ad alcun QRI, non avevano nemmeno il diritto di venderlo o di "affittarlo".

Orbene, il d.l. 31 marzo 1994 n.215 (reiterato con d.l. n.323/94, poi convertito nella legge n.470/94), dispone che non si verifica la perdita della quota, per mancata produzione e commercializzazione per un periodo di dodici mesi (elevabili a ventiquattro in caso di forza maggiore o di impossibilità sopravvenuta), qualora il produttore abbia ceduto temporaneamente o utilizzato mediante contratti associativi la quota nel periodo 1992-93 (elevabile a quello 1991-93, in caso di forza maggiore o di impossibilità sopravvenuta). In altre parole, viene introdotto, in modo surrettizio, un'altra forma di "trasferimento" della quota, sconosciuta al diritto comunitario, che è quella della sua utilizzazione mediante "contratti associativi".

Il contratto cui si fa riferimento è quello di soccida. "Riscoperto" per evitare la perdita della quota per mancata produzione e commercializzazione nel periodo 1992-93 (il contratto di soccida non richiede particolari formalità), il contratto di soccida è stato ed è utilizzato da molti produttori italiani con poca produzione e (relativamente) molta quota per far godere parte della propria quota ad altri produttori con molta produzione e (relativamente) poca quota. Più precisamente, due produttori titolari di quota-latte si associano per l'allevamento e lo sfruttamento del bestiame di entrambi al fine di ripartirne il prodotto: il soccidante conferisce il bestiame e la sua quota ed il soccidario conferisce il bestiame, la sua quota ed il lavoro. Il soccidante si qualifica titolare dell'impresa di soccida e, come tale, provvede alla commercializzazione del latte: in simile situazione, il soccidante produce il quantitativo di latte fino al completamento della (molta) quota di riferimento che gli è stata assegnata, sfruttando anche la produzione di latte realizzata nell'azienda del soccidario, il quale -essendo eccedentario nella produzione- può in tal modo ridurre, se non annullare, il rischio del prelievo supplementare. Poiché il contratto non appare avente ad oggetto il trasferimento della quota, esso non solo non è sottoposto alla validazione da  parte della Regione, ma è anche utilizzato nel corso della campagna lattiera. Ed infatti, il soccidante si limita a trasmettere copia del contratto alla latteria che è acquirente del latte consegnato dal soccidario, al fine di farlo contabilizzare come latte prodotto da esso soccidante e ciò fino al completamento della quota di riferimento a lui assegnata.

Nella misura in cui tale contratto venga utilizzato per effettuare una inammissibile (secondo il diritto comunitario) compensazione tra un produttore eccedentario, rispetto al proprio QRI, ed un produttore deficitario e per aggirare la normativa nazionale sulla limitazione geografica e quantitativa delle cessioni temporanee di quota (v. anche audizione Sen. Robusti: Allegato sub 54), esso è nullo perché in frode alla legge (art.1344 e c.c.): e ciò indipendentemente dal fatto che nel concreto le vacche non subiscono alcun trasferimento fisico dalla stalla del soccidante a quella del soccidario e che il soccidante non si preoccupa della gestione e dell'amministrazione della stalla del soccidario come gli imporrebbe il codice civile (ovverosia, due situazioni concrete in contrasto con la disciplina legale del rapporto che sarebbe dovuto conseguire da un vero contratto di soccida), mentre i conferimenti dei due allevatori, nel quadro di un vero e reale rapporto di soccida, dovrebbero dar luogo ad un'impresa collettiva, ovverosia ad un nuovo soggetto imprenditore (l'impresa comune di soccida) che solo così si presenterebbe alla latteria acquirente.

A seguito della dedotta nullità, nessun valore può avere la comunicazione del c.d. soccidante alla latteria acquirente del latte del c.d. soccidario affinché il latte di costui sia contabilizzato al nome del primo. Mentre, se nel caso di specie si ritenesse vero e valido il contratto di soccida, si avrebbe conferimento, da parte degli associati, delle rispettive aziende e, quindi, la creazione di un nuovo titolare della quota risultante dalla somma delle quote trasferite assieme alle aziende e, perciò, soggetta alla disciplina del trasferimento di quota con l'azienda.

 

12.5   L'inventiva italica contro il rischio del pagamento del prelievo ha dato luogo anche al contratto c.d. di comodato di stalla (v. un esempio Allegato sub 132), che non dà luogo allo sfruttamento dell'azienda del comodante da parte del comodatario, ma solo all'utilizzazione (di parte) della quota del comodante da parte del comodatario che ha un eccesso di produzione rispetto al proprio QRI.

In altre parole, il comodatario risulta utilizzare la stalla, con le rispettive vacche (poche) e la rispettiva (molta) quota, del comodante, sicché il latte consegnato alla latteria dal comodatario viene contabilizzato tenendosi conto della quota spettante al comodante. Anche tale contratto, non apparendo avere ad oggetto il trasferimento della quota, non viene sottoposto alla convalida regionale. Ma anch'esso, nella misura in cui è diretto ad operare una inammissibile (secondo il diritto comunitario) compensazione tra produttori, è nullo perché contratto in frode alla legge (art.1344 c.c.), e ciò indipendentemente dal fatto che di regola esso è un contratto simulato, data la presenza del corrispettivo, "nascosto" sotto la voce "spese" inerenti all'utilizzo della stalla e dei fabbricati e dei mangimi dichiarati già presenti in azienda.

Analoga conseguenza è da attribuirsi al contratto c.d. di comodato di azienda, allorché esso sia limitato a brevissimo periodo ed appaia, in tal modo, strumentale all'aggiramento delle disposizioni in tema di trasferimento della quota e di compensazione (v. ad esempio, i contratti stipulati per il periodo 19 febbraio 1997 - 31 marzo 1997 tra imprese zootecniche sarde, come comodanti, ed imprese zootecniche lombarde come comodatarie, trasmessi dalla Regione Lombardia con nota del 24 marzo 1997: Allegato sub 133; contratti che hanno portato agli accertamenti, disposti da questa Commissione - v. Allegati sub 134,135 e 136 - per i quali tale Solinas Giovanni Antonio di Iglesias ha solo 24 vacche da latte in produzione contro una quota di 650.500 kg. e una produzione di latte dichiarata di kg. 225.772; tale Cadoni Adolfo di Palmas Arborea ha solo 27 vacche da latte in produzione contro una quota di 498.660 kg. ed una produzione di 81.861; tale Pellini Arnaldo di Olmeneta di Cremona ha 72 vacche lattifere, una quota latte di kg. 208.827 ed un conferimento di kg. 458.553; tale Donzelli Adriano di Chievo di Cremona ha 120 vacche lattifere, una quota latte di 794.174 ed un conferimento di kg. 861.525; e tale Zaghen Alceste di Pianengo di Cremona ha 200 vacche lattifere, una quota latte di kg. 946.077 ed un conferimento di kg. 1.803.675). Ovviamente sarà, invece, assimilabile all'affitto di azienda (con la rispettiva quota), quando, per la durata e per altre circostanze, appaia verosimile un contratto di concessione gratuita dell'azienda di allevamento, al quale dovrà, per analogia, applicarsi la normativa relativa alla cessione di quota assieme all'azienda. In tal caso, tuttavia, il concessionario, che fosse per avventura già produttore e titolare di quote, non potrà gestire l'azienda propria e l'azienda ottenuta in comodato come un'unica azienda (salvo quanto è disposto dall'art.2 del decreto  MiRAAF del 27 dicembre 1994 n.762: v. Allegato sub 77), posto che egli ha l'obbligo, al termine del rapporto, di restituire l'azienda comodata nella forma e nella sostanza con cui gli è stata concessa.

Sono state, anche, costituite società semplici tra produttori, con cui uno dei soci si è limitato a conferire, tutta o in parte, la sua quota e l'altro o gli altri hanno conferito vacche e quote. Se si tratta di vera società e cioè non di una societas unius acti, strumentale per aggirare la normativa sul trasferimento delle quote e sulla compensazione e come tale nulla perché in frode alla legge, essa dà luogo ad un nuovo soggetto titolare dell'unica azienda di allevamento costituita dai diversi e distinti conferimenti dei soci: cosicché il conferimento della (sola) quota, fatta quoad usum o quoad proprietatem, è assoggettata alla distinta disciplina del trasferimento della quota per "affitto" o per "vendita" e, come tale,  necessitante della validazione regionale, mentre il conferimento dell'intera azienda con la quota è assoggettato alla disciplina del trasferimento della quota assieme all'azienda.

 

12.6   Al fine di avvertire la vastità del fenomeno e, dunque, a proposito di quanto esposto supra par. 12.4 e 12.5, merita attenta considerazione il fatto che la Commissione UE aveva segnalato con nota del 7 dicembre 1994 del Commissario Steichen (v. Allegato sub 125), a seguito della visita ispettiva del 14 novembre 1994 (v. Allegato sub 137), che nell'elaborazione del bollettino AIMA n.1 rettificato, relativo alla campagna 1994-95, erano stati esaminati ben 27.502 contratti, dei quali n.10.002 erano stati ritenuti validi mentre dei residui 17.500 contratti, ben 9.437 erano stati già "scartati perché affetti da carenza di informazioni non sanabile", e n.8.063 erano ancora oggetto di controllo.

Indipendentemente dal fatto che le dettagliate indicazioni della Commissione, dopo essere state accettate nel corso della visita ispettiva, non risultano essere state rispettate (v. , ad es., nota EIMA al MiRAAF del 10 marzo 1995: Allegato sub 138),  quanto sopra è detto al fine di comprendere quale e quanto possa essere il fenomeno rappresentato dai contratti atipici di cessione delle quote, se è vero che i contratti tipici di "affitto" della quota ammontavano a 27.502 nella campagna 1994-95 su una platea di circa 110.000 aziende zootecniche. D'altra parte, se non si fosse trovato il sistema di utilizzare al nero la quota a qualche produttore assegnata al di là della sua effettiva produzione, non si comprenderebbe la ragione dei dati degli allevamenti calabresi e sardi che, sulla base delle indicazioni fornite dalle loro stesse Associazioni di produttori confluenti nell'UNALAT, presentano una produzione media lattiera superiore quasi del doppio (7.445 Kg./vacca, la Calabria; 5,796 Kg./vacca, la Sardegna) a quella media italiana (4.654 Kg./vacca), tanto da indurre i curatori dello studio dell'Annuario Latte 1996, ovverosia la stessa UNALAT e l'AIA (v. pag. 100 Allegato sub 24) a dichiararle inattendibili.

Va detto ancora che nell’audizione del dott. Carturan (Allegato sub 55), vicepresidente dell’AZOOLAT, è stata messa in evidenza l’esistenza di un mercato nero delle quote come facilmente potrebbe ricavarsi dalla frequenza con cui alcuni produttori smettono di conferire apertamente latte ad una latteria dopo il mese di agosto-settembre, quando avrebbero già raggiunto il loro QRI, e riprendono le loro vendite ad aprile dell’anno successivo, senza che risulti la avvenuta “eliminazione” delle proprie vacche nel periodo intermedio.

                 

 

 

13.     Piani di sviluppo e di miglioramento e premi di insediamento per giovani allevatori.

 

13.1   Come già accennato supra, par. 7.3 con l’art.2, comma 2 bis, della legge n.46/95 fu riconosciuta ai produttori, che avevano ottenuto l’approvazione di un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico anteriormente all’entrata in vigore della legge n.468/92, la facoltà di chiedere l’assegnazione di una quota corrispondente all’obiettivo di produzione indicato nel piano stesso.

Detta assegnazione di quote per i piani di sviluppo, comportando la cancellazione delle quote già spettanti al produttore (fatte salve quelle acquistate o affittate)  previa riduzione delle quantità vendute o cedute in affitto dal produttore medesimo a partire dal periodo 1993/94, di fatto è sostitutiva delle quote assegnate secondo il meccanismo della legge n.468/92 (quota A e B riferite, rispettivamente, alle produzioni 1988/89 e 1991/92).

Il presupposto necessario per l’applicazione della norma in argomento era la presenza di un obiettivo di produzione nel piano di sviluppo o di miglioramento.

Con circolare EIMA del 31 marzo 1995 n.4 concernente l’applicazione della legge n.46/95 (Allegato sub 56) fu previsto che “solo nei casi in cui il piano preveda, in luogo di un obiettivo di produzione, un numero di lattifere da impiegare in azienda, l’obiettivo di produzione poteva essere calcolato dall’Amministrazione Regionale utilizzando il dato di produzione nazionale di kg. 4.537 per lattifera...”.

Erano esclusi in via normale, da tale adeguamento di quote, i produttori con piani approvati e realizzati anteriormente al periodo 1988/89, presumendosi raggiunto il livello di produzione corrispondente al piano con le effettive produzioni del periodo 1988/89, fatte salve le cause di forza maggiore come definite dall’art.2, comma 2, del DPR n.569/93.

Le certificazioni (pareri) concernenti le istanze di cui all’art.2 comma 2 bis sono state trasmesse all’EIMA dalle Regioni e dalle Province autonome.

Con sentenza n.534/96 la Corte Costituzionale ha annullato la circolare in questione nella parte in cui la disciplina espressa con l’art.2 comma 2 bis della legge n.46/95, in quanto derogatoria della previsione generale di riduzione delle quote A e B contenute nell’art.2 comma 1 della stessa legge 46/95, non appare suscettibile di interpretazione estensiva o analogica perché né il richiamo ad una produzione presunta riferita al numero delle lattifere, né il richiamo alla forza maggiore come causa di spostamento del termine per la realizzazione del piano, né l’assimilazione, ai piani realizzati, dei piani i cui obiettivi siano ancora in corso di conseguimento trovano alcuna rispondenza nei contenuti espressi dalla norma primaria di riferimento.

L’intervento della Corte Costituzionale ha così impedito l’assegnazione di quote per i piani di sviluppo o di miglioramento secondo le indicazioni contenute nella circolare EIMA n.4/95 dichiarate illegittime. In conseguenza, dalle varie Regioni sono arrivate certificazioni (pareri) per l’assegnazione totale di 473.741.979 kg. di quota latte secondo la legge n.46/95 (in sostituzione di 321.508.308 kg. precedentemente assegnati secondo i canoni della legge n.468/92) che hanno visto la loro pubblicazione, a partire dal bollettino n.2/95-96 del 29 marzo 1996.

E’ in tal modo chiaro come detta assegnazione di quota-latte (nei singoli casi sostitutiva di quella precedentemente assegnata ma, in termini generali supplementare: + 152.237.671 kg. in totale) abbia dovuto trovare inserimento nella disponibilità totale a cui era autorizzato il nostro Paese; la concomitanza con il primo intervento di riduzione delle quote ex legge n.46/95 “per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria” (taglio del 47% della quota B e riduzione della quota A non prodotta per oltre il 50%) se da un lato è giustificata dalla necessità di garantire un’idonea quota latte a chi ha beneficiato di finanziamenti pubblici per gli adeguamenti delle proprie strutture produttive, ha, in ogni caso, sollevato non pochi problemi applicativi e non pochi dubbi sulla coerenza dell’intervento legislativo, peraltro avvenuto in sede di conversione, con numerose modificazioni, del d.l. n.727/94.

Non si possono tacere particolari situazioni nelle quali la Pubblica Amministrazione prima ha concesso una quota e poi l’ha tagliata: emblematica è la dichiarazione rilasciata a questa Commissione dal sig. Castellini, il quale dopo avere aderito ad un piano di miglioramento ed essere stato oggetto di controlli sia da parte della Regione (nella specie la Lombardia) e dell’AIMA, si vedeva comunicare, con lettera raccomandata da parte dell’AIMA, l’assegnazione di quota A pari a Kg. 904.400, successivamente ridotta, per le considerazioni più sopra esposte, a Kg. 304.488, mentre la Regione ha sempre rifiutato di consegnargli l’attestazione dell’avvenuto conseguimento del piano (v. Allegato sub 139).

 

13.2   L’art.7 Regol. 797/85 prevedeva “premi di insediamento” a favore di “giovani agricoltori a titolo principale”. In forza di tale normativa comunitaria, alcuni giovani agricoltori richiesero alle rispettive Regioni il correlativo beneficio finanziario, provando di aver posto in essere quanto occorreva per essere considerati imprenditori agricoli a titolo principale, ottenendo, a seguito di regolare istruttoria regionale, l’ammissione al beneficio.

Poiché nella nozione di impresa agricola di cui all’art.2135 c.c. è compresa anche l’impresa di allevamento di bestiame, coloro che furono ammessi al premio di insediamento ex art.7 Regol. 797/85 avevano la facoltà di dedicarsi anche all’attività di allevamento di vacche lattifere. Cosa che alcuni di essi fecero, perché invogliati dalle Autorità ed “autorizzati” dalle rispettive associazioni di produttori (v. nota UNALAT del 3 novembre 1991: Allegato sub 80). Tuttavia, è da rilevarsi che, ai sensi dell’art.3, 2° comma, del Regol. 797/85 - poi riformulato dal Regol. 3808/89 -, i premi di insediamento e, più in generale, gli aiuti agli imprenditori agricoli a titolo principale non potevano essere concessi, se gli investimenti avessero avuto come conseguenza l’aumento di produzioni che non trovavano sbocchi normali sul mercato (come era il caso del latte). Va aggiunto, tuttavia, che il Regol. 857/84, contestuale al Regol. 856/84 istitutivo del superprelievo, all’art.3 ammetteva la possibilità che, non solo ai produttori che avevano depositato un piano di sviluppo prima del 1° marzo 1984, ma anche ai “giovani agricoltori insediati dopo il 31 dicembre 1980” fosse concesso uno specifico quantitativo di riferimento (cioè, una quota).

Nel momento in cui si transitò dal sistema del “produttore unico” - quando la gestione delle quote era “in mano” all’UNALAT (v. supra, par. 9.1 e 9.3) - al sistema introdotto dalla legge n.468/92 con l’assegnazione, ai soci delle associazioni UNALAT ed AZOOLAT, di una quota A (pari alla “indicazione produttiva” assegnata nel 1991-92 ed uguale al latte commercializzato nel 1988-89) e di una quota B (pari alla maggiore quantità di latte commercializzata nel 1991-92 rispetto a quella del 1988-89), i giovani allevatori “entrati” nel mercato della produzione del latte a seguito dell’ottenimento del premio di insediamento ex Regol. 797/85 e, perciò, certamente dopo la data rilevante (secondo il diritto comunitario dell’OCM del latte per l’Italia) del 1983, si videro assegnate dall’AIMA, provvisoriamente, delle quote nel bollettino per il 1993-94, sulla base delle precedenti campagne di commercializzazione: la natura provvisoria dell’assegnazione era, in alcuni casi, evidenziata da un asterisco (v. supra, par. 12.4).

Nei successivi bollettini, tali giovani allevatori sono stati depennati, con la conseguenza che la loro intera produzione è soggetta al prelievo e, anzi, con l’effetto della totale distruzione economica delle rispettive aziende. Invero, pur trovandosi in una situazione analoga a quella degli allevatori autorizzati dalle Regioni a piani di sviluppo e di miglioramento in tempo successivo a quello ammesso  dall’art.3 Regol. 856/84, essi non furono presi in considerazione dalla norma dell’art.2, comma 2 bis, della legge n.46/95 (che aveva convertito, con modifiche, il d.l. n.727/94) ora abrogata, che, ai fini della formazione dei bollettini, aveva “sanato” il fatto dell’autorizzazione regionale in contrasto sia con la normativa comunitaria che con la nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 25 ottobre 1989 n.200/4884 ai Commissari di Governo (Allegato sub 140).

 

 

14.     Irregolarità nelle richieste di quote

 

14.1   Come indicato nella precedente parte III^ di questa relazione la Commissione ha acquisito una serie di elementi su irregolarità, talune aventi anche rilevanza penale.

Questi fenomeni sono connessi all’illecito comportamento di soggetti agenti nello specifico settore, a tutti i livelli.

Sono state esaminate, fin dove possibile, perché limitati dal riserbo delle indagini preliminari, le risultanze degli archivi pubblici, degli atti e dei dati statistici sui risultati di servizio dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

Dal compendio delle segnalazioni emerge in gran parte la conferma delle dichiarazioni rese nel corso delle audizioni. Sono stati verbalizzati, soprattutto dal 1994 in poi, casi di irregolarità, spesso aventi rilevanza penale e suscettibili di gravi sanzioni.

La casistica riguarda distinte tipologie di soggetti: gli allevatori, gli acquirenti, le APL, le loro associazioni, l’UNALAT, i Servizi regionali, l’AIMA ed i dirigenti pubblici a vari livelli.

a) Una notazione di PG inoltrata all’AG di Roma riguarda anche alcuni Ministri dell’Agricoltura per l’eventuale concorso in relazione alla normativa penale afferente gli artt.640 comma 2° e 323 del c.p., relativamente a fatti comunque antecedenti alla campagna lattiera 1993-94.

La vigenza del segreto istruttorio non ha consentito di acquisire i particolari della vicenda. Il fatto è stato riportato a suo tempo anche dalla stampa (v. Allegato sub 141).

Altre contestazioni provengono dalla Corte dei Conti.

b) Nei confronti dell’AIMA emergono critiche pesanti nelle relazioni delle Commissioni Amministrativa e Parlamentare.

L’On. Robusti, in data 5 marzo 1997, ha autorizzato l’utilizzazione dei dati della Commissione da lui presieduta, consegnando copia del documento presentato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’AIMA in  data 3 maggio 1996.

Funzionari e dirigenti dell’Azienda di Stato sono stati oggetto di reiterati rapporti penali della Guardia di Finanza per specifiche irregolarità nel settore delle quote-latte.

c) Analoga situazione è stata rilevata anche per direttori generali del MAF e MiRAAF e per taluni funzionari appartenenti allo stesso Dicastero.

Per tutti questi casi non è possibile in questa sede precisare di più, stante il segreto istruttorio.

d) Stesse e più gravi risultanze sono emerse nei confronti dei responsabili UNALAT, anche per illegali ed arbitrarie assegnazioni di quote.

e) A livello regionale alla quasi totale inadempienza dei compiti istituzionali del settore si sono aggiunte pesanti e concreti comportamenti antigiuridici.

Alcuni funzionari preposti al controllo, disattendendo quanto disposto dal Regol. n.804/68, integrato successivamente con Regol. nn. 856/84 e 797/85, hanno permesso l’aumento della produzione di latte ad allevatori che avevano presentato piani di miglioramento e sviluppo aziendale. Casi specifici hanno riguardato la Regione Sardegna. Sono stati accertati anche casi di inclusione di progetti mai approvati.

Al riguardo si precisa che già dal 1989, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Affari Regionali - con circolare n.200/4884 (v. Allegato sub 140), richiamava le Regioni al rispetto di quanto dettato dalle normative sopra indicate.

f) Altri pubblici ufficiali preposti al controllo delle aziende per accertare la conformità di assegnazione quote latte e la relativa commercializzazione nelle campagne di riferimento 1988-89 e 1991-92, anziché effettuare concretamente i controlli presso ciascuna azienda, hanno svolto gli accertamenti presso le associazioni di categoria basandosi, quindi, esclusivamente sulla documentazione cartacea presentata dagli allevatori, senza operare un riscontro obiettivo, come stabilito nel contratto stipulato tra l’AIMA e CCIA (Consorzio Controlli Integrati in Agricoltura) (v. Allegati sub 46, 47 e 48) il quale a sua volta si è avvalso, in alcune Regioni, di periti agrari iscritti all’albo.

g) A livello di APL, sono emersi sconcertanti casi di interesse privato da parte di funzionari e dirigenti sociali, i quali hanno dirottato, a proprio favore o di terzi, quote latte sottratte ad ignari e sprovveduti produttori.

Dagli elementi acquisiti emerge la sensazione che taluni errori, quali la distorsione dei codice fiscale e delle partite IVA, dei cognomi, dei codici APL o dei comuni e delle ubicazioni, siano stati provocati ad arte da chi ben conosce il funzionamento dell’apparato, per poi utilizzare le quote derivanti dalle duplicazioni in bollettino, sicuri che non sarebbero stati oggetto di controllo.

Altre responsabilità emergono anche nel trattamento, cessione ed affitto di quote “improduttive”, talvolta “sottratte” ad operatori per mancata produzione ma rivitalizzate con fatture di comodo con la compiacenza degli “acquirenti” e poi rivendute o cedute a terzi a caro prezzo e lucrandone il valore.

In alcuni casi, a livello APL le quote dismesse venivano utilizzate all’insaputa dei titolari e, con contratti fittizi d’affitto, venivano vendute a produttori che, così, potevano aumentare la loro quota produttiva, ottenendo un aumento del QRI. Le somme ricavate venivano intascate direttamente dal funzionario dell’APL e nessun controllo sulla regolarità dei contratti veniva fatto dall’UNALAT che, fino al 1991 aveva il potere di rideterminare e riassegnare le quote.

Altro fenomeno preoccupante è quello della nascita di società di intermediazione che acquisterebbero “in nero” il latte frutto di sovrapproduzione e lo fatturerebbero regolarmente agli acquirenti, omettendo di versare l’IVA, che costituirebbe, quindi, il loro guadagno. Tali società sarebbero operative per pochi mesi e poi si trasformerebbero in altro soggetto giuridico pronto per effettuare analoghe operazioni.

Emblematici casi sono all’esame della Magistratura. Casi specifici riguardano Mantova e Cremona.

Peraltro vi sono stati casi in cui le APL si sono diligentemente attivate per stroncare queste fraudolente realizzazioni.

Al riguardo deve segnalarsi un caso indicato in audizione dall’On. Robusti e che ha trovato conferma nella documentazione dell’Associazione Provinciale Produttori Latte di Cremona (Allegato sub 54).

Si tratta di situazione predisposta con gravi comportamenti truffaldini nei quali si accomuna la sussistenza di fatti rilevanti penalmente a connesse violazioni tributarie poste in essere in concorso con un noto “acquirente”.

La documentazione accusatoria è stata inviata anche al MiRAAF. L’APL interessata ne faceva comunque pervenire copia alla Commissione.

h) Diversissime predisposizioni truffaldine sono state poste in essere in accordo tra i produttori, le APL e gli acquirenti.

Soprattutto dopo l’istituzione del divieto di compensazione a livello di APL sono state poste in essere catene di “pareggiamento” delle quantità produttive tra coloro che hanno sforato la quota e quelli con produzione inferiore.

Ad evitare gli sfondamenti hanno pensato gli acquirenti che hanno registrato le fatture degli eccedentari fino al limite di quota e coperto il resto della loro produzione con fatture false a nome dei “deficitari”.

Quando tutto ciò non è risultato possibile si è ricorso alla mercificazione della quota con la costituzione di società atipiche, contratti speciali, soccide e così via.

Tutto ciò spiega anche perché poi le fatture riportate negli L/1 riguardano taluni casi in cui la media produttiva per capo supera cartolarmente i limiti della decenza.

Da parte degli acquirenti sono state “onorate” quote con fatture di operatori che risultano avere prodotto latte solo per pochi mesi nella campagna agraria.

Tutto ciò non è legale ma è regolarmente accolto e normale per la predisposizione dei bollettini AIMA la cui redazione non prevede controlli ad hoc.

i) Alcuni fenomeni distorsivi sono imputabili ai soli allevatori.

Taluni di essi pur avendo aderito ad un piano di abbandono definitivo della produzione, hanno attestato, mediante false dichiarazioni e la complicità delle associazioni di categoria e di organi preposti al controllo, una falsa produzione e commercializzazione di latte, acclarata a mezzo di fatturazioni fittizie. Taluni, ancora, con la complicità delle associazioni e degli acquirenti, hanno aumentato figurativamente la reale produzione di latte, al fine di mantenere il diritto alla titolarità della quota (v. Allegato sub 142).

Alcuni allevatori, infine, hanno dichiarato l’abbandono della produzione, con relativo abbattimento di bovini da latte, ma dall’esito delle indagini svolte è stato acclarato che gli stessi, con la compiacenza di veterinari, che avevano rilasciato falsi certificati di abbattimento, e di funzionari dell’Ispettorato Provinciale Agrario, non solo hanno beneficiato del relativo aiuto comunitario, ma hanno mantenuto in vita gli animali continuando a produrre latte.

Al limite della soglia di credibilità ed emblematico è il caso, accertato in sede di indagini, di sedicenti allevatori i quali, pur non avendo mai posseduto bovini da latte, erano iscritti a due differenti associazioni di categoria (APROZOL e AZOOLAT) riuscendo ad indurre in errore l’AIMA che assegnava due quote latte per complessivi kg. 140.247 (v. Allegato sub 143).

Nel corso degli accertamenti svolti dagli organi inquirenti, sono stati anche rilevati casi di contratti di vendite e di affitti di quote, palesemente irregolari (atti stipulati nella stessa data e nel medesimo luogo, ma riferiti a campagne di produzione differenti).

l) Un discorso a parte merita la posizione degli “acquirenti”.

Il sistema impone loro di “censire” il latte proveniente dai produttori e di comunicarne le risultanze con gli L/1.

Tale attività però non è soggetta a controllo ed essi, volendo, possono liberamente indicare ciò che è per loro più conveniente.

Soprattutto gli acquirenti, e tantomeno i destinatari di tali L/1, risultano avere svolto controlli, né occorre conferma dei dati da parte dei produttori interessati.

Molti dei produttori loro clienti sono tra l’altro allevatori esenti dall’obbligo di fatturazione e quindi per il latte acquistato vanno emesse le “autofatture”.

Gli “acquirenti” hanno cioè una funzione specifica anche agli effetti fiscali. Ci si chiede quindi come mai negli L/1 ancora oggi sono riportati codici fiscali e partite IVA falsi che poi confluiscono, in maniera puntuale ed erronea, nei “bollettini”.

Non si può quindi escludere che tale comportamento sia scientemente voluto.

Non risulta poi effettuato alcuno esame critico delle fatture ricevute e sulla loro aderenza alla produzione effettiva dell’emittente.

Sono stati individuati casi in cui l’acquirente ha costruito fatture false a nome del produttore ed a sua insaputa.

In un caso è risultata tale la sfrontatezza della predisposizione che le fatture per onorare la quota riguardano conferimenti di latte in soli due mesi contigui dell’anno. Per il restante periodo le mucche sono rimaste “inattive”.

Agli effetti fiscali inoltre le fatture del latte sono, per l’acquirente, preziose in quanto costituiscono parte rilevante dei costi aziendali.

Naturalmente più elevati sono i costi, a parità di ricavi, più il reddito da tassare si riduce. Vi è, quindi, tutto l’interesse di “caricare” quanti più costi possibile.

Questo problema però trova una difficoltà nei controlli degli uffici finanziari e, soprattutto, della Guardia di Finanza in sede di verifica fiscale.

E’ ben vero, infatti, che maggiori sono i costi, minore è il reddito aziendale (a parità di ricavi). Però, se si è avuto a disposizione tanto latte, deve automaticamente rinvenirsi l’equivalente nei derivati o lavorati in magazzino e/o nelle fatture di vendita. Le differenze  sono verbalizzate. Se si assumono fatture false all’acquisto del latte ed il latte non c’è, la differenza è individuabile.

A tale scompenso molti pongono rimedio con latte acquistato senza fattura, naturalmente a prezzi più bassi e senza l’IVA o con altri sistemi per far quadrare il bilancio economico produttivo.

Occorre cioè “immagazzinare” prodotti, materie prime, semilavorati o derivati finiti che siano.

Ciò spiega il notevole quantitativo di latte in polvere ed altri derivati importati di contrabbando e sequestrati dalla Guardia di Finanza o comunque ritrasformati e consumati in frode. A questi debbono aggiungersi tutti i numerosi casi di sequestro operati dai Carabinieri dei NAS che, nell’arco degli ultimi 8 mesi, hanno sequestrato oltre 300 quintali  di latte in polvere (anche per uso zootecnico) irregolarmente detenuto o impiegato per la trasformazione casearia (v. Allegato sub 144).

Tale fatturazione fasulla è da mettere in relazione anche con il sequestro, operato ogni anno, di centinaia di tonnellate di burro grezzo, della crema di latte, pasta filata ed altri derivati del latte, spesso ancora da rilavorare, introdotti clandestinamente dall’estero, talvolta provenienti dai paesi dell’Est europeo ma in gran parte originari dei paesi U.E ad alta produzione lattiera (v. Allegato sub 145).

Il latte in polvere, il burro e gli altri derivati della specie vanno al consumo nel mercato nazionale. Regolarmente fatturati raggiungono i supermercati e le altre aziende di vendita, spesso e, comprensibilmente a questo punto, a prezzi di assoluta concorrenza.

Al fine di arginare il fenomeno in narrazione, nel marzo 1995 è stata presentata una proposta di legge riguardante le norme per l’uso dei traccianti di evidenziazione nella produzione e commercializzazione di latte in polvere ad uso zootecnico anche al fine di individuare, con una semplice analisi, l’utilizzo dello stesso nei prodotti caseari.

La normativa comunitaria vieta però l’inserimento di qualsiasi sostanza estranea nel latte in polvere, per cui la proposta in argomento non ha avuto seguito.

Peraltro, il diniego della normativa comunitaria all’utilizzo di tali traccianti è anche, verosimilmente, dovuto alla forza politica della Germania, tra i maggiori produttori, forte anche dell’appoggio del Giappone, con il quale ha stretti legami commerciali di quel prodotto, che non ha interesse ad introdurre elementi aggiuntivi che potrebbero creare aumenti nel costo di produzione.

Il dato sulle importazioni italiane di latte si è rilevato talmente esiguo da potersi considerare inattendibile. Trattandosi di merce da gestire in forma occulta, con ogni probabilità ha trovato copertura doganale con codici di altri prodotti (farine, mangimi zootecnici, ecc.).

E’ inoltre opportuno evidenziare che il latte in polvere beneficia dell’aiuto comunitario previsto dal Regol. 1725/79, per cui il prezzo vantaggioso costituisce un elemento in più per indurre gli operatori spregiudicati ad attuare operazioni irregolari.

E’ da segnalare, infine, che sono stati scoperti anche casi di finte produzioni di latticello liquido per l’alimentazione del bestiame mai ottenuto e per i quali sono stati elargiti dall’AIMA ingentissimi fondi a titolo di aiuto comunitario mentre la materia prima di base ha raggiunto di frodo il mercato degli “acquirenti”.

Tutte queste importazioni clandestine, se si considerano anche i casi non individuati, lasciano presupporre un massiccio assorbimento di quote latte e pongono in discussione la quantificazione reale delle produzioni del latte.

 

 

 

15.     Considerazioni conclusive

 

15.1   Sulla base dei dati acquisiti da questa Commissione, dei documenti consultati e del materiale testimoniale raccolto (in gran parte suffragato da supporti documentali) si possono formulare le seguenti conclusioni in ordine ai quesiti posti dal d.l. n.11/97 convertito nella legge n.81/97:

a)    responsabilità nella gestione del sistema delle quote latte

Al riguardo è emerso quanto segue:

-        ritardi nell’adeguamento della normativa italiana a quella comunitaria, peraltro sovente con provvedimenti legislativi in contrasto con quest’ultima e a volte con provvedimenti non perfettamente coerenti tra loro;

-        ulteriore responsabilità dello Stato, come membro della Comunità, per non aver predisposto un’Autorità statale di effettivo  controllo, come richiesto dalla Unione europea e come “accettato” dall’Italia nell’accordo formale dell’11 aprile 1994;

-        gravi, evidenti ed inconfutabili responsabilità dell’UNALAT e delle “retrostanti” Associazioni professionali di categoria maggiormente rappresentative (Coldiretti, Cia, Confagricoltura), che hanno, fino al 1992 e cioè per circa cinque anni, concretamente gestito l’intero sistema in maniera inadeguata, con comportamenti, per taluni aspetti, oggi al vaglio della magistratura penale;

-        responsabilità dell’Amministrazione ministeriale sicuramente sino alla campagna lattiera 1993-94, sia per culpa in eligendo e culpa in vigilando, sia per specifici comportamenti sottoposti a censura dalla magistratura contabile dello Stato, sia per l’irrigidimento in una insostenibile richiesta, alla Comunità, di aumento del QGG italiano per una sicura non-autosufficienza italiana per quanto riguarda la produzione lattiera (ma v. Allegato sub 146 un’analoga questione sollevata dagli europarlamentari inglesi il 9 giugno 1993 e la risposta negativa del Commissario Steichen del 29 settembre 1993) e per un’asserita sottovalutazione dei dati di produzione dell’anno 1983 di riferimento, cui corrispondevano, sul piano interno, da un lato la mancanza di dati certi della produzione di latte nazionale e, dall’altro, una sorta di induzione, talvolta esplicita, degli allevatori italiani alla massima commercializzazione produttiva possibile di latte quasi a ragione e a comprova della insistente richiesta di aumento, senza la dovuta presa in considerazione degli effetti che una dissennata produzione avrebbe avuto sulla responsabilità del pagamento del prelievo e sulla conseguente perdita, per l’intera agricoltura italiana e non dei soli allevatori, dei fondi del FEOGA, stante la giurisprudenza della Corte di giustizia in ordine alla legittimità dell’operato della Commissione del trattenimento, a titolo compensativo del debito, delle somme dovuteci per aiuti agricoli;

-        responsabilità della quasi totalità delle Regioni che sono rimaste pressoché inerti rispetto alle attività di controllo loro demandate dalla legge n.468/92, per di più con la parcellizzazione dei centri chiamati, sulla carta, al controllo che ha reso difficili, per non dire impossibili, indirizzi unitari o che, come nel caso dell’ammissione di allevatori ai piani di sviluppo o di giovani allevatori ai premi di insediamento, ha comportato l’incomprensione di distinti, ma connessi, problemi;

-        responsabilità dell’AIMA (con alcuni dirigenti e funzionari oggi interessati da indagini e provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale) che, chiamata nel 1993 alla “gestione” delle quote e dopo il tentativo disastroso di avvalersi dei dati UNALAT, si è affidata, per l’informatizzazione dei dati e per i controlli di competenza nel settore, ad organismi privati (CCIA e CSIA, la cui partecipazione azionaria, in qualche modo facente capo alle principali associazioni agricole e/o all’UNALAT, ovverosia agli stessi controllati, veniva contestata dalla UE) e che, con ingente spesa a carico dello Stato, ha finora pubblicato sempre in ritardo, rispetto alle campagne lattiero-casearie, i bollettini contenenti le assegnazioni di quote individuali, e che non è riuscita finora a “fotografare” la realtà produttiva italiana, dato che i bollettini continuano ad essere pieni di errori (tanto da essere più volte “annullati” dai vari TAR), talché l’intero settore si presenta, ancora oggi, avvolto da gravi incertezze;

-        responsabilità, a partire dalla campagna lattiera-casearia 1993-94, da parte di innumerevoli acquirenti, i quali nella redazione dei modelli L/1 hanno trasmesso dati errati, in diversi casi volutamente non rispondenti al latte effettivamente conferito né ai reali conferitori, assumendo ed utilizzando fatture per operazioni inesistenti, nonché indicando dati fiscali erronei (partite IVA, codici fiscali) al fine di impedire l’individuazione esatta dei produttori e di procurarsi disponibilità di quote (e di costi) per occultare traffici illeciti taluni dei quali già segnalati all’AG;

-        responsabilità da parte di taluni soggetti che, pur titolari di quota, in realtà non hanno prodotto latte ma hanno coperto la quota loro assegnata emettendo o tollerando che a loro nome si emettessero fatture per produzioni di latte mai realizzate.

 

b)    Situazione attuale

L’incrocio dei dati acquisiti da questa Commissione, in modulo informatizzato pur se effettuato necessariamente a campione, ha permesso di rilevare alcune anomalie che incidono fortemente sia sul sistema delle quote, sia sull’intero comparto lattiero-caseario.

Si può, all’esito dell’esame dei dati, affermare con ragionevole certezza che:

-        l’Italia è interessata da circolazione di latte e di prodotti derivati di dubbia provenienza, di latte non fatturato e che pertanto sfugge ad ogni controllo che sia meramente formale o cartaceo;

-        non tutto il latte, che in apparenza o formalmente è vaccino, è in realtà veramente tale, provenendo da manipolazione e/o alterazioni di latte in polvere;

-        vi è una non precisata quantità di latte di provenienza estera che, in assenza di controllo,  è utilizzata come latte prodotto in Italia, determinando così un aggravamento del nostro sforamento del QGG;

-        vi sono fenomeni irregolari, come nel caso di aziende del nord che ad aziende del sud risultano associate con varie forme contrattuali elusive della normativa comunitaria e nazionale e che, per la loro natura privatistica diversa dalle ipotesi contrattuali considerate dal diritto comunitario, sono sottratte anche ai previsti controlli cartacei da parte delle Regioni e/o dell’AIMA; e come nel caso di produttori che, pur in assenza di quote, producono latte compensando la loro produzione con quote assegnate a chi in realtà non produce latte, e tutto ciò quando, invece, la corretta gestione del sistema imporrebbe di assegnare le quote solo a chi realmente produce.

 

Tutto ciò premesso, questa Commissione ritiene di poter presentare le seguenti proposte.


PARTE IV^: LE PROPOSTE

 

 

 

16.     Iniziative sul piano interno

 

16.1   Punto di partenza è l’azzeramento di tutte le disposizioni legislative e regolamentari in contrasto con la normativa comunitaria.

Invero, nella consapevolezza che il sistema nazionale difforme dal diritto dell’UE può dar luogo a procedimenti di infrazione davanti alla Corte di giustizia ed alla disapplicazione delle norme interne davanti ai giudici nazionali, non è corretto insistere a “tenere in (apparente) vita” disposizioni nazionali difformi o a produrre - il Parlamento, le Assemblee regionali, la Pubblica Amministrazione - regole contrastanti con i regolamenti comunitari sull’OCM del latte.

 

16.2   Nella ricostruzione della vicenda delle quote latte e nella valutazione di essa, questa Commissione ha avuto solo due linee guida: il diritto comunitario, cui in modo assolutamente coerente la nostra normativa di dettaglio deve agganciarsi, e la necessità di tutela dei veri ed onesti produttori di latte.

Invero, il ritardo con cui si è data mano, in Italia, all’attuazione della normativa dell’OCM del latte, in aggiunta alle obiettive difficoltà del funzionamento del regime del prelievo supplementare in cui quasi tutti gli Stati membri si sono imbattuti (v. Relazione speciale del FEAOG, DG VI-G3, per il 1984-90: Allegato sub 147), ha dato luogo ad una prassi, prima, e ad un sistema normativo, poi, che, per moltissimi aspetti, si sono allontanati dalle suddette linee guida.

Per riportare il sistema italiano entro i predetti confini, è necessario tenere conto:
a) della produzione lattiera del 1983 (l’unica data ammissibile della “fotografia” della produzione lattiera del nostro Paese ai sensi del Regol. 856/84); b) della effettiva produzione lattiera italiana dell’anno 1996.

Come già si è detto supra ai par. 6.2 e 9.2, il censimento AIA del 1983-1985 appare, a questa Commissione, attendibile. Già si è detto che non si sono comprese le motivazioni per le quali, forse senza nemmeno “guardare” i tabulati dall’AIA consegnati al MAF nel 1987 (a questa Commissione, invero, le sei voluminose tabelle AIA esistenti presso il MAF sono sembrate, a dir così, intonse), il MAF, dopo aver pagato 6 miliardi all’AIA, abbia affidato nel 1988 un nuovo censimento all’UNALAT in cambio di quasi 10 miliardi; e già si è chiarito il come ed il perché le cause di inattendibilità  ripetutamente asserite dal MAF, dall’UNALAT e dalle Associazioni professionali di categoria - e cioè che il censimento AIA non avrebbe compreso le piccole imprese zootecniche con 1-3 vacche lattifere, quando i tabulati dimostrano ictu oculi, invece, il contrario; e l’AIA ne ha dato conferma esplicita e scritta prima al MAF nel lontano 1987 e poi a questa Commissione nel 1997 - sono state smentite dalla lettura dei dischetti dall’AIA consegnati, tanto da poter concludere che l’asserito non-censimento delle piccole imprese zootecniche italiane del 1983 non risponde al vero. Il CSIA, su richiesta da questa Commissione avanzata all’ing. Monaldi, ha confermato, sul campione del censimento AIA per la provincia di Parma, la normale lettura dei supporti magnetici forniti dall’AIA.

Ed allora, la fondamentale conseguenza del giudizio di attendibilità del censimento AIA è la disponibilità della “fotografia” della reale produzione lattiera italiana del 1983, ovverosia dell’anno che, per l’Italia, è l’anno di riferimento ai sensi del Regol. 856/84.

Si ricava, ancora, una seconda conseguenza e cioè che, secondo i dati AIA, la produzione lattiera dell’anno 1983 è stata realmente di 8.774.738,6 tonnellate, contro le 8.798.000 tonnellate di latte attribuiteci dalla Comunità per lo stesso anno, 1) tanto da potersi dubitare della verità dei dati stimati che il nostro Paese ha “offerto” alla Comunità per le campagne lattiere 1984-85, 1985-86 e 1987-88 in base ai quali la Commissione, con decisioni 15 novembre 1989 e 19 aprile 1990, ci ha attribuito un prelievo di circa 77,5 miliardi già dalla UE recuperati con il sistema del saldo contabile del FEOGA, e 2) tanto da poterci domandare se l’istituto processuale della revocazione non sia proprio anche del diritto comunitario, ancorché qui occorra riconoscere la nostra responsabilità nella prospettazione di dati errati.

La terza conseguenza è che vi sono dei produttori, quelli del 1983, cui veramente può attribuirsi la qualifica di “produttori storici”, la cui produzione lattiera “fotografata” al momento del censimento è il dato certo sul quale la Comunità ci ha concesso, nel 1983, il nostro QGG: cosicché la produzione di tali produttori storici dà luogo al loro QRI, soggetto soltanto:

a) agli allineamenti disposti in sede comunitaria;

b) alle vendite dell’azienda;

c) all’abbandono definitivo e totale della produzione,

senza possibilità che lo Stato oggi lo intacchi in alcun modo, perché il produttore storico del 1983 ha il dovere di non commercializzare latte oltre il proprio QRI pena il prelievo, ma non ha il dovere di produrre tutto il suo QRI. Questa Commissione non può, tuttavia, nascondere che siffatta ultima considerazione possa dar luogo a situazioni di vecchi produttori che, avendo avuto un alto QRI per una effettivamente alta produzione nel 1983, abbiano “scoperto” successivamente quanto sia più facile “mungere” la quota anziché le vacche, a seguito dell’introduzione del sistema di circolazione delle quote soprattutto per l’inadeguato controllo che ha permesso il proliferare di contratti atipici ed in frode alla legge; ma il diritto comunitario (art.5, 2° cpv., Regol. 3950/92) pretende che siano considerati cessati (con definitivo recupero della quota alla riserva nazionale) solo quegli allevatori che non abbiano commercializzato latte in un periodo di dodici mesi (elevato dall’Italia a mesi ventiquattro, ex art.2, 2° comma, DPR n.569/93 sia pure per specifiche situazioni) e non abbiano ripristinato la produzione entro il termine stabilito dallo Stato membro (che l’Italia ha individuato nel “secondo periodo successivo alla mancata commercializzazione”, ex art.2, 3° comma, DPR n.569/93).

La quarta conseguenza si basa sulla considerazione di fatto, per la quale dalle 222.518 aziende zootecniche esistenti nel 1983 si è passati alle circa 109.000 del 1996 e ciò per un evidente “abbandono” definitivo della produzione lattiera da parte di un gran numero di allevatori del 1983. Ora, per il diritto comunitario, i QRI “liberati” a seguito dell’abbandono vanno a rifluire nella riserva nazionale, rendendo possibile all’Italia di riattribuirli a favore di nuovi allevatori o di vecchi allevatori che, ex art.41 Cost. ed in base al fondamentale principio comunitario della libertà di concorrenza che implica anche libertà di ingresso nel mercato, intendano svolgere e/o “aumentare” la propria attività economica imprenditoriale di produzione di latte.

Come si è detto supra al par.9, la gestione delle quote è avvenuta all’insegna della più grave anarchia, a seguito di sostanziale attribuzione di quote: a) per “disposizioni” dell’UNALAT (v. la nota 3 novembre 1991 del dott. Venino come Allegato sub 80);
b) per approvazioni regionali di piani di sviluppo e miglioramento e per attribuzioni regionali di premi a nuovi allevatori anche in contrasto con il diritto comunitario; c) per incremento di fatto della produzione ad opera di allevatori ritenutisi liberi dalle quote per le “assicurazioni” ricevute (le voci su frasi del genere “producete pure; non vi preoccupate delle quote” sono state ricorrenti). Ma il dato di fatto è che, oggi, vi sono allevatori che, non esistendo nel 1983 o esistendo nel censimento AIA con una produzione inferiore a quella attuale, producono (o, melius, risultano produrre) latte.

È a questo punto che viene in evidenza l’altro punto-fermo tenuto presente da questa Commissione e cioè, come si è detto, quello della tutela dei veri allevatori di vacche lattifere.

Non si può, allora, che prendere atto, in prima battuta, della situazione attuale così come risulta da tutti i bollettini che l’AIMA ha pubblicato in questi ultimi cinque anni per le ultime campagne lattiere (1993-1997), prendendo in considerazione tutti i nominativi esistenti con il massimo di quota ad essi attribuito, a) previa riassegnazione, agli “affittanti”, della quota da essi “affittata”; b) previa esclusione (con successiva notifica della ragione dell’esclusione) tanto di coloro che risultano, senza contestazione alcuna, inesistenti nei bollettini delle due ultime campagne lattiere, presumendosi l’abbandono per oltre ventiquattro mesi dell’attività di allevamento, quanto di coloro (e dei loro rispettivi aventi causa) che dovessero risultare iscritti in uno dei predetti bollettini, mentre risultano avere (prima o dopo l’iscrizione nel bollettino, non importa, al fine della suddetta ricostruzione) ottenuto il premio di abbattimento delle proprie vacche lattifere; e c) previa riduzione della quota di coloro il cui ammontare di QRI attribuito è stato riscritto in riduzione per la preesistenza di meri errori contabili e senza contestazione di alcun genere.

In altre parole, non può non prendersi atto della realtà odierna che l’anarchia della gestione delle quote e l’omissione dei controlli hanno determinato, legittimandola a posteriori ma solo a favore, come si dirà, dei veri allevatori di vacche e per la vera produzione di latte italiano, “sfruttando” quella possibilità giuridica che il diritto comunitario riconosce ad ogni Stato membro di riassegnare i quantitativi rifluiti, per qualsiasi motivo, nella riserva nazionale.

Si è detto, però, che tutto questo avviene in prima battuta. Ed allora il primo problema è quello di rendersi conto della fattibilità della ricostruzione. Su richiesta di questa Commissione, l’ing. Monaldi del CSIA ha predisposto, sulla base del dischetto AIA per la provincia di Parma (il primo acquisito da questa Commissione per rendersi conto dell’attendibilità del censimento AIA), la “simulazione” della ricostruzione ipotizzata da questa Commissione, al fine di accertare la fattibilità dell’aggancio degli allevatori presenti in uno dei vari bollettini pubblicati (il 4° del 1993-94; i bollettini del 1994-95 e quelli del 1995-96, 1996-97 e 1997-98) agli allevatori censiti dall’AIA nel 1983, dovendosi tener conto anche delle varie modifiche di titolarità per successione ereditaria e/o per vendita dell’azienda.

La risposta del CSIA è stata affermativa, posto che sono state incrociate le 6.429 posizioni del 1983 e ne sono state agganciate 3.503, in una situazione nazionale che ha visto passare, come si è detto, dalle circa 222.000 aziende zootecniche del 1983 alle circa 109.000 aziende zootecniche attuali (v. Allegato sub 148).

Il giudizio di fattibilità induce la Commissione a prospettare il seguente programma.

Una volta ricostruite la “lista” del 1983 e la “lista” attuale, il riconoscimento della massima quota attribuita, in uno qualsiasi degli ultimi bollettini, ai vari allevatori porta ad un QGG che, sicuramente, sarà superiore al QGG attribuito all’Italia dalla Comunità. Occorrerà, allora, procedere ad un allineamento generale di tutti i QRI (ad eccezione delle quantità 1983 dei produttori storici del 1983 e dei loro aventi causa) in modo che si rientri nel limite comunitario. Le suddette operazioni dovrebbero essere ultimate nel giro di trenta giorni, se sono bastate poche ore per la simulazione di fattibilità sulla base del dischetto del censimento 1983 degli allevatori della provincia di Parma. Della misura di tale allineamento si darà notizia informale agli allevatori italiani, perché inizino a rendersi conto della situazione che dovrebbe valere nella campagna lattiera 1997-98 appena iniziata.

A questo punto, però, e con successive operazioni di riallineamento dirette a ridurne la misura, si dovrà procedere ad espungere i falsi allevatori, ovverosia quelli che non producono effettivamente latte e che quindi non avrebbero avuto diritto ad attingere alla riserva nazionale. Due sono i capisaldi di questa operazione: i modelli L/1 provenienti dagli acquirenti così come questa Commissione propone che siano modificati (v. infra, par. 16.8); ed i modelli 2/33 delle ASL, così come questa Commissione propone che, su urgente disposizione del Ministero della Sanità, siano asseverati dai veterinari competenti (v. infra, par. 16.9), tenendosi conto della media regionale pro capite di vacca lattifera che comunque non potrà essere superiore alla media ponderata fra quella regionale e quella della rispettiva area geografica Nord, Centro, Mezzogiorno (per le assurde differenze tra Regione e Regione, ritenute inattendibili dalla stessa UNALAT cui sono associate le APL a dir così “bugiarde”, e per le medie regionali e medie nazionali Nord, Centro e Mezzogiorno v. il volume Annuario del latte 1996, Allegato sub 24 pagg. 99-100).

In sostanza, dagli incroci dei dati dei modelli L/1 ricompilati e dei modelli 2/33 (che questa Commissione possiede su supporto informatico per gran parte delle ASL: v. Allegato sub 159) si ricaveranno i nominativi di coloro che, non essendo produttori storici del 1983, hanno una quota superiore alla produzione di latte ottenibile dal numero delle vacche realmente possedute.

A questo punto, dopo avere evidenziato che siffatti titolari non-storici di quota con un numero di vacche lattifere insufficienti a produrre il latte corrispondente al QRI risultante dalla nuova “lista”, non sono stati né “vittime” di operazioni di abbattimento di capi per brucellosi, afta epizootica o tbc, né tantomeno “affittanti” di parte della quota a mezzo di contratti legittimi e non presuntivamente nulli perché in frode alla legge, si procederà a ridurre a tali allevatori il QRI e la parte recuperata sarà riassegnata a favore di tutti coloro che hanno subito il primo allineamento. Né si potrà, da costoro, invocare l’attribuzione di quote A o B ai sensi della legge n.468/92, perché detta legge prende in considerazione, come anno di riferimento, anni diversi dall’anno di riferimento riconosciuto, per l’Italia, dalla normativa comunitaria.

Quanto alle vendite dirette si procederà nello stesso modo, con riferimento ai quantitativi risultanti dai bollettini.

Questa Commissione ritiene che occorreranno, per i vari riallineamenti, due-tre mesi, in modo che il definitivo Bollettino possa essere pubblicato entro il mese di luglio 1997 e ciò per la campagna lattiera 1997-98.

Tutto ciò premesso, questa Commissione sente, allora, il dovere di proporre al Governo i seguenti interventi:

1) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, la formazione della “lista” degli allevatori (o dei loro aventi causa) censiti dall’AIA nel 1983 (utilizzando i supporti magnetici che fanno parte degli allegati a questa relazione come Allegato sub 160), attribuendo ad essi, in modo non riducibile (salva l’ipotesi di abbattimento delle vacche in cambio del premio), la quota corrispondente alla rispettiva produzione lattiera del 1983;

2) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, la formazione della “lista” di tutti i nominativi inseriti in uno dei bollettini di questi ultimi cinque anni, attribuendo a ciascuno il massimo della quota riconosciutagli in uno qualsiasi dei detti bollettini, dopo aver aggiunto l’eventuale quantitativo legittimamente dato in “affitto”, e secondo la metodologia più sopra indicata;

3) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, l’esclusione, dalla seconda “lista”, di coloro che risultano avere ottenuto premi per l’abbattimento di vacche lattifere e di coloro che non compaiono, senza contestazione alcuna, nei bollettini per due campagne lattiere consecutive;

4) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, la ricostruzione dell’aggancio degli allevatori presenti nella seconda “lista” con gli allevatori storici (o dei loro aventi causa) presenti nella prima “lista” e, quindi, determinare per ciascuna posizione agganciata la quota storica del 1983 e l’eventuale quota ulteriore per aumento della produzione,

5) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, l’allineamento, entro il QGG, di tutte le quote latte così riconosciute, operando solo sulle quote degli allevatori della seconda “lista” e sull’esubero della quota riconosciuto agli allevatori della prima “lista” oltre la quota storica;

6) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, la pubblicazione, sui giornali maggiormente diffusi delle varie Regioni e Province Autonome, delle due “liste” e del probabile allineamento, onde gli interessati possano regolare la rispettiva produzione e/o presentare entro un breve termine le loro osservazioni in ordine alla esclusione dalla prima “lista” o dalla seconda;

7) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA (e ciò immediatamente, per essere la data del 15 maggio p.v. prevista dall’art.3, par. 2, del Regol. 536/93 come quella entro la quale gli acquirenti devono trasmettere, pena sanzione pecuniaria, i modelli L/1 alle Regioni), la spedizione a tutti gli acquirenti (circa 2.500) dei nuovi modelli L/1 che questa Commissione ha predisposto e di cui si dirà infra par. 16.8, stabilendo che essi debbano essere:

a)    compilati sia per la campagna lattiera 1996-97 (e ciò al fine della predisposizione del Bollettino finale per la campagna 1997-98) che per la campagna lattiera 1995-96 (e ciò al fine del procedimento di compensazione di cui si dirà infra);

b)    e spediti, oltre che alle Regioni - ai sensi dell’art.5, 1° comma, legge n.468/92 -, anche direttamente all’AIMA, con avviso che l’omesso invio provocherà, con responsabilità civile a carico dell’acquirente nei confronti dei conferenti, la esclusione del produttore dalla seconda “lista” e, quindi, la perdita del riconoscimento della quota “assegnatagli” in uno qualsiasi dei bollettini di questi ultimi cinque anni;

c)    segnalando, attraverso i massmedia, ai produttori di latte la necessità che si accertino personalmente che i rispettivi acquirenti inviino all’AIMA, compilati e  firmati, i nuovi modelli L/1, dipendendo dal regolare invio la loro inclusione nel nuovo bollettino per la campagna 1997-98;

8) disporre, tramite il Ministero della Sanità, l’invio immediato a tutte le ASL del nuovo modello 2/33 di cui si dirà infra al par. 16.9, chiedendo ai veterinari competenti di asseverare, nella consapevolezza delle responsabilità penali (verso lo Stato) e civili (verso gli allevatori), i dati già forniti, per gli anni 1994, 1995 e 1996, dalle ASL a questa Commissione e che costituiscono l’Allegato sub 159, con l’obbligo della restituzione entro 15 giorni all’AIMA pena la responsabilità per omissione di atti d’ufficio;

9) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, l’incrocio dei dati di cui ai modelli L/1 (per la campagna lattiera 1996-97) e dei dati di cui ai modelli 2/33 (per gli anni dal 1994 fino al 1996), al fine di individuare i capi posseduti da ciascun allevatore e la potenzialità produttiva di essi, con riguardo alla media regionale di latte per vacca e, comunque, alla media ponderata tra quella regionale e quella della rispettiva area geografica Nord, Centro, Mezzogiorno, procedendo quindi alla riduzione dei quantitativi di riferimento inconciliabili con siffatta produttività e così determinando la nuova misura di allineamento da pubblicarsi sui più diffusi giornali delle varie Regioni, onde gli interessati possano comunicare, in un tempo molto breve, le loro osservazioni;

10) disporre, tramite l’AIMA e per essa il CSIA, la eventuale pubblicazione di successivi allineamenti fino alla pubblicazione definitiva, nel (nuovo) Bollettino della campagna 1997-98, delle quote definitive entro il QGG assegnato all’Italia;

11) prevedere la possibilità dell’intervento delle Forze di Polizia, del Corpo Forestale e del Servizio Repressione Frodi presso il MiRAAF per l’acquisizione dei dati che eventualmente non pervenissero dalle ASL.

Questa Commissione si rende conto dello sforzo imponente di uomini e di mezzi che tale ricostruzione richiede; ma è convinta che solo un’immediata e contestuale operazione del genere di quella divisata potrà dare la maggiore probabilità di certezza di risultato.

 

16.3   Con riguardo alle fatte considerazioni in tema di controllo (v. supra, par. 8.2 e par. 10), va detto che, pure in un percorso istituzionale sempre più accentuato verso la regionalizzazione di funzioni già statali, occorrerà tuttavia garantire il ruolo di coordinamento di un soggetto pubblico centrale (oggi, ancora, il MiRAAF, quale soggetto politico e di indirizzo, e l’AIMA, quale organismo centrale esecutivo), nell’applicazione della normativa comunitaria, onde sia fatto salvo il principio della unicità del referente nazionale come responsabile del funzionamento delle quote-latte nei confronti della Comunità, così come, d’altronde, è preteso dalla Commissione UE.

In particolare, se alle Regioni è attribuito il potere di controllo - cioè il potere di verificare costantemente che: 1) ciascun allevatore a) produca latte, ovvero abbia vacche nella sua stalla; b) goda di una quota nella quantità ammissibile dalla potenziale produttività delle sue vacche secondo una razionale media regionale; c) commercializzi il suo latte a ben individuati ed autorizzati acquirenti, sì da potere, poi, sommare le varie partite eventualmente commercializzate presso distinte latterie; e che: 2) ciascun acquirente, regolarmente autorizzato, sia controllato nelle operazioni di raccolta, nella tenuta della contabilità di magazzino e nei conteggi, e tutto ciò ai sensi dell’art.6 del Regol. (Commissione) 536/93 del 9 marzo 1993 -, occorre lasciare allo Stato, cioè a colui al quale, in via globale, è attribuito, dalla UE, il quantitativo nazionale, il potere di “assegnare” i QRI (artt.3 e 4 Regol.3950/92) e di “revocarli” (art.5, 1° par., 2° inciso, Regol. 3950/92) a seguito della comunicazione, da parte della Regione, della non-produzione dell’allevatore per la durata di dodici mesi.

E se alle Regioni è attribuito il potere di convalidare - fin tanto che saranno ammesse - le cessioni di quote senza azienda, occorre attribuire la “parola finale”, cioè la “dichiarazione” di aumento della quota del cessionario e di modificazione del quantitativo del cedente, all’Ufficio centrale statale, autore e responsabile dei bollettini.

Ma se alle Regioni si affidano le funzioni di controllo della gestione delle quote latte, occorre pretendere da esse che dette funzioni non vengano polverizzate in distinti centri amministrativi o che, comunque, questi facciano capo ad un unico ufficio regionale centrale, il cui titolare sia anche il funzionario responsabile ai sensi della legge 7 agosto 1990 n.241, onde uniche e coerenti possano essere le direttive.

L’attribuzione dei poteri non può non importare responsabilità: ovverosia, responsabilità per danno erariale e per risarcimento danni qualora, per l’omissione o l’inadeguatezza dei controlli, risulti che la produzione lattiera regionale superi la somma dei QRI dei produttori situati nella Regione con obbligo di costoro di pagare  il superprelievo.

Collegato al problema della regionalizzazione dell’applicazione della normativa comunitaria nel settore del latte ed a quello della necessità, ex diritto comunitario, dell’esistenza di un organo statale di controllo, è la costituzione di una “riserva regionale” e/o di una riserva nazionale. Con riguardo a tale aspetto, già si è detto supra, par.8.3 che, a differenza di quanto dispongono gli artt.5 e 7 Regol. 3950/92 che prevedono esclusivamente una riserva nazionale, gli artt.9, 11° comma e 13, 6° comma DPR n.569/93 istituiscono una riserva regionale.

Orbene, premesso che le dette norme nazionali difformi sono tamquam non essent, forse sarebbe opportuno che esse siano formalmente abrogate. Non è in contrasto, invece, con il diritto comunitario la disposizione dell’art.3 d.l. n.552/1996 convertito nella legge n.642/1996, per la quale i quantitativi “abbandonati” dagli allevatori devono essere totalmente riattribuiti, dall’AIMA, nella Regione o nella Provincia autonoma di provenienza: in altre parole, pur non istituendosi riserve regionali che condurrebbero alla imposizione di confini assolutamente e per sempre invalicabili, la disposizione, per atto dell’Autorità statale centrale, di utilizzazione dei QRI dismessi all’interno della stessa Regione, presuppone che, in difetto di richieste o di legittimazione in sede regionale, i suddetti QRI possano essere gestiti, in ultima battuta, in sede nazionale.

Ma, al fine di potenziare il sistema di regionalizzazione della gestione delle quote, occorre prevedere che la riattribuzione, in sede regionale, debba avvenire, da parte dell’organo statale centrale, sulla base di un sistema obiettivo predeterminato da ogni singola Regione, con riguardo alle particolari situazioni locali, assieme all’organo statale di controllo.

Tutto ciò pone questa Commissione nella situazione di dovere segnalare al Governo, in questo momento in cui si sta discutendo in Parlamento la revisione della legge n.468/92, che per il diritto comunitario è necessario tenere presente:

a)    che occorre garantire l’esistenza di un organo statale di controllo che non abbia solo la funzione di mero “collettore” delle notizie necessarie per predisporre i bollettini;

b)    che occorre garantire l’esistenza di un’unica riserva nazionale.

 

16.4   Dal punto di vista pratico, per realizzare quanto già descritto al par. 16.3, questa Commissione sente il dovere di segnalare al Governo che il soggetto pubblico centrale deve essere completamente autonomo e svincolato dagli interessi particolari delle categorie interessate, con compiti di indirizzo generale, e con possibilità di avvalersi dell’AIMA quale organismo esecutivo delle direttive di volta in volta emanate e quale collettore delle attività di tutti gli altri soggetti coinvolti (Regioni, APL, acquirenti, produttori).

Alla luce della passata esperienza, questa Commissione non può tacere la necessità che si attribuisca ad un apposito organo o ad un apposito ufficio di controllo la esplicita funzione di verifica dell’operato dell’AIMA, delle Regioni, degli APL, degli acquirenti e dei produttori.

I controlli incrociati effettuati su supporto informatico da questa Commissione, che hanno evidenziato situazioni anomale e, in quanto presuntivamente predisposte a fini illeciti, foriere di responsabilità penali, amministrative e contabili, potrebbero proficuamente essere continuati e predisposti, con cadenza periodica, da tale organismo che dovrà, quindi, essere estraneo ed esterno a tutti i soggetti interessati.

 

16.5   Come già si è accennato supra, par. 8.5, il principio della certezza del diritto pretende che ciascun allevatore sappia quale sia il suo QRI.

Orbene, l’attuale nostro sistema prevede soltanto che i bollettini siano trasmessi dall’AIMA alle Regioni e che da queste siano inviati ai vari Servizi Decentrati Agricoltura presso ogni capoluogo di provincia “al fine di consentirne l’immediata visione agli operatori interessati” (art.4 legge n.468/92 ed art.6 DPR n.569/93).

Di recente il TAR Veneto, con sentenza 5 febbraio 1996 n.137 (Allegato sub 149), ha annullato i bollettini con il QRI degli allevatori veneti ricorrenti, rilevando correttamente che “il bollettino emesso dall’AIMA ed indicante, per ciascuna campagna lattiero-casearia, la quota latte spettante ai singoli produttori ordinati per Regione e per Provincia, non è un atto generale, ma un atto plurimo, rappresentato dalla sommatoria di atti individuali: esso, dunque, postula per sua natura una motivazione recapitata singolarmente ed illustrante a ciascun destinatario dell’atto i motivi per cui la quota latte è stata ridotta o non è stata concessa”.

Dopo tale premessa condivisibile, il TAR Veneto, forse per una non completa prospettazione dei dati di fatto, è addivenuto alla suddetta dichiarazione di nullità dei bollettini, “nella sola parte in cui non viene motivata, in ordine alle specifiche posizioni dei soggetti ricorrenti, l’avvenuta perdita, ovvero l’avvenuta riduzione della quota latte ad essi altrimenti spettante”. Poiché ad ogni bollettino sono, invece, allegati specifici, a dir così, “estratti conto aziendali” che in modo dettagliato (v. alcuni esempi nell’Allegato sub 150) indicano, per ciascun titolare di QRI, come si sia pervenuti all’attribuzione di quel determinato quantitativo, questa Commissione deve prospettare al Governo la necessità che sia dettata una nuova disposizione regolamentare che preveda non tanto la notifica del bollettino (nel suo insieme o nella parte relativa alla Regione o Provincia di appartenenza) a ciascun allevatore titolare di quota o “cancellato” dal bollettino, quanto invece la notifica, a cura della Regione, del detto “estratto conto” personale, con indicazione, in ogni caso, della quota attribuita al momento della comunicazione.

 

 

16.6   Il mercato italiano delle quote latte ha prodotto più danni che vantaggi, se è vero, come è vero, che da più parti si lamenta il fatto che c’è gente che non munge vacche ma quote e che a produrre latte non sono soltanto le vacche ma anche le “fatture”.

È per questo motivo che supra, par.12, questa Commissione ha messo in evidenza la normativa comunitaria che, a partire dal 1987, ha previsto, come deroga eccezionale al sistema di cessione della quota assieme alla terra (su tale eccezionalità v. varie sentenze della Corte di giustizia di questi ultimi anni, in cui si sostiene che, per il legame quota-terra, la quota è del proprietario della terra e non dell’affittuario allevatore), la facoltà per gli Stati membri di introdurre - ma sotto particolari condizioni esplicitamente poste dalla stessa Comunità - l’ammissione di contratti di vendita e di “affitto” della quota senza azienda (cioè senza terra e senza vacche) [ma v. infra, par 16.6 bis la dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri].

Quel che è successo in Italia che, con la legge n.468/92, ha introdotto la facoltà dei titolari di quota di cedere temporaneamente o definitivamente tutto o parte il rispettivo QRI senza azienda e, in particolare, quanto si è accertato sulla prassi contrattuale che si è instaurata, sia in modo corretto ma anche, sovente, in modo non corretto, sono riportati supra, ai par. 12.4, 12.5 e 12.6. Ed è per tale motivo che questa Commissione sente il dovere di proporre al Governo di servirsi della facoltà, attribuita ad ogni Stato membro, di decidere di non applicare il sistema delle cessioni temporanee della quota senza azienda di cui all’art.6 Regol. 3950/92, e ciò “per l’imperativa esigenza amministrativa” (art.6, 2° comma, secondo trattino) di riportare la gestione delle quote latte in Italia ad una corretta e certa sistemazione. Cosicché, il Parlamento dovrebbe abrogare, a partire dalla campagna lattiera 1998-99, le norme della legge n.468/92 e del DPR n.569/93 con cui si facoltizzano i titolari di quota di venderla o di “affittarla” senza collegamento al trasferimento, definitivo o temporaneo, della relativa azienda zootecnica [ma v. infra, par 16.6 bis la dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri].

Il problema, allora, si restringe al momento attuale, ovverosia alla campagna lattiera 1997-98 appena iniziata. Non vi è dubbio che, per il principio di civiltà giuridica della regola di irretroattività della legge, si devono riconoscere - a seguito dell’attuale procedimento  di “validazione” regionale dei contratti (autenticati) di vendita e di “affitto” (anche) delle quote senza azienda - i contratti che, trasmessi entro il 31 dicembre 1996 (art.4 legge n.642/96), trasferiscono, per la durata di almeno dodici mesi (art.6 Regol.3950/92), il “diritto” sulla quota ad altro allevatore che si trovi nella medesima Regione ed in territorio omogeneo (art.10, 2° comma, legge; art.17, 2° comma, DPR), che non abbia una produzione superiore al limite di trenta tonnellate per ogni ettaro di SAU e che, con l’acquisto o l’”affitto” della quota, non superi tale limite (art.10, 3° comma, legge; art.17, 3° comma, DPR).

Tuttavia, ciò non impedisce agli organi di validazione (le Regioni) e di controllo (l’Autorità centrale) di valutare se siano coerenti con il sistema del nostro diritto privato alcune forme contrattuali che, dagli accertamenti compiuti da questa Commissione, risultano essere “adoperati” da “affittanti” di quote: si tratta di contratti di soccide, di comodati di quote, di società o di compartecipazione unius acti aventi ad oggetto la quota .

Occorre ricordare che la libertà contrattuale di cui all’art.1322 c.c. subisce la limitazione della sussistenza della meritevolezza degli interessi in gioco e che la più attenta dottrina ritiene che tale giudizio di meritevolezza valga anche per i contratti di tipo legale perché anch’essi, nel concreto, possono essere utilizzati dalle parti per interessi non meritevoli di tutela.

In particolare, l’art.1344 c.c. sancisce la nullità dei contratti stipulati in frode alla legge, ovverosia di quei contratti che, sotto una “veste” formale conforme alle disposizioni del codice, mirano a raggiungere risultati non ammessi dal legislatore, sicché sostanzialmente sono diretti ad eludere la normativa cogente.

Orbene, se si considera che la Comunità consente, in via eccezionale [v. infra, par 16.6 bis la dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri], la cessione della quota senza azienda solo per un periodo di almeno dodici mesi, è evidente che le soccide, i contratti e le società unius acti che prevedano una durata di pochi mesi (v. gli esempi fatti al par. 12.5 e riportati in Allegato sub 133), sono diretti ad eludere la normativa comunitaria e la corrispondente (e, per questo punto, conforme) normativa italiana.

La probabilità che tal genere di contratti sia in frode alla legge può ricavarsi proprio dalla durata di tali contratti e dalla diversa dislocazione regionale delle parti, per cui occorre rammentare alle latterie acquirenti, alle quali gli interessati producono direttamente simili contratti non soggetti ad alcuna validazione da parte delle Regioni, le loro responsabilità qualora li ritengano efficaci erga omnes quando, invece, il regime della nullità consente che ogni interessato (ovvero qualsiasi allevatore poi assoggettato a prelievo) possa contestarne, in qualsiasi momento, la validità.

Analoga considerazione va fatta per quei contratti di cessione temporanea di quota assieme all’azienda, quando il comodato di stalla o di affitto di azienda (e, dunque, in entrambi i casi, con trasferimento di una parte del QRI) ha una modestissima durata. È, infatti, da ricordare che tal genere di contratti non prevede, per diritto comunitario, un tempo minimo di durata, posto che nei casi di specie dovrebbero applicarsi le legislazioni nazionali sull’affitto di fondi rustici che, di regola, fissano una scadenza a lungo termine (per noi trattasi della legge 3 maggio 1982 n.203, che per gli affitti stabilisce una durata di 15 anni e che per gli altri contratti agrari aventi ad oggetto la concessione di un fondo rustico prevede, all’art.27, la loro riconduzione all’affitto, e tutto ciò salvo diverso patto in deroga stipulato con l’intervento delle associazioni professionali di categoria): perciò, quando un tal tipo di contratto di trasferimento del godimento temporaneo di azienda viene utilizzato per un periodo veramente minimo di durata (nei tre contratti in Allegato sub 133, il periodo di comodato è di appena un mese e mezzo), lo scopo elusivo della legge risulta evidente. Orbene, la probabilità che si tratti di contratti in frode alla legge nulli ex art.1344 c.c. impone alle Regioni ed all’Autorità centrale, rispettivamente, di non convalidarli e di non prenderli in considerazione al fine della formazione del bollettino, ancorché rimanga integra la facoltà degli interessati di contestare l’operato della P.A. e di sostenere, nelle forme del giudizio civile, la perfetta validità del contratto.

Ciò che, invece, appare perfettamente legittima è la costituzione:

a) di una soccida che dia luogo ad una (nuova) impresa collettiva il cui patrimonio aziendale è costituito dagli apporti dei due allevatori associati insistenti nella stessa Regione e in zona omogenea e, dunque, dalle rispettive vacche e dalle rispettive quote con poteri di rappresentanza nel soccidante e con lavoro svolto, in entrambe le stalle, dal soccidario, con la conseguenza che il nuovo imprenditore agricolo (l’impresa di soccida) ha, con una nuova partita IVA, la titolarità di una quota risultante dalla somma delle due quote degli associati;

b) di una società semplice che, quale nuova figura imprenditoriale, nasca per l’effetto del conferimento delle aziende (vacche e quote) dei soci in un unico complesso aziendale, con conseguenze identiche a quelle già indicate supra, per l’impresa collettiva di soccida;

c) di una cooperativa tra allevatori la cui attività sia quella di allevamento (c.d. stalla sociale), con conferimento delle rispettive aziende (vacche e quote) dei soci in un unica organizzazione dei beni per esercizio dell’attività zootecnica, con le stesse conseguenze di cui sopra;

d) di una cooperativa tra allevatori situati nella stessa Regione e in zona omogenea, la cui attività sia quella di vendita del latte ottenuto dalla gestione separata delle distinte aziende dei soci cooperatori, con il conferimento della produzione lattiera per la (sola) vendita e, quindi, con la rappresentazione all’esterno, al momento della commercializzazione, di un solo soggetto collettivo titolare della somma, quale unica quota, dei quantitativi individuali dei soci cooperatori, non potendosi equiparare alle cooperative di (sola) vendita le cooperative di raccolta e trasformazione, sia perché la normativa comunitaria considera queste ultime “acquirenti”, sia perché le due situazioni sono diverse e, quindi, pretendono un trattamento differenziato ex art.3 Cost. [v. infra par. 16.6 bis la dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri];

e) di un’impresa familiare ex art.230 bis c.c. e 48 legge n.203/82 che, nascendo non da un patto ma dal fatto che due familiari, titolari di vacche e quote, si mettano praticamente in comune per svolgere assieme l’attività di gestione delle rispettive stalle, così costituendo - ripetesi, di fatto - un nuovo soggetto collettivo con, ovviamente, una quota unica risultante dalla somma delle quote dei vari familiari.

Ed allora, in conclusione, questa Commissione sente il dovere di prospettare al Governo la necessità e/o l’opportunità di:

1)    prevedere la soppressione almeno per due anni, a partire dalla campagna lattiera 1998-99, della facoltà dei titolari di quota di cederla in “affitto” senza l’azienda [v. infra par. 16.6 bis la dissenting opinion del componente la Commissione avv. F. Autieri] ;

2)    prevedere l’obbligo delle Regioni e dell’AIMA di non tenere in considerazione, ai fini dell’assegnazione della quota per la campagna 1997-98, i contratti di comodato o di affitto di quota con terra, allorché la durata minima o la dislocazione delle parti in Regioni diverse o in zone disomogenee lascino ampi spazi di probabilità che si tratti di contratti in frode alla legge e perciò nulli ex art.1344 c.c., con responsabilità, in caso di validazione e/o di assegnazione, dell’ufficio regionale e statale centrale che abbiano posto in essere le operazioni di validazione e di assegnazione;

3)    segnalare, con circolare ministeriale, agli acquirenti la possibilità di una loro responsabilità patrimoniale qualora accettino, nella campagna 1997-98, ai fini del non-superamento della quota, contratti di soccida o di comodato o di società unius acti di quota senza azienda per una durata minima di tempo o a favore di allevatori dislocati in Regioni diverse o in zone disomogenee, e dunque presumibilmente nulli, perché stipulati in frode alla legge ex art.1344 c.c.;

4)    disporre un provvedimento di legge che preveda, a favore delle cooperative di allevatori di vacche lattifere nelle due forme di cooperativa di produzione (= stalla sociale) o di servizi (cooperativa di sola vendita): a) l’abbassamento del numero minimo di soci (dagli attuali 9 a non più di 5), nonché nella seconda ipotesi (cooperativa di vendita) l’esclusione di qualsiasi tributo sul “conferimento” del latte dei singoli soci alla cooperativa, posto che per  la migliore dottrina agraristica e per la giurisprudenza della Corte di cassazione (v. Cass. 14 ottobre 1970  n.2004; 23 febbraio 1977 n.819; 11 aprile 1979 n.2115) un tal genere di cooperativa è, ai sensi dell’art.2135 c.c., imprenditore agricolo svolgente la commercializzazione del prodotto agricolo, ovvero l’ultima fase dell’attività  imprenditoriale dei soci, e poiché la fruizione, da parte dei soci, dei vantaggi mutualistici derivanti dalla vendita in comune del latte e senza intermediari, avviene attraverso l’effettiva utilizzazione del servizio dalla cooperativa offerto e posto in essere dagli stessi soci; b) la limitazione dell’efficacia di un simile disegno di legge alle cooperative di allevatori insistenti nella stessa Regione e in territorio omogeneo.

 

16.6bis In ordine ad alcuni punti di cui al paragrafo precedente, l’Avv. Francesco Autieri, componente di questa Commissione, esprime il proprio dissenso, motivato dalle seguenti considerazioni:

“” A) per quanto riguarda il punto d) del precedente paragrafo (configurazione delle c.d. cooperative di raccolta come unico soggetto, all’esterno, e conseguente possibilità di effettuare compensazioni, all’interno, tra i conferimenti dei singoli soci), la stessa possibilità dovrebbe essere consentita a quelle cooperative che, oltre a ricevere i conferimenti dei soci, si dotano di strutture produttive atte alla trasformazione del latte conferito, e ciò sia per motivi di carattere di legittimità costituzionale (per la parte in cui operano come ricevitori del latte conferito), sia per motivi pratici, economici e di trasparenza di gestione.

Infatti,  a parte la considerazione che le cooperative di mera raccolta spesso sono utilizzate per occultare traffico di latte in maniera illegale (il fenomeno del latte commercializzato “in nero” riguarda esclusivamente tale tipo di cooperative), appare di dubbia costituzionalità la discriminazione operata in danno delle cooperative di raccolta e di trasformazione: i due momenti in cui si articola la vita della cooperativa (raccolta-trasformazione) sono infatti concettualmente distinti ed autonomi, anche dal punto di vista contabile, così da rendere agevoli eventuali controlli.

Non prevedere, per questo tipo di cooperative, la possibilità di compensazioni di fatto  tra i soci che la compongono, penalizza questi ultimi, i quali, pur avendo investito capitali e producendo ricchezza, lavoro, valore aggiunto e mercato, si vedrebbero sottoposti alla possibilità del prelievo supplementare, ove non fosse prevista - si ribadisce - quella sorta di “compensazione interna”, che viene invece ipotizzata per le cooperative di mera raccolta.

Accanto a tali motivazioni di ordine costituzionale, economico e sociale ve n’è una che si potrebbe definire di palese giustizia e trasparenza: infatti chi, utilizzando la forma sociale “cooperativa di raccolta” vorrà continuare a dar vita a movimentazione di latte a prezzo inferiore a quello di mercato, potrà agevolmente continuare a farlo mantenendo i propri soci di poco al di sotto della quota assegnata e pagando l’eccedenza, come oggi purtroppo avviene, a lire 550/580/600, senza IVA (dato che il produttore eccedentario non può emettere fattura, pena la sottoposizione a prelievo supplementare), ma recuperando tale IVA dall’acquirente del latte: cosicché l’importo complessivo dell’IVA sul latte commercializzato “in nero” resta, in definitiva, nelle tasche del trafficante.

Sembra pertanto più logico, oltre che rispondente ad elementari ragioni di trasparenza, prevedere le cooperative di raccolta come “acquirente”, così da poter essere sottoposte ai controlli tramite i modelli L/1 predisposti da questa Commissione, oppure, per tutto quanto sopra detto, concedere la medesima possibilità di compensazione di fatto tra i propri soci anche alle cooperative che, oltre a raccogliere il conferimento dei soci, trasformano il latte da questi ultimi conferito.

B) In ordine alla necessità e/o opportunità prevista al punto 1 del precedente paragrafo (soppressione della possibilità di trasferire la quota senza azienda, almeno per due anni) il dissenso è motivato dalle seguenti considerazioni:

-        l’attuale e vigente regolamentazione comunitaria (Regol. n.3950/92 del 28 dicembre 1992) consente il trasferimento della sola quota come ipotesi normale con  facoltà degli Stati membri di modulare le operazioni di cessione (v. art. 6,  comma 1, Regol. 3950/92). Le motivazioni di tale previsione normale e non già eccezionale, come sostenuto dagli altri membri della Commissione, si trovano limpidamente esposte nel quattordicesimo “considerando” delle premesse del suddetto Regolamento comunitario dove testualmente si legge: “considerando che negli Stati membri che le hanno autorizzate, le cessioni temporanee di una parte del quantitativo di riferimento individuale [leggasi quota-latte] hanno consentito un miglior funzionamento del regime; che è opportuno estendere all’insieme dei produttori la possibilità di avvalersi, in linea di principio, di tale disposizione...”.

          In ordine a quanto sopra non sembrano avere rilevanza ostativa eventuali decisioni della Corte di Giustizia europea che affermano la titolarità della quota in capo al proprietario della terra. Infatti, nell’ipotesi di cessione temporanea, ciò che viene trasferito è non già la titolarità della quota bensì la possibilità di commercializzazione legata alla quota medesima la quale, anche durante la temporanea utilizzazione da parte di altro soggetto, rimane pur sempre intestata al proprio titolare (in proposito, è bene ricordare che la “quota-latte” è lo strumento richiesto per la legittima commercializzazione del latte e non certo  per la sua produzione);

-        appare contraddittorio sostenere (v. par. 16.1 della presente relazione) “punto di partenza è l’azzeramento di tutte le disposizioni legislative e regolamentari - interne - in contrasto con la normativa comunitaria” e prevedere, come proposta, la soppressione di una delle rare norme dell’ordinamento italiano che è, invece, in linea con la normativa comunitaria medesima. Anzi, si dovrebbe addirittura prevedere e codificare (e conseguentemente sostenere a livello comunitario) la possibilità del trasferimento della sola quota anche “in corso di campagna” (come già previsto per il periodo 1996/97 dall’art.2, comma 173 della legge 662/96 che ha modificato l’art.10, comma 6, della legge 468/92), così da eliminare pressoché totalmente il traffico e la commercializzazione illegale del latte vaccino;

-        con riguardo a quest’ultima considerazione è, infatti, agevole intuire che nessun allevatore sarà disposto e/o costretto a vendere il proprio latte, eventualmente eccedentario, al di sotto del prezzo di mercato e senza IVA, laddove gli venga consentita l’utilizzazione del residuo di quota, ad esempio di quello del vicino (fenomeno peraltro diffuso e rispondente a ragioni di sana solidarietà contadina);

-        inoltre, il blocco dei trasferimenti delle quote individuali, sia pure per un periodo di due anni, costituisce un incomprensibile “ingessamento” della legittima e sana produzione e commercializzazione lattiera, oltretutto non giustificato da motivi di trasparenza, la quale ultima viene assicurata dalla compilazione dei moduli L/1 nella forma suggerita dalla Commissione e dai controlli, altrettanto previsti, da parte dei servizi veterinari ASL;

-        si può ancora osservare che il trasferimento della quota, in ambito regionale e in zone omogenee, salvaguarda la produzione “onesta” e costituisce al tempo stesso un deterrente alla commercializzazione del latte in forme illegali, quale ad esempio la “commercializzazione in nero” per tutte le considerazioni dianzi espresse;

-        d’altronde, non si può imporre l’acquisto della quota unitamente alla terra a chi già sia eventualmente proprietario di terreno e di attrezzature che ben possono sopportare un aumento di produzione.

Data l’incidenza percentuale dei fenomeni illeciti afferenti il mercato lattiero-caseario, appare ingiustificata la penalizzazione della gran parte degli allevatori (sopprimendo una disposizione che persino la Comunità europea riconosce legittima), a fronte di una eventuale individuazione dei responsabili degli illeciti, che possono essere individuati attraverso gli altri strumenti che questa Commissione ha previsto.;

E’ infine da rilevare che, per tutto quanto sopra detto, l’eventuale soppressione della possibilità di trasferimento della sola quota avrebbe gravi conseguenze dal punto di vista economico, impoverendo ulteriormente ed in misura pressoché generalizzata il mondo produttivo lattiero-caseario, al punto da lasciar prevedere proteste e malcontenti da parte di chi lecitamente utilizza lo strumento legislativo vigente; mentre darebbe - è da prevedere - grande soddisfazione a chi “traffica” illecitamente il latte, dal momento che tale possibilità di commercializzazione illecita sarà addirittura aumentata e garantita per quantitativi ben superiori all’attuale””.

 

16.7   Come si è detto supra, al par. 11, il d.l. 8 agosto 1996 n.440 convertito, dopo reiterazione, nella legge 23 dicembre 1996 n. 649, dispone “con effetto dal periodo 1995-96” la cessazione della procedura di compensazione prevista dalla legge n.468/92. In altre parole, è stato eliminato il nostro vecchio sistema di compensazione a livello di APL, e ciò per conformarsi al parere motivato dell’UE del 20 maggio 1996.

Il fatto è che il (nuovo) sistema di compensazione a livello nazionale, coerente con una delle due alternative concesse agli Stati membri dalla normativa comunitaria, è stato introdotto effettivamente nel nostro Ordinamento nel dicembre 1996 (ovverosia quando il d.l. n.542/96 reiterante il d.l. n.440/96 è stato convertito), e dunque allorché: a) la campagna lattiera 1 aprile 1995-31 marzo 1996 era esaurita; b) la campagna lattiera 1 aprile 1996-31 marzo 1997 era in corso. D’altra parte, occorre tener conto che, se risalgono al marzo 1995 le “avvisaglie” delle intenzioni della Commissione UE di iniziare un procedimento di infrazione contro l’Italia, il parere della UE, che ci ha imposto di metterci  in regola con la normativa comunitaria, è del maggio 1996, quando la campagna lattiera 1995-96 era già definitivamente chiusa.

Si è detto supra, al par. 11, che per effetto del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno non si può qui parlare di una vera retroattività del nuovo sistema di compensazione, posto che, essendo l’art.5 legge n.468/92 disapplicabile dai giudici nazionali e dalla P.A. nazionale, sul piano giudiziario ed amministrativo non sarebbe rimasto applicabile per tutte le (passate e future) campagne lattiere che l’unico sistema previsto dalla normativa comunitaria e cioè quello più adeguato (tra le due scelte possibili dettate dall’art.2, 1° par., 2° cpv., del Regol. 3950/92) al nostro sistema di formula A, ovvero la compensazione a livello nazionale.

Tuttavia, si è rilevato come la disposizione dell’art.11 legge n.649/96 di conversione del d.l. n.542/96 che aveva reiterato il d.l. n.440/96 dell’agosto 1996, fosse intervenuta anche su una campagna lattiera già completamente esaurita (quella 1995-96), in un momento, cioè, in cui ogni allevatore non avrebbe più potuto “modificare” l’organizzazione della propria impresa per adeguare la rispettiva produzione al proprio QRI, senza la “rete” di fatto esistente - e considerata dall’allevatore, per conoscenze dirette, in modo consapevole nel rispettivo programma di produzione - del sistema compensatorio all’interno della rispettiva APL.

Al par. 11.4 questa Commissione ha messo in evidenza che, nel diritto comunitario - che è diritto interno - esiste il c.d. principio del legittimo affidamento. Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia per situazioni analoghe a queste di cui qui si discute, e cioè per il caso Frecassetti prima (1976) e poi, in modo ancora più esplicito, per il caso Ferwerda (1980), ed ancora, ma per una situazione diversa da quella nostra, per il caso c.d. SLOM (1988), si ricava il principio per il quale non può non tenersi conto dell’affidamento riposto dall’imprenditore su norme, comportamenti e prassi delle Autorità nazionale e comunitaria, su cui egli ha determinato, in modo ormai irrevocabile, le proprie operazioni commerciali, purché - seguendo le considerazioni dell’Avvocato generale Mayras nel caso Union Malt (1977) - nessuno interesse pubblico vi osti e la lesione subita sia intervenuta in modo imprevedibile.

Ora, con riguardo al  sistema di compensazione a livello di APL che l’Italia ha introdotto nel 1992 e che l’UE ha contestato formalmente solo nel maggio 1996, e con riguardo ad una situazione nella quale la gestione di tale sistema, nel novembre 1993, era stata dal Commissario Legras ritenuta bisognevole di opportune precauzioni e, nel dicembre 1994, era stata dal Commissario Steichen lodata per come era stata messa in opera dalle APL, questa Commissione sente il dovere di prospettare al Governo la correttezza dell’applicazione del principio del legittimo affidamento relativamente alla sola campagna lattiera 1995-96 che - ripetesi - era ormai esaurita al momento della inversione di tendenza.

La conseguenza è che per la campagna lattiera 1995-96 occorre che il Governo dia disposizione all’AIMA, tenendo eventualmente conto mutatis mutandis della metodologia suggerita negli “appunti” AIMA del 24 settembre e del 25 settembre 1995 al MIRAAF (v. Allegati sub 151 e 152) perché provveda a riapplicare il precedente sistema della compensazione, prima, a livello APL (ex legge n.468/92) ed a livello dei non-associati (ex decreto MiRAAF n.762/1994) e, poi, a livello nazionale. Invero, in alternativa a tale soluzione (v. “simulazione” predisposta dal CSIA dell’AIMA, su richiesta di questa Commissione: Allegato sub 153) non ne esiste altra: non solo perché l’affidamento dei produttori si fondava sul sistema normativo all’epoca vigente, ma anche perché l’altra possibile ipotesi di compensazione, ossia quella su base regionale, determinerebbe l’attribuzione del prelievo per l’esubero ai soli produttori delle Regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (v. “simulazione” predisposta dal CSIA dell’AIMA: Allegato sub 154) e, quindi, con un aggravio non equo per gli allevatori delle dette Regioni.

Per la campagna lattiera 1996-97, appena iniziata al momento del parere della UE, non può, invece, che applicarsi il sistema di compensazione a livello nazionale disposto dalla legge n.649/96.

 

Quali sono le conseguenze del “ritorno” al precedente sistema di compensazione?

Come si è detto supra al par.11.4, nessun “danno” subisce l’UE perché l’esubero, qualora ci sia stato effettivamente, verrà pagato (anzi, è stato già pagato, perché la Commissione ha applicato, sui fondi del FEOGA attribuiti all’Italia, il principio della compensazione tra due debiti liquidi ed esigibili).

Nessuna conseguenza è a “carico” dello Stato, perché il prelievo per l’esubero continua ad essere imputato ai produttori eccedentari e da essi dovrà essere pagato, dopo che siano state eseguite le due compensazioni secondo il vecchio sistema, ossia a livello di APL ed a livello nazionale. Altrimenti, se avvenisse diversamente cioè se “pagasse” lo Stato, il nostro Paese sarebbe passibile di procedimento di infrazione per avere sostanzialmente concesso aiuti statali ai suoi imprenditori e ciò in contrasto con l’art.92 del Trattato di Roma.

I gravi problemi che sorgono sono, perciò, altri: da un lato è quello che attiene alla individuazione dei veri produttori in esubero e, dall’altro, è quello che attiene alla legittimità della pretesa comunitaria di “addebitare” all’Italia un eccesso di produzione, qualora invece si dia prova non dell’esistenza (che risulta a questa Commissione già provata), ma della “quantità”  del fenomeno di commercializzazione di latte non italiano da parte di latterie italiane. Invero, nel sistema dell’OCM del latte il superprelievo non riguarda la trasformazione e la commercializzazione del prodotto - ancorché ad esse sia collegata la prova della superproduzione - ma la produzione in sé, così come l’art.1 Regol. 3952/92 esplicitamente e chiaramente stabilisce: “A partire dal 1° aprile 1993 è istituito, per altri sette periodi consecutivi di dodici mesi, un prelievo supplementare a carico dei produttori di latte vaccino....”.

La soluzione dei predetti problemi, strettamente collegati, suggerirebbe l’opportunità che il Governo: a) sospenda per altri sessanta giorni la riscossione del pagamento del prelievo da parte dei produttori che risultino ancora eccedentari nella campagna 1995-96 dopo l’eseguita compensazione secondo il vecchio sistema;
b) sostenga presso l’UE la legittimità di un controllo, da eseguirsi anche con la collaborazione della cellula informatica ed ispettiva del FEOGA, sulla “verità italiana” del latte che risulta, dai modelli L/1, consegnato alle latterie italiane.

Il punto è di tale rilevanza da imporne una specifica trattazione al par. 16.8; ora conviene esaurire l’argomento oggetto di questo paragrafo, rilevando che il ritorno al vecchio sistema di compensazione provoca un altro problema, ossia quello costituito dal fatto che potrebbero esserci produttori che, risultanti eccedentari a livello “personale” e, quindi, già assoggettati a prelievo ex legge n.649/96, invece non lo risultino più o lo risultino in modo più blando, una volta che vengano ammessi a compensare, a livello della rispettiva APL, il proprio eccesso di produzione con la deficitaria produzione del co-associato. Questa Commissione, mentre per rispondere all’impellente necessità che siano convalidati dalle singole APL gli elenchi dei rispettivi associati, ha ottenuto dall’AIMA, in data 21 aprile 1997, la trasmissione di tali elenchi in suo possesso (v. Allegato sub 155) e quindi ha richiesto alle oltre ottanta APL Italiane la conferma o convalidazione dei suddetti elenchi (v. nota n. 616 del 22 aprile 1997: Allegato sub 156), sente il dovere di proporre al Governo di prevedere che coloro che hanno già pagato il superprelievo per la campagna 1995-96 possano compensare, con gli importi pagati, l’eventuale loro debito per la successiva campagna 1996-97 che si è appena conclusa, ricevendo altrimenti (cioè in difetto di loro sforamento nella campagna 1996-97) la restituzione di quanto pagato, con gli interessi legali.

Ovviamente, questa Commissione ha il dovere di segnalare al Governo non solo la necessità di informare l’UE del ritorno al vecchio sistema di compensazione per la sola campagna 1995-96 nel rispetto del principio comunitario del legittimo affidamento, ma anche l’opportunità di richiedere all’UE la (anche parziale) riattribuzione dei fondi FEOGA fino al termine dell’eseguito controllo per le ragioni di cui al seguente par. 16.8.

 

16.8   Come è noto lo Stato Italiano è stato chiamato a corrispondere all’Unione europea, a titolo di prelievo supplementare sull’eccesso di produzione di latte vaccino, un importo pari a lire 370 miliardi circa, sul presupposto di una commercializzazione di latte vaccino per le consegne corrispondente a Kg. 10.228.865.478  superiori al quantitativo assegnato al nostro Paese per la campagna lattiera 1995-96.

Tuttavia, dai dati acquisiti da questa Commissione e dall’incrocio degli stessi, pur in forma necessariamente parziale e ridotta, emerge una serie di elementi che rendono fortemente dubbia una sovrapproduzione (e corrispondente commercializzazione) di tale misura.

Il primo elemento di dubbio si evince dall’aumento di produzione avutosi rispetto all’annata precedente (campagna 1994-95: quantità consegne, ex modelli L/1, pari a Kg. 9.882.033.673), pur in presenza di fenomeni che avrebbero al contrario giustificato una diminuita produzione: si pensi al fenomeno della c.d. “mucca pazza”, ai risanamenti dovuti alla brucellosi bovina, ai piani di abbattimento, cioè a circostanze che hanno comportato una massiccia riduzione del patrimonio zootecnico destinato alla produzione di latte, quando va ricordato che le bovine da latte entrano in produzione solamente dopo che sono trascorsi 24/28 mesi dalla nascita.

Risulta quindi “anomalo” un salto produttivo pari a Kg. 446.877.042, tra la campagna 1994-95 e la campagna 1995-96.

Inoltre, a seguito delle verifiche svolte, si può con ragionevole margine di certezza affermare che il quantitativo di latte vaccino commercializzato nell’annata lattiera 1995-96 come risulta dalla sommatoria dei modelli L/1 (che sono alla base dell’irrogata “sanzione” comunitaria) è, in realtà, un dato fortemente permeato da dubbi di attendibilità in quanto risulta inficiato dai seguenti fenomeni, già evidenziati al par. 14:

-      latte in polvere rigenerato e utilizzato come latte vaccino (v. accertamenti di P.G. in corso, indicati supra, par. 14);

-      titolari di quota con un numero irrisorio di capi, che risultano produrre quantitativi medi per capo superiore ad ogni credibilità (v., ad esempio, un’ipotesi in cui 65 vacche producono 1.707.944 e cioè 26.276 Kg. di media annua pro capite, di cui si è già detto al par. 9.5: Allegato sub 105);

-      quantitativi di latte di importazione che, per la mancanza di controlli, viene utilizzato come latte vaccino prodotto in Italia (v. supra par. 14);

-      altri fenomeni di alterazione di latte che risulta artificiosamente aumentato (v. indicazioni di cui supra, par. 14).

Tutti questi elementi rendono dubbia una reale sovrapproduzione italiana di latte vaccino tale da oltrepassare di molto il quantitativo assegnato all’Italia. In sostanza, questa Commissione non è certa che si sia realmente avuta la sovrapproduzione addebitata. D’altronde, solo l’acquisizione di questa certezza potrà rendere legittima la richiesta di pagamento a carico dei produttori.

Un fattore documentale a conferma della necessità di disporre urgenti ed incisivi controlli emerge da un dato, già in possesso dell’AIMA, in cui sono indicati, su base regionale, i produttori che a seguito di controlli risultavano privi di capi durante la campagna lattiera 1993/94.

A questi medesimi produttori (a capi zero), che risultano essere 4.288 corrisponde, nella campagna lattiera 1995/96, una produzione pari a kg. 224.619.204. Dalla verifica di questo dato potrebbe emergere: o una responsabilità ulteriore a carico del CCIA per mancati controlli, oppure una responsabilità a carico dei produttori e dei loro primi acquirenti per F.O.I. in misura che è pressoché sufficiente a elidere il superprelievo imputato all’Italia (v. Allegato sub 157).

A fronte delle considerazioni qui sopra svolte, questa Commissione sente il dovere di prospettare al Governo di provvedere alla realizzazione di un controllo straordinario tendente ad accertare la “reale” produzione di latte vaccino, al fine di determinare con il minore margine di dubbio sia l’esistenza del superamento della quota nazionale, sia l’entità del superamento. Già supra, par. 16.7, si è espressa l’esigenza di chiedere all’UE di sospendere il versamento del prelievo supplementare per il tempo necessario a realizzare tale controllo incisivo, che ora questa Commissione suggerisce venga svolto con la seguente metodologia.

a) Approfittando del fatto che entro il 15 maggio p.v. gli acquirenti sono tenuti ad inviare i modelli L/1, occorrerà richiedere la compilazione di un nuovo L/1 secondo il modello qui allegato, non solo per la campagna 1996-97, ma anche per quella 1995-96. Rispetto al vecchio modello, il nuovo dovrà contenere:

-      l’indicazione dei capi (bovine da latte in produzione) presenti nell’allevamento durante la campagna lattiera in oggetto;

-      la firma del produttore e del legale rappresentate del primo acquirente, i quali in questo modo si assumono la responsabilità penale, amministrativa e fiscale delle eventuali false dichiarazioni;

-      l’indicazione del numero delle fatture corrispondenti al quantitativo indicato e gli estremi delle stesse;

-      l’indicazione del luogo in cui è ubicato lo stabilimento produttivo da cui proviene il latte.

Al fine di rendere fattibile in tempi brevi il controllo in oggetto, consentendo quindi all’AIMA di procedere ad una nuova compensazione per la campagna lattiera 1995-96 come già detto supra al par. 16.7, si fa seguire il modello L/1 così come questa Commissione ritiene debba essere redatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

(v. alle pagine seguenti il modello L/1 proposto)

b) Si dovrebbe ultimare la raccolta e la omogeneizzazione dei dati dei servizi veterinari delle ASL relativi agli anni investiti dal problema (1994, 1995, 1996), già ampiamente posta in essere da questa Commissione, con rinvio del nuovo modello 2/33, di cui al par. 16.9, ai responsabili delle stesse ASL perché questi provvedano a certificare, sotto la propria responsabilità di pubblici ufficiali, i dati forniti.

c) Occorrerà procedere alla verifica incrociata delle produzioni risultanti dai modelli L/1 ed il patrimonio delle vacche da latte dichiarato in essi, con i dati delle vacche da latte risultanti dai servizi veterinari delle ASL.

Il progettato censimento straordinario del patrimonio di vacche da latte in produzione potrebbe costituire un valido elemento di base per la realizzazione dell’anagrafe bovina prevista nella legge n.81/97 di conversione del d.l. 31 gennaio 1997 n. 11 e della proposta di regolamento comunitario sul sistema di identificazione e registrazione dei bovini (progetto su cui il 19 marzo 1997 il Consiglio UE ha raggiunto un accordo politico).

Avendo questa Commissione provveduto ad acquisire un ingente patrimonio informativo (dati delle vacche da latte risultanti dai servizi veterinari delle ASL anche per gli anni 1995 e 1996; individuazione dell’universo delle partite IVA e dei codici fiscali “anomali” nella misura di circa 15.000, di cui  oltre 9.000 anche nell’ultimo bollettino per la campagna lattiera 1997/98), si ritiene che in tempi brevi (60/90 giorni) sia possibile provvedere all’accertamento sistematico di cui sopra, affidandolo al CSIA dell’AIMA che è già “dentro al sistema” e che, attraverso il suo ing. Monaldi, ha collaborato correttamente con questa Commissione.

 

16.9   Questa Commissione, che ha riscontrato una mole di comportamenti in frode alla legge, ritiene di poter suggerire, innanzitutto, tra gli elementi fondamentali occorrenti per il più efficace controllo del settore, il conferimento alle forze di polizia della possibilità di effettuare ispezioni amministrative nello specifico settore della PAC, avvalendosi dei poteri dalle stesse possedute, nell’ambito dei propri ordinamenti, per le rispettive attività istituzionali.

La Commissione, che ha preso, poi, in considerazione, sotto plurimi profili, il complesso delle disfunzioni e delle anomalie riconducibili alla gestione delle quote latte, ritiene, altresì, che si debba procedere alla definizione di un  sistema di interventi normativi ed organizzatori atto a contrastare il perpetuarsi delle rilevate fenomenologie di illecito.

Giova premettere, in generale, che le attività di natura fraudolenta nel settore delle cosiddette quote-latte, presentano caratteristiche simili a quelle riscontrate in altri campi dell’intervento comunitario: il tratto comune è rappresentato dall’acquisizione, oppure dall’indebita conservazione, di vantaggi patrimoniali, ottenute con modalità fraudolente e, spesso, con l’interessata connivenza dei soggetti preposti ai controlli, coinvolti in pattuizioni corruttive.

 

L’assenza di una adeguata politica di contrasto

Accanto ai cennati profili modali degli illeciti - che, come tali, appartengono al piano della responsabilità penale (e quindi personale) - è risultato ben delineato un contesto oggettivamente agevolatorio, un vero humus favorevole, costituito dalla asseverata incapacità della P.A. di porre in essere adeguate misure di prevenzione e di contrasto. Si pensi, soprattutto, alla dispersione dei dati, quasi sempre trattati e classificati in maniera inadeguata, malgrado il  rilevante impegno finanziario profuso dall’AIMA nel settore dell’informatica. Sul punto nulla vi è da aggiungere ai puntuali argomenti già svolti dalla Commissione parlamentare di indagine, in particolare, nella scheda di analisi del funzionamento dei sistemi informatici di quell’azienda.

In sostanza la politica di controllo dell’AIMA e degli organismi di settore  sembra aver ignorato l’aspetto cruciale dell’organizzazione dei dati informatizzati, vale a dire il profilo relazionale delle aggregazioni, che, attraverso opportuni confronti, permette di collegare e valutare analiticamente informazioni di varia fonte.

Nel settore in esame, come si vedrà, l’analisi di dati correlati avrebbe consentito di acquisire informazioni determinanti per una politica di prevenzione delle anomalie riscontrate: si pensi in particolare ai risultati del confronto tra i dati ricavabili di documenti relativi alle funzioni di polizia veterinaria svolte dalle ASL e quelli già disponibili presso l’AIMA a vario titolo.

D’altra parte, va sottolineato che, malgrado i significativi esiti delle investigazioni effettuate dai servizi di polizia impegnati nel settore (CC e G.d.F.), e le altrettanto rilevanti conoscenze desumibili dal contenzioso in materia di quote, mai risultano elaborate esplicite  linee guida” per una consapevole e aggiornata informazione nell’azione di controllo preventivo.

L’importanza di codici di comportamento per gli operatori di settori a rischio è fin troppo nota per essere oggetto in questa sede di ulteriore trattazione. Il mancato ricorso a tale metodica conferma il profilo di un sistema di amministrazione attiva del tutto inerme di fronte ai pericoli di abusi e nella sostanza connivente con essi. Anche quando le conoscenze acquisite avrebbero imposto specifiche misure di intervento, sembra essere prevalsa la politica dell’inerme silenzio, con il conseguente mancato presidio degli interessi patrimoniali e sociali in gioco.

 

La cd. “cifra oscura” dell’illecito e il problema dell’effettività della normativa di controllo

Come avviene in generale per i fatti di criminalità economica, anche nel settore delle quote-latte - almeno allo stato - ci si deve confrontare con l’assenza di statistiche significative.

Gli illeciti più frequenti afferiscono alla cosiddetta “cifra oscura”.

A tutt’oggi non è possibile individuare un vero e proprio limite all’estensione dei fenomeni o quantificarne il valore, tanto ne è diffusa la impunità.

Come in altri simili settori, appare necessario verificare non solo l’esistenza di idonee norme preventive o repressive, e quindi di un adeguato sistema sanzionatorio, ma soprattutto valutarne l’effettività.

Sarà proprio la consapevolezza dell’assoluta inutilità di normative meramente simboliche, ma di fatto prive di applicazione e di “rendimento”, ad orientare le osservazioni che seguiranno e la individuazione di proposte per la realizzazione di un sistema integrato di contrasto, sia in chiave preventiva, sia in chiave repressiva.

 

Il profilo penale.

In merito alla repressione penale degli illeciti nel settore, le conoscenze statistiche disponibili relative agli esiti dei procedimenti lasciano intendere che il vigente complesso sistema sanzionatorio  non ha, allo stato, determinato risultati apprezzabili.

Come è noto la repressione penale delle frodi comunitarie è incentrata intorno alla fattispecie di cui agli artt. 640 cpv. e 640 bis C.P., che incrimina ipotesi di truffa aggravata, ed alla fattispecie di cui all’art. 316 bis C.P., che incrimina la malversazione a danno dello Stato.

Accanto alle incriminazioni sopra indicate, si collocano - con una sorta di “tipicità sociale” dell’agire criminale -  fattispecie in tema di falsità commessa da pubblici ufficiali e ipotesi di reato riferibili all’utilizzazione di fatture o documenti per operazioni inesistenti. Accade quasi sempre che  la condotta fraudolenta, finalizzata a conservare la titolarità della quota  - anche in presenza di condizioni che lo impedirebbero  - oppure diretta a conseguire indebiti profitti,  si coniughi con un apporto agevolatorio di un pubblico ufficiale.

Parimenti ricorrenti appaiono le connesse ipotesi di frode fiscale, poste in essere per documentare operazioni in tutto o in parte inesistenti.

Di non minore rilievo appare, poi l’incidenza dei fatti attinenti alla corruzione dei pubblici ufficiali, sistematica conseguenza di un regime di controllo meramente cartolare, come tale immediatamente suscettibile di ideologica falsificazione dei dati attestati.

In tale contesto l’atto contrario al dovere d’ufficio del pubblico ufficiale corrotto si estrinseca puntualmente in una falsità documentale, mentre il grado di impunità dell’autore è diretta conseguenza della difficoltà di operare  idonei riscontri e della ricorrente dispersione dei dati di fatto oggetto di attestazione e degli stessi documenti che li incorporano.

Con ciò si vuole significare che gli atti di controllo ideologicamente falsi, soprattutto se privi di elementi volti a consentirne una effettiva rilevazione attraverso codificazioni informatizzate, per la natura di atto interno (che sovente ricorrono all’interno di procedimenti finalizzati all’elargizione o al mantenimento di benefici e utilità), sono sostanzialmente sottratti alle procedure di controllo incrociato e vocazionalmente destinati all’oblio.

Di qui la probabilità della totale impunità dei colpevoli.

Va sottolineata, in particolare, la circostanza che la falsificazione di un dato incide su di una fase dell’ìter procedimentale dell’elargizione di per sé non suscettibile di autonoma “visibilità”, risultando un mero presupposto del trasferimento di ricchezza. Sicché  la condotta illecita di un pubblico ufficiale (es. falsità ideologica), se rileva in sé quale elemento costitutivo della fattispecie penale, generalmente non consente agli organi tutori di estendere gli accertamenti all’operato dell’indagato: mancano, infatti, adeguate codificazioni  idonee a consentire la individuazione e l’esame di tutti gli atti riconducibili ad un soggetto già classificato “a rischio” in quanto coinvolto in un dato fatto illecito.

Consegue che l’azione di contrasto, pur affiorando in sede penale con la formale contestazione di ipotesi criminose e addirittura con l’adozione di “simboliche” misure di cautela processuale, sostanzialmente non incide sul fenomeno, né può consentire indagini di tipo epidemiologico.

In ogni caso, una P.A. apatica, nonostante i numerosi scandali connessi alle frodi comunitarie, non ha mai introdotto, in sede di autotutela,  procedure di accertamento adeguate e  veramente innovative.

D’altra parte, il privato persegue generalmente finalità di illecita locupletazione, ponendo in essere ulteriori falsità documentali aventi ad oggetto atti economici, prime fra tutte le fatture per operazioni inesistenti, le falsità nei documenti di trasporto, l’alterazione nelle registrazioni obbligatorie. L’esperienza penale insegna che fenomeni criminali diffusi possono essere contrastati con indagini adeguatamente celeri solo grazie  ad una approfondita conoscenza dell’ambiente nel quale operano gli autori dei fatti illeciti  e delle  prassi criminali.  Siffatte conoscenze di solito scaturiscono dalle cd. verifiche incrociate. Ma  tale procedimento, se consente utili risultati in presenza di indicatori rilevanti (ad esempio la documentazione di un soggetto che fattura falsamente trasporti mai effettuati), nella maggior parte dei casi impegna solo i verbalizzanti in ulteriori e complessi controlli documentali, molto spesso previsti dai frodatori e pertanto inutili. Siffatta  metodologia, tipicamente endoprocessuale, non realizza finalità di prevenzione e a volte, paradossalmente, moltiplica i pericoli di inquinamento dell’agire della Pubblica Amministrazione.

Possiamo, quindi, ritenere che le metodiche proprie delle indagini penali non appaiono idonee a costituire adeguato riferimento di un’azione preventiva di contrasto, perché risultano condizionate da singoli affari giudiziari, difettano di speditezza ed impegnano risorse in maniera sproporzionata ai risultati effettivi.

Se tali rilievi sono condivisibili, anche in presenza dell’attuale (critica) situazione non pare ragionevole prospettare un programma di indagini generalizzate.

 

Un modello di politica di prevenzione: la trasparenza del settore

Viceversa, un razionale modello di politica di prevenzione dell’illecito può essere individuato nell’obbiettivo prioritario di conseguire una effettiva trasparenza del settore.

Primo tra tutti  deve essere preso in considerazione il profilo della trasparenza dell’agire della P.A. nelle attività di controllo.

Qui l’obiettivo va innanzitutto individuato nella  innovazione delle metodologie del controllo e nel principio della immediata verificabilità dei dati attestati.

Quella del controllo meramente documentale appare superata ed inidonea, in quanto è noto che chi agisce fraudolentemente preordina una documentazione apparentemente regolare.

Assumono, pertanto, carattere prioritario la constatazione e la documentazione  diretta ed immediata dei fatti oggetto di accertamento.

 

Nuove tecniche di documentazione

Se si condivide l’impostazione che gli atti di accertamento devono essere diretti, andranno soppressi o radicalmente limitati i riscontri presso organizzazioni e associazioni di categoria ed a favore di quelli presso l’azienda.

In ogni caso la descrizione “narrativa di fatti e circostanze rilevanti dovrà essere accompagnata da più efficaci (e vincolanti) tecniche di documentazione, come ad esempio la fotografia.

Non a caso la Commissione governativa nel disporre alcuni riscontri a campione ha richiesto agli organismi delegati di documentare anche a mezzo di fotografie le realtà ispezionate.

Al di là del realismo proprio di tale tecnica di documentazione, va evidenziato che, grazie alle attuali potenzialità dell’informatica, la digitalizzazione delle immagini e la conservazione delle stesse su supporto magnetico non presentano alcuna difficoltà né importano particolari oneri gestionali.

 

La visibilità del soggetto accertatore quale elemento di rafforzamento della responsabilità

Il soggetto accertatore dovrà essere sempre chiaramente indicato nell’atto di accertamento, anche attraverso l’impianto di un codice personale di identificazione, suscettibile di analisi statistiche ed informatiche.

Le tradizionali modalità di formazione dei verbali impediscono di rilevare in maniera appropriata i dati relativi ai protagonisti dell’atto, il luogo e il tempo del compimento delle operazioni attestate ed altre circostanze “sensibili”, favorendo una sorta di spersonalizzazione del documento.

Il profilo appare non secondario in quanto, al di là delle più elementari esigenze statistiche, appare utilissimo esaltare l’immediata individuazione dell’agente, per le ovvie esigenze di responsabilizzazione connesse alla possibilità di effettuare  riscontri “personalizzati” in caso di situazioni anomale o sospette. Si tratta solo di realizzare il principale criterio ispiratore della vigente normativa in tema di trasparenza amministrativa, di cui va ovviamente assicurato il totale rispetto anche nel settore degli interventi comunitari.

 

 

Criteri di individuazione inequivoca dei soggetti : la fiscalizzazione dei riferimenti

Il soggetto o l’azienda destinatari dell’accertamento, istanti  ecc. dovranno essere sistematicamente individuabili  attraverso parametri fiscalizzati.

Non è più concepibile che atti di accertamento posti in essere dalla medesima P.A. non siano valutabili per un esame incrociato delle risultanze se non all’esito di laboriose ricerche cartacee presso uffici diversi.

La fiscalizzazione dei dati identificativi deve essere considerata una priorità nel riordino di tutte le procedure del settore, onde consentire la ricerca e l’analisi del maggior  numero possibile di informazioni da parte dei soggetti preposti ai controlli, anche a mezzo di sistemi informatici cd. esperti, idonei ad individuare automaticamente anomalie dei dati.

Il criterio dovrà essere imposto senza eccezione alcuna, poiché rappresenta un elemento indispensabile per la  raccolta e la classificazione delle informazioni. Ad esso dovranno evidentemente attenersi  tutti i soggetti pubblici e privati operanti nel settore a qualsiasi titolo.

 

Modulistica omogenea e suscettibile di informatizzazione

L’impiego di modulistica non sempre conforme a tipologie standard, affidata a supporti cartacei tradizionali  e non destinati al trattamento informatico, moltiplica il pericolo di soppressione e falsificazione della documentazione e comunque facilita sia errori, sia intenzionali falsità ed omissioni.

Sotto il profilo preventivo, quindi, la prima misura  necessaria a conseguire l’obbiettivo della trasparenza  è quella della massima semplificazione delle procedure, coniugata con la memorizzazione ed il trattamento informatico degli  atti.

 

I controlli

Nel settore delle quote latte va in particolare osservato che vengono di fatto condotte  azioni di controllo preventivo e successivo indirette,  meramente cartolari.

In tale contesto il controllato, conoscendo i risultati delle visite o degli accertamenti precedenti, può garantirsi la “conciliazione” delle risultanze documentali predisponendo i documenti necessari.

Al contrario, gli agenti preposti ad accertamenti e controlli agiscono in maniera non coordinata e spesso non dispongono di adeguate informazioni preventive sui soggetti visitati, sicché non può escludersi una tendenza alla  passiva conferma dei fatti in precedenza attestati.

Questa situazione va radicalmente mutata.

Quanto alle competenze delle ASL, in tema di accertamento sanitario, appare indubitabile che il complesso dei dati raccolti dal servizio veterinario debba essere immediatamente integrato in un sistema informativo centrale per consentire la immediata rilevazione di quelli relativi agli animali in produzione di latte.

Lo scopo è facilmente perseguibile con una integrazione delle voci del modello 2/33, finalizzata a specificare quanti degli animali individuati siano effettivamente in produzione.

Inoltre, coerentemente ai precedenti rilevi, lo stesso modello 2/33 dovrebbe far risaltare immediatamente i dati identificativi di tipo fiscale del soggetto esaminato, onde consentire appropriati incroci informatici.

Anche la modulistica relativa alle ricerche di laboratorio per brucellosi ed altro, sembra completamente trascurare l’elemento della identificazione dei soggetti e il riferimento ad altri parametri conoscitivi (estremi della quota, indicatori fiscali, ecc.).

Tanto il modello 2/33, quanto la modulistica destinata a ricerca di laboratorio, riformulati per adempiere a funzioni di confronto ed esame comparativistico, dovranno obbligatoriamente essere assoggettati a trattamento informatico. Questa scelta non consente ritardi, atteso che i costi relativi appaiono infinitesimali rispetto ai benefici conseguenti alla disponibilità di banche di dati suscettibili di esami relazionali. Ne consegue che l’informatizzazione dei servizi veterinari deve quindi ritenersi prioritaria ed avviata immediatamente.

Ancora in ordine al modello 2/33, appare del tutto evidente che esso dovrebbe essere anche finalizzato per un esame incrociato delle risultanze derivanti dall’azione degli Ispettorati Agrari e  di qualunque altro soggetto impegnato in attività di controllo e/o censimento, sicché, nella sua rinnovata formulazione, esso dovrà acquistare un ruolo primario nella prevenzione degli abusi.

Appare inoltre utile che la modulistica evidenzi all’agente ed al soggetto, nei cui confronti si svolge l’accertamento, non solo le conseguenze penali derivanti dalla falsità, ma soprattutto i profili di responsabilità contabile ed amministrativa connessi alla rilevazione di dati inesatti o non veritieri, anche attraverso la specifica sottoscrizione di alcune parti dello stesso (è evidente, infatti, che il richiamo alla responsabilità amministrativa e contabile presenta profili di dissuasività più penetranti per la minore incidenza, rispetto alle stesse, dell’indagine sul profilo psicologico della condotta).

Altri dati, oggi non presenti nel modello, dovranno essere poi considerati obbligatori: fra tutti, in primis, quelli relativi alla titolarità di una quota e all’eventuale effettuazione di abbattimenti nell’ambito delle vigenti normative.

Alla stregua di siffatti limitatissimi interventi, si potrà determinare la formazione di un  aggregato informativo omogeneo, di fonte pubblica (servizi veterinari e connessi), utilizzabile per tutti i necessari controlli incrociati.

Una serie standard di campi  dovrà, inoltre, riguardare la modulistica relativa agli accessi, a qualsiasi titolo effettuati presso l’azienda, da parte di organismi preposti  ai controlli.

Si può infatti ragionevolmente ritenere che controlli di tipo semplificato ma reiterato potrebbero essere affidati, sulla base di liste selettive, ad una pluralità di organismi e servizi, fermo restando che ogni intervento dovrà produrre dati suscettibili di archiviazione informatica.

La finalità di tale impostazione è la realizzazione di un ciclo completo dell’informazione diretta, idoneo a scoraggiare la collusione dei controllori.

Di seguito si espongono le proposte di modifica al modello 2/33 in uso attualmente alle ASL, e si allega il nuovo modello così riformulato.

 

 

 

 

 

 

 

 

[il nuovo modello 2/33 è riportato nelle pagine seguenti]

 


 

Il prospetto in questione svolge una funzione prevalentemente anamnestica ed è volto, quindi, al rilevamento delle malattie animali maggiormente diffuse. Per un suo più completo utilizzo, che consenta la rilevazione di ulteriori dati relativi alla raccolta del latte, si propongono le seguenti modifiche:

1) Il modello in questione dovrà essere fiscalizzato e Conctactato per gli estremi di presa in carico;

2) Lo stesso, predisposto in modo da consentirne la lettura ottica, servirà a trasferire con maggiore speditezza i dati in esso contenuti nella istituenda anagrafe bovina, per cui dovrà essere unico a livello nazionale;

3) L’archivio dell’ASL - Ufficio veterinario - si sostanzia su due diversi modelli, rispettivamente uno per la rilevazione di brucellosi e leucosi (mod. 2/33 bis relativo a ovicaprini), ed un altro per la tubercolosi e brucellosi (mod. 2/33 relativo a bovini e bufalini), entrambi appartenenti all’area funzionale A (finalizzata alla tutela della sanità degli animali vivi, che abbiano compiuto il 45° giorno di età per poter essere censiti). Considerato che i predetti modelli si sovrappongono comunque in alcune loro voci, sarebbe opinabile l’impianto di un solo modello che consenta la rilevazione delle tre  malattie (brucellosi, leucosi e tubercolosi);

4) In calce al già esistente codice di allevamento, occorre inserire analogo codice personale di identificazione dell’agente accertatore (suscettibile di analisi statistiche ed informatiche);

5) In calce ai dati relativi al proprietario, dovrà essere inserita apposita voce riflettente la data dell’ispezione;

6) Nel prospetto della rilevazione, oltre alle colonne relative alla razza, al sesso, alla data di nascita ed al contrassegno di identificazione, dovrà essere inserita apposita colonna relativa all’individuazione dell’animale lattifero, e di una sottocolonna riportante l’eventuale fase di asciutta;

7) Il prospetto dovrà essere integrato con apposito riquadro riportante l’ammontare e la data dei contributi ricevuti per mortalità e/o abbattimento;

8) Dovrà essere integrato, altresì, con apposito riquadro riportante l’ammontare della quota latte assegnata all’allevatore ;

9) In calce al modello, prima della sottoscrizione, dovranno essere evidenziati, all’operatore ed al soggetto coinvolti dall’accertamento, non solo le conseguenze penali derivanti dalla falsità, ma soprattutto i profili di responsabilità contabile ed amministrativa connessi alla rilevazione di dati inesatti o non veritieri;

10) Considerato che il rilevamento viene effettuato in contraddittorio, le parti, ovvero il rilevatore/i ed il soggetto controllato, sottoscriveranno entrambi il modello, che pertanto assume la valenza di verbale (valutare, in tal senso, l’eventuale sostituzione della voce “i veterinari operatori” con quella “i verbalizzanti”).

 

Una priorità nel progetto di trasparenza: un progetto di verifica diretta e straordinaria.

Appare a questo punto prioritario dare ingresso ad una verifica straordinaria sul campo anticipando, sia pure attraverso una semplificazione di dati, le procedure costitutive dell’anagrafe bovina.

Evidenti motivi di opportunità sconsigliano la “militarizzazione” del controllo, che, per la complessità e la vastità dell’operazione, finirebbe per distogliere dai compiti istituzionali aliquote importanti del personale operativo dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

Al contrario, appare preferibile affidare il controllo straordinario ad organismi pubblici con competenza nei settori di analisi delle ricerche statistiche, nonché nel monitoraggio delle risorse agricole. Ci si riferisce a soggetti (come ad esempio l’INEA) che svolgono attività strumentale nel settore agro-alimentare e che dispongono di competenza e professionalità idonee .

La realizzazione immediata di un censimento straordinario non appare in contrasto con gli obiettivi di cui al DPR 30 aprile 1996 n.317, ma sostanzialmente ne  anticipa le finalità attraverso la realizzazione di nuovi flussi informativi.

Un controllo posto in essere da soggetti diversi da quelli tradizionalmente impiegati nel settore (veterinari, ispettori agrari, associazioni di categoria), si impone per la realizzazione di una raccolta di dati di fonte autonoma, ma comunque suscettibili di incrocio.

Si tratta, in buona sostanza, di far derivare dalla terzietà del controllo un elemento deterrente a conciliazioni “dolose” di dati da parte di eventuali infedeli controllori.

 

L’informazione “dissuasiva”

La sovrapponibilità generale dell’informazione costituirà essa stessa un elemento di dissuasione alla fraudolenta alterazione dei dati, soprattutto se adeguatamente rapportata ad una esplicita indicazione di responsabilità personale di tutti gli operatori.

 

La generazione di indici di anomalia tramite le correlazioni dei dati

E’ evidente che le anomalie statistiche dovranno costituire veri e propri indici generatori di procedure di puntuale controllo e riscontro, tanto in sede periferica, quanto da parte dei soggetti preposti all’attività di intelligence e di repressione.

 

Check list operativa e codici di comportamento

La realizzazione di check list appare estremamente pertinente alla materia che ci impegna e coinvolge il profilo della professionalità degli operatori.

Dovrà, in sostanza, essere definito un codice di comportamento in cui le condotte dei soggetti impiegati nelle attività di verifica e di controllo, siano individuate ed esplicate con chiarezza.

 

La formazione degli operatori: un progetto di sinergie

D’altra parte, sia a livello centrale, sia a livello locale, dovranno assicurarsi adeguati cicli di formazione del personale delle varie amministrazioni coinvolte, con l’assistenza tecnica di organismi ministeriali, delle forze di polizia e dell’UCLAF.

Un progetto di formazione del personale è coessenziale ad una politica di prevenzione degli illeciti nel settore agro-alimentare, secondo le coerenti indicazioni comunitarie sul punto.

 

Vademecum operativo e segnalazione di operazioni sospette

I competenti organismi specializzati dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, di concerto tra loro e di intesa con l’UCLAF, provvedono ogni sei mesi alla pubblicazione ed all’aggiornamento di note di orientamento aventi ad oggetto le tipologie accertate in Italia e negli altri paesi dell’Unione nel campo specifico delle frodi connesse alle gestione delle quote-latte ed alle attività produttive e commerciali del settore lattiero-caseario.

Gli stessi organismi, di concerto con i competenti Ministeri, con le Regioni e le Amministrazioni delle Province Autonome, provvedono alla organizzazione, in sede centrale e locale, di specifici corsi di aggiornamento sulle problematiche sopra indicate, ai quali parteciperanno gli appartenenti agli organismi pubblici aventi compiti di amministrazione attiva e controllo nel settore lattiero-caseario.

I responsabili degli uffici statali e regionali e degli enti pubblici o privati, indicati in un apposito provvedimento interministeriale, aventi competenza diretta od indiretta nei settori sopra indicati, hanno l’obbligo di segnalare senza ritardo ai Servizi centrali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza ogni operazione, situazione o dato statistico nel settore della produzione e della commercializzazione di latte e derivati, che per caratteristica, entità, natura o per qualsiasi altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche delle note di orientamento sopra esposte, possano apparire quali indicatori di anomalie o di violazione della vigente normativa.

 

Black list e attività di controllo

Accanto alle check list operative, sarà necessario costituire insiemi finalizzati di notizie indicativi di fatti e/o soggetti coinvolti in illeciti (definizione di black list), la cui gestione dovrà essere affidata ad organismi centrali di intelligence, autonomi e responsabili della pianificazione dei controlli straordinari diretti ed indiretti.

Nella materia in questione, una unità centrale di intelligence può immediatamente scaturire dal raccordo tecnico ed operativo tra i competenti organismi dei CC., della G. di F. e dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi del MiRAAF. Detto organismo centrale dovrà, tra l’altro, curare la classificazione delle tipologie delle attività fraudolente accertate, per consentire un costante aggiornamento investigativo ed operativo degli addetti, e verificare le possibili inferenze di fenomeni di criminalità organizzata.

Alla stregua delle indicazioni suddette, questa Commissione sente il dovere di prospettare al Governo sinteticamente quanto segue:

1.    l’operatività degli uffici veterinari dovrà essere immediatamente impiegata  in un contesto generale di incroci dell’informazione;

2.    l’attività degli ispettorati dell’agricoltura dovrà prioritariamente riguardare l’istruttoria di istanze di qualsiasi tipo di contributo (abbattimenti ed altro) e dovrà necessariamente essere attuata in loco;

3.    i dati a disposizione degli istituti zooprofilattici, assoggettati a trattamento informatico omogeneo, dovranno essere resi interfacciabili con le altre banche dati;

4.    le risultanze di dati anomali dovranno generare specifici indici di anomalia,  la cui elaborazione andrà affidata alle autorità investigative centrali, che potranno avvalersi di ulteriori fonti informative, prima tra tutte l’anagrafe tributaria;

5.    il riassetto dei flussi dell’informazione dovrà essere pianificato in sede centrale attraverso la predisposizione di programmi omogenei di raccolta e trattamento dei dati, nonché di una modulistica adeguata;

6.    occorrerà dare ingresso ad un progetto di censimento straordinario delle attività, anticipando l’attuazione della normativa in  materia di anagrafe bovina, sia pure attraverso una semplificazione delle procedure;

7.    dovrà essere costituita un’autorità centrale per il coordinamento delle politiche di controllo secondo gli orientamenti comunitari;

8.    tanto a livello regionale che a livello centrale dovrà essere fissato il principio della massima trasparenza nell’agire amministrativo, con l’obbligo  per i responsabili di settore di redigere relazioni pubbliche e periodiche sull’attività svolta;

9.    i Ministeri competenti dovranno curare la predisposizione della necessaria normativa di coordinamento, in collaborazione con i competenti servizi comunitari, anche in vista della costituzione di un’unica agenzia antifrode.

 

16.10 Tra le numerose disfunzioni riscontrate nella gestione dell’AIMA, una tra esse appare in tutta evidenza: la carenza di “trasparenza” che diviene spesso perfino lesiva della garanzia che deve essere, invece, offerta al cittadino a tutela dei propri diritti soggettivi. Peraltro, la legge 23 ottobre 1992 n.421 “Delega al Governo per la realizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”, chiede espressamente alla Pubblica Amministrazione l’adeguamento delle proprie strutture, lo snellimento delle procedure burocratiche e la definizione dei sistemi di controllo. L’AIMA, invece, dispone di una notevole capacità di gestione dei dati, offertale da un valido sistema informatico che, tuttavia, non appare programmato per attuare procedure automatiche di controllo delle informazioni che di volta in volta vengono elaborate.

Da una delibera datata 22 marzo 1995 (v. Allegato sub 85) si rileva una interessante e pratica proposta, formulata per rendere più trasparente il sistema, che, se attuata, avrebbe consentito, ai singoli beneficiari, di verificare in tempo reale la loro posizione amministrativa nei confronti dell’Azienda di Stato erogatrice dei contributi comunitari. In particolare, si evidenziava la necessità di assegnare ad ogni produttore un tesserino magnetico (tipo bancomat) da utilizzare, con un proprio codice riservato, per vedere, in qualsiasi Regione d’Italia,  la posizione della propria domanda di aiuto, l’importo liquidabile, eventuali anomalie riscontrate e le azioni da intraprendere per eliminarle. Il progetto, però, non  ha avuto alcun seguito e non sono noti i motivi che ne hanno generato il mancato sviluppo o l’abbandono. L’adozione, invece, di un sistema informatizzato per la visione trasparente della posizione burocratica  di ogni singolo agricoltore che ha instaurato un rapporto amministrativo con l’AIMA, appare quanto mai pressante ed indispensabile, anche in relazione a quanto previsto dall’art.8 del d.l. 31 gennaio 1997,  n.11 “Misure straordinarie per la crisi del settore lattiero-caseario ed altri interventi urgenti a favore dell’agricoltura” alla voce “anagrafe del bestiame”, ove si prevede la realizzazione, a cura del Ministero della Sanità, di  un sistema informatico nazionale basato su un’unica banca dati distribuita ed articolata su tre livelli: locale, regionale e nazionale, tutti collegati in rete ed interconnessi con le banche dati  gestite dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali e dall’AIMA.

La necessità di adottare  tali sistemi gestionali appare quanto mai opportuna, se si considera la più volte richiamata esigenza di disporre di quote latte che facciano riferimento alla reale consistenza di bovini da latte, bypassando organizzazioni o strutture amministrative che possano avere interesse a modificare i dati reali riferiti ad ogni singolo produttore  o semplicemente eliminare i possibili errori, che l’elaborazione di una massa di informazioni così elevate e mutevoli naturalmente comporta. Non solo, ma avendo il rilevamento del patrimonio zootecnico importanza primaria anche per gli aspetti di pertinenza del Ministero delle Finanze, si reputa necessario che il sistema sia interagibile con quello dell’Anagrafe Tributaria, sia per gli aspetti specifici connessi, sia per l’attribuzione corretta e  la validazione della partita IVA e codice fiscale degli allevatori.

La totalità della massa di dati da sottoporre ad elaborazione, dovrà essere preventivamente analizzata e studiata in maniera approfondita, onde consentire la loro  omogeneizzazione  con le informazioni contenute nelle altre banche dati pubbliche di interesse regionale a disposizione della Pubblica Amministrazione. In particolare, si dovrà prevedere una banca dati centrale  alla quale si dovrà accedere con differenti livelli gestionali per l’inserimento delle informazioni, per esempio a livello regionale, o provinciale o nelle ASL, mentre le semplici interrogazioni potrebbero essere effettuate con terminali dislocati nell’organizzazione proprietaria, o nelle associazioni di categoria, o presso istituti bancari ed in ogni caso per la visibilità del resto della P.A. con collegamenti host su host, in maniera tale da capillarizzare l’intero sistema con  il massimo risparmio di risorse.

Sarà necessario, infine, definire in modo chiaro e puntuale la struttura organica dell’apparato preposto al controllo della gestione delle informazioni, al fine di individuare, con immediatezza e senza dubbi, eventuali responsabilità ed inefficienza da parte degli operatori preposti ai vari livelli gestionali del sistema così creato.

L’adozione di tale impalcatura è da considerarsi quanto mai urgente, anche in vista delle scadenze fissate dal Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Unione europea, che, nello stabilire l’istituzione di un  sistema di identificazione e di registrazione dei bovini che dovrà essere pienamente operativo entro il 31 dicembre 1999, delinea in dettaglio i sottonotati  aspetti tecnici:

-      l’applicazione, fino a tale data, di un marca auricolare a ciascun orecchio dell’animale entro il 30° giorno dalla nascita e l’applicazione di una seconda marca  dopo ulteriori venti giorni;

-      l’operatività delle banche dati nazionali a partire dal 31 dicembre 1999;

-      la marchiatura degli animali nati a partire dal 1° gennaio 1998 compresi quelli destinati agli scambi intracomunitari;

-      la comunicazione all’autorità competente, da parte degli allevatori, fino al 1° gennaio 2000, degli spostamenti e delle nascite.

 

16.11 Questa Commissione ritiene, infine, suo dovere prospettare al Governo l’opportunità di:

A) trasmettere copia della presente relazione alla Procura Generale della Corte dei Conti in Roma, ed alle Procure Regionali delle Corti dei Conti, perché possano valutare la sussistenza di danno erariale:

1) nei confronti delle Regioni per l’omissione dei  controlli cui erano tenute per legge e che ha contribuito a determinare gli sforamenti rispetto al QGG italiano ed il conseguente pagamento del prelievo;

2) nei confronti del MAF:

a) per non essersi servito del censimento AIA del 1983, pagato oltre 6 miliardi, procedendo così ad assegnare all’UNALAT lo stesso compito con nuova convenzione per un ammontare di circa 10 miliardi;

b) per non aver preteso nei confronti dell’UNALAT l’adempimento od il risarcimento dei danni a seguito dell’inadempimento, da parte dell’UNALAT, delle convenzioni sull’anagrafe bovina;  

3) nei confronti dell’AIMA, per non aver preteso:

a) nei confronti delle APL il pagamento del prelievo per lo sforamento nelle campagne lattiere di cui all’accordo Ecofin del 21 ottobre 1994;

b) il corretto adempimento, da parte del CCIA, della convenzione AIMA-CCIA.

 

B) trasmettere copia della presente relazione all’Avvocatura dello Stato, perché valuti la possibilità di agire:

1) nei confronti dell’UNALAT, e per essa nei confronti dei suoi rappresentanti legali:

a) per il pagamento del prelievo dovuto per lo sforamento della campagna 1989-90 già ammesso dalla stessa UNALAT e rispetto al quale essa sarebbe comunque tenuta  ex art. 3, 4° comma, legge n. 468/92;

b) per il pagamento del prelievo dovuto per lo sforamento nella campagna lattiera in cui ancora l’UNALAT si presentava come produttore unico;

c) per il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento delle convenzioni MAF-UNALAT sull’anagrafe bovina;

2) nei confronti delle APL per il pagamento del prelievo dovuto per lo sforamento nelle campagne lattiere di cui all’accordo Ecofin;

3) nei confronti del CCIA per il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento della convenzione che gli imponeva di controllare la produzione lattiera “azienda per azienda”.

 

17      Interventi sul piano comunitario.

 

17.1 Come ultima considerazione questa Commissione ritiene doveroso sottoporre all’attenzione della Presidenza del Consiglio e del Ministro competente la problematica relativa all’enorme differenza tra consumo nazionale di latte e suoi derivati, e la produzione interna degli stessi.

L’Italia risulta essere il paese comunitario con la maggior differenza tra quota assegnata e consumi interni. Infatti, la produzione copre solo il 57% dei consumi, mentre il restante 43% è sopperito da latte di provenienza estera.

Un differenziale cosi elevato costituisce una penalizzazione per l’economia italiana, con effetti pesanti sulla bilancia dei pagamenti, i quali si ripercuotono anche nei confronti dei consumatori finali, costretti a pagare un “prezzo consumo” maggiorato dal costo del trasporto. Non può, inoltre, sottacersi che una quota produttiva cosi penalizzante, impedisce lo sviluppo di un settore qualificante per l’economia agricola nazionale, quale quello zootecnico ad indirizzo lattiero, riducendo le prospettive occupazionali, soprattutto giovanili, in un campo, quale quello agricolo, già gravemente colpito da fenomeni di abbandono e fuga dalle campagne. A tutt’oggi risulta infatti impossibile ad un giovane, che intenda intraprendere la professione di imprenditore agricolo ad indirizzo zootecnico, operare l’attività di produzione di latte, e questo perché la rigidità del regime vincolistico e l’entità della quota italiana non consentono di prevedere nuovi insediamenti.

Queste considerazioni vanno collegate alla necessità di conservare, sul territorio, una presenza diffusa di attività agricole, anche in un ottica di tutela del suolo e di salvaguardia dell’ambiente. I fenomeni di tracimazione delle acque, portatori di gravi lutti e di danni economici rilevanti, trovano una concausa nella riduzione numerica di coloro che sul territorio risultano, storicamente, preposti a questa attività di tutela ambientale.

Gli effetti più perversi del delta tra la quota assegnata dalla Comunità ed il consumo interno si ravvisano nella penalizzazione a cui vengono sottoposti i prodotti di maggior pregio del nostro comparto agroalimentare. Produzioni uniche al mondo, quali il Parmigiano-Reggiano ed altri formaggi DOP, rischiano di perdere considerevoli fette di mercato, perché non trovano la loro materia prima, ossia latte con elevatissime e specifiche caratteristiche organolettiche, che può essere prodotto solo in determinate aree geografiche.

Si consideri inoltre che i formaggi in oggetto vengono esportati in paesi extra UE in una misura rilevante, e che quindi il latte destinato alla loro produzione non dovrebbe trovare riscontro con le ragioni di contingentamento che stanno alla base del regime delle “quote latte”. L’esigenza di tutelare queste produzioni appare, perciò, assolutamente improcrastinabile, anche in considerazione del paradosso che vede i produttori di alcuni di questi formaggi assegnatari di una quota di produzione ministeriale, la quale però risulta irraggiungibile a causa della mancanza di materia prima dovuta, appunto, al regime delle quote latte. Un esempio è fornito dal citato Parmigiano-Reggiano, a cui, con l’art. 3 del decreto ministeriale 14 dicembre 1981, è stata assegnata una quota di produzione, al fine di conseguire un equilibrio domanda-offerta. Questa quota non può essere raggiunta per mancanza di latte. Al conseguente danno economico causato dalla mancata produzione, si aggiunge la “beffa” della sanzione della autorità italiana Antitrust per il mancato raggiungimento della quantità-formaggio prevista dal Ministero.

Quello che la Commissione intende evidenziare è che l’esiguità del QGG, rispetto ai consumi, contrasta con la necessità di disporre di latte per prodotti quali i formaggi duri DOP, oppure per il latte fresco, che non possono essere sostituiti con latte estero, essendo quest’ultimo privo delle caratteristiche organolettiche necessarie per tali produzioni di qualità.

Sicché, questa Commissione sente il dovere di prospettare al Governo l’opportunità che l’Italia chieda all’UE o un aumento del QGG da destinarsi espressamente, dalla stessa UE, alla produzione del latte destinato ai formaggi DOP nella quantità esportanda; o un meccanismo particolare, in virtù del quale non sia computata nel QGG (e, quindi, sia sottratta al prelievo) la produzione destinata a formaggi esportati nei paesi extracomunitari e nella misura di detta esportazione (quest’ultima alternativa avrebbe la caratteristica di essere applicata a favore di tutti gli Stati membri).

 

17.2   Questa Commissione, dato il ristretto ambito temporale in cui è stata chiamata ad operare, non ha potuto verificare la fondatezza di notizie che riferiscono l’esistenza di più di un livello di compensazione in altri Stati membri (v. volume Quote latte: vincolo o strumento di gestione ? La situazione nei Paesi dell’Unione Europea, a cura di Pieri e Rama, Franco Angeli editore, Milano 1996: Allegato sub 161). È riuscita soltanto a rinvenire la Milch Garantiemengen Verordnung nella stesura aggiornata al 26 settembre 1994, il cui § 7b, dopo aver stabilito l’attribuzione delle quote inutilizzate a livello di acquirente, sembra prevedere due livelli di compensazione, perché dispone che “nel caso in cui la somma delle consegne in difetto superi la somma delle consegne in eccesso, le consegne in difetto sono compensate per il valore massimo delle consegne in eccesso, secondo l’attribuzione di cui alla prima frase. Le quantità di riferimento per le consegne non utilizzate relative ad aziende o parti di aziende situate nella zona indicata all’art.3 del Trattato di unificazione possono essere attribuite solo ad altri produttori la cui azienda è situata in tutto o in parte in questa zona. La disposizione si applica per analogia alle quantità di riferimento per le consegne che si riferiscono ad aziende o parti di aziende al di fuori di questa zona”; continuando nel capoverso successivo: “Le quantità in difetto, che anche dopo l’applicazione del c.1 non possono essere compensate, possono essere compensate anche con quantità eccedentarie al di fuori dell’ambito della latteria. La compensazione ai sensi della prima frase avviene nel seguente ordine.........” (v. Allegato sub 162). Né pare che sul suddetto sistema di compensazione abbia apportato modifiche l’Anderung der Milch-Garantiemengen del 7 febbraio 1996 (v. Allegato sub 163).

Quale che sia la reale situazione esistente negli altri Stati della Comunità, si può agevolmente osservare che, in caso di doppio livello di compensazione, sarebbe inesistente il danno per la Comunità, dal momento che il prelievo supplementare è previsto per le sole sovrapproduzioni rispetto al quantitativo globale assegnato allo Stato.

Invero, ove le operazioni di compensazione fossero riconosciute a livello di APL, non si avrebbe modifica, né incisione sul quantitativo globale assegnato al nostro Paese, cosicché rimarrebbe pur sempre garantita la possibilità, per la Comunità, di vedersi corrisposto il prelievo supplementare per gli “sforamenti” del tetto nazionale.

Questa Commissione suggerisce al Governo di richiedere all’UE la reintroduzione della disposizione dell’art.12, lettera c, Regol. 857/84 [“Ai sensi del presente regolamento, si intende per:.. c) produttore: l’imprenditore agricolo, persona fisica o giuridica o associazione di persone fisiche o giuridiche, la cui azienda è situata nel territorio geografico della Comunità, - che vende latte o altri prodotti lattiero-caseari direttamente al consumatore; - e/o effettua consegne all’acquirente.....”], posto che la non ripetizione di tale formula nel Regol. 3950/92 non pare esser stata adeguatamente ponderata nei considerando, essendo solo evidente nel sistema di compensazione (o a livello di acquirente o a livello nazionale) la volontà della Comunità di intervenire sui produttori nel modo più dissuasivo possibile: dissuasività che si sarebbe potuta ottenere con più incisivi controlli.

 

L. C. S.


 

COMMISSIONE GOVERNATIVA D’INDAGINE

SULLE QUOTE LATTE

 

 

 

ELENCO ALLEGATI ALLA RELAZIONE

 

 

 

1           -. Corte dei Conti europea, Relazione n.2/87;................................................................... par. 2.1, 5.2;

2           -. Corte dei Conti europea, Relazione n.4/93;................................................................... par. 3.1; 11.1

3           -. Telefax MAF,  3 marzo 1998, n.3389;.............................................................................. par. 5.2

4           -. Decreto MAF, 30 settembre 1985;.................................................................................. par. 5.2; 6.2; 8.1; 9.2

5           -. Nota - Legras, 1 aprile 1993;............................................................................................ par. 5.4; 6.8; 6.10; 8.5

6           -. Atto citazione Proc. Gen. Corte dei Conti, 21 marzo 1991;.......................................... par. 6.1; 6.4; 6.5

7           -. Corte Cost., 7 maggio 1996, n.146;................................................................................. par. 6.1

8           -. Corte dei Conti, 15 gennaio 1997;................................................................................... par. 6.1

9           -. App. Proc. Gen. Corte dei Conti, 10 marzo 1997;.......................................................... par. 6.1; 7.2

10         -. Relaz. Uff. Spec. Corte Conti c/o AIMA, 25 ottobre 1995;......................................... par  6.1; 7.2; 9.2; 9.3

11         -. Decreto MAF, 26 ottobre 1985;...................................................................................... par. 6.2

12         -. Nota AIA, 4 ottobre 1985;............................................................................................... par. 6.2; 9.2

13         -. Decreto MAF, 25 ottobre 1986;...................................................................................... par. 6.2

14         -. Dati Eurostat;.................................................................................................................... par. 6.2

15         -. Nota AIA,  23 giugno 1987;............................................................................................ par. 6.2; 9.2

16         -. Fotocopia parte dei dati forniti dall’AIA;..................................................................... par. 6.2; 9.2

17         -. Nota MAF, 2 maggio 1987;............................................................................................. par. 6.2

18         -. Decreto MAF, 22 febbraio 1990;.................................................................................... par. 6.2

19         -. Nota MAF, 4 settembre 1987;......................................................................................... par. 6.2

20         -. Atti MAF, 13 aprile 1988 - 24 gennaio 1989;................................................................. par. 6.2

21         -. Audizione dott. Avolio, 7 marzo 1997;.......................................................................... par. 6.3; 9.3

22         -. Memoria UNALAT, 8 aprile 1997;.................................................................................. par. 6.3

23         -. Decreto MAF, 22 dicembre 1986;................................................................................... par. 6.3

24         -. Annuario latte 1996;......................................................................................................... par. 6.3; 9.5; 11.2;12.6

25         -. Decreto MAF, 2 aprile 1987;........................................................................................... par. 6.3; 8.1; 9.1

26         -. Decreto MAF, 11 aprile 1988;......................................................................................... par. 6.3; 8.1; 9.1

27         -. Delibera assemblea UNALAT, 2 agosto 1990;............................................................. par. 6.3

28         -. Nota dott. Possagno,  3 settembre 1988;....................................................................... par. 6.4

29         -. Nota MiRAAF, 5 aprile 1997;.......................................................................................... par. 6.5

30         -. Nota UNALAT, 11 dicembre 1991;................................................................................ par. 6.5

31         -. Nota Ministro Fontana, 24 novembre 1992;................................................................. par. 6.5

32         -. Relazione sull’incontro MacSharry-Goria, 8 maggio 1992;......................................... par. 6.5

33         -. Analisi comp. produz. latte (L’Informatore Agrario, 9.3.95);...................................... par. 6.5; 7.2; 7.7

34         -. Nota Mac Sharry, 12 dicembre 1991;............................................................................. par. 6.5

35         -. Atto incontro ECOFIN, 21 ottobre 1994;....................................................................... par. 6.5;  7,2

36         -. Decreto MAF, 7 giugno 1989, n.258;............................................................................. par. 6.6

37         -. Decreto MAF, 30 novembre 1989 n.95;......................................................................... par. 6.6; 9.1

38         -. Decreto MAF, 14 marzo 1991;......................................................................................... par. 6.6; 6.9

39         -. Decreto MAF, 25 maggio 1992;...................................................................................... par. 6.6

40         -. Decreto MAF, 9 novembre 1992;................................................................................... par. 6.6

41         -. Decreto MAF, 4 agosto 1993;......................................................................................... par. 6.6

42         -. Convenzione AIMA-UNALAT;.................................................................................... par. 6.6; 6.9

43         -. Audizione dott. Catania, 27 febbraio 1997;................................................................... par. 6.6; 8.1; 9.2; 9.3; 9.4

44         -. Decreto MAF, 26 maggio 1992;...................................................................................... par. 6.7; 9.1

45         -. Nota AIMA 11 aprile 1997 (dott. Lazzereschi);............................................................ par. 6.8; 9.4

46         -. Convenzione quadro (AIMA-CCIA), 26 maggio 1992;............................................... par. 6.8; 9.4;14.1

47         -. Atto esecutivo n.1 (AIMA-CCIA), 22 marzo 1994;..................................................... par. 6.8; 9,1; 9.4

48         -. Atto esecutivo n.2 (AIMA-CCIA), 22 marzo 1994;..................................................... par. 6.8; 9.1; 9.4

49         -. Accordo formale (UE-ITALIA), 19 aprile 1995;............................................................ par. 6.8; 7.8

50         -. Accordo formale (UE-ITALIA), 18 aprile 1994;............................................................ par. 7.1

51         -. Nota Corte dei Conti, 14 novembre 1994 n.196;........................................................... par. 7.2

52         -. Nota MiRAAF, 7 dicembre 1994 n.35541;..................................................................... par. 7.2

53         -. Articolo Cons.  C. Calabrò su  Agrisole, 7-13 febbraio 1997;..................................... par. 7.2

54         -. Audizione Sen. Robusti, 5 marzo 1997;......................................................................... par. 7.3; 12.4

55         -. Audizione dott, Mauro Carturan, 12 marzo 1997;........................................................ par. 7.3; 12.6

56         -. Circolare EIMA, 31 marzo 1995, n.4;.............................................................................. par. 7.3; 13.1

57         -. Memoria dott. Catania, 1 marzo 1997;............................................................................ par. 7.3; 11.1

58         -. Ordinanza TAR Sardegna, 8 febbraio 1995;.................................................................. par. 7.4

59         -. Corte Costituzionale, 29 dicembre 1995 n.534;............................................................. par. 7.4

60         -. Corte Costituzionale, 28 dicembre 1995, n.520;............................................................ par. 7.4

61         -. Audizione dott. de Fabritiis, 10 settembre 1996;.......................................................... par. 7.7

62         -. Comm.ne Parlamentare d’Inchiesta AIMA;.................................................................. par. 7.7

63         -. Comm.ne Agricoltura Senato, 13 maggio 1995;............................................................ par. 7.7

64         -. Assemblea Senato, 17 maggio 1995;.............................................................................. par. 7.7

65         -. Seduta Comm.ne Agricoltura Camera, 9 novembre 1995;........................................... par. 7.7

66         -. Comm.ne Ministeriale d’Inchiesta AIMA, 12 maggio 1995;...................................... par. 7.7

67         -. Mozione On. Comino, 17 ottobre 1996;......................................................................... par. 7.7

67bis   -. Articolo di E. Comegna su “L’Informatore Agrario”;................................................. par. 7.7

68         -. Nota Min.Pinto al Com/do C.C. MiRAAF;................................................................... par. 7.7

69         -. Nota CC. Tutela Norme Comunitarie e Agroalimentari, (19.12..96);.......................... par. 7.7

70         -. Parere Comm.ne UE, 20 maggio 1996;............................................................................ par. 7.9; 8.4; 11.2; 11.3

71         -. Decreto MiRAAF, 12 febbraio 1995;............................................................................. par. 7.10

72         -. Circolare AIMA, 23 dicembre 1996, n.973;.................................................................... par. 7.11

73         -. Nota AIA, 12 marzo 1997;................................................................................................ par. 8.1; 9.2

74         -. Nota AIA, 8 aprile 1997 n.305;........................................................................................ par. 8.1

75         -. Risposte Regioni a Comm.ne d’Inchiesta quote latte;................................................ par. 8.2; 10.1

76         -. Parere Cons. di Stato, 1 ottobre 1993, n.256;................................................................ par. 8.2

77         -. Decreto MiRAAF, 27 dicembre 1994, n.762;................................................................. par. 8.3; 11.2; 12.5

78         -. Nota Comm.ne UE, 9 marzo 1995;................................................................................... par. 8.4; 11.2; 11.3

79         -. Nota MiRAAF, 4 maggio 1995, n.E/13/85;.................................................................... par. 8.4; 11.2; 11.3

80         -. Nota UNALAT, 3 novembre 1991;................................................................................. par. 9.1; 13.2

81         -. Circolare UNALAT, 10 novembre 1992, n.7770;.......................................................... par. 9.1

82         -. Audizione dott. Possagno, 27 febbraio 1997;............................................................... par. 9.1; 9.2

83         -. Audizione dott. Nanni, 6 marzo 1997;............................................................................ par. 9.1

84         -. Estratto atti P.G.;............................................................................................................... par. 9.1; 9.4

85         -. Delibera commissariale EIMA, 22 marzo 1995;............................................................. par. 9.1; 9.4

86         -. Nota AIA, 8 settembre 1986, n.6740;............................................................................. par. 9.2

87         -. Nota MAF, 3 luglio 1986, n.11477;................................................................................. par. 9.2

88         -. Nota AIA, 23 dicembre 1986, n.9216;............................................................................. par. 9.2

89         -. Nota MAF, 13 maggio 1987, n.12942; ........................................................................... par. 9.2

90         -. Audizione dott. Venino, 11 marzo 1997;........................................................................ par. 9.2; 9.3 

91         -. Documento Venino-Bussi;.............................................................................................. par. 9.2

91bis   - Dati AIA 1983 allevatori con 1 o 2 capi;........................................................................ par. 9.2

92         -. Relazione AIA, 8 agosto 1988;....................................................................................... par. 9.2

92bis   - Nota AIA, 23 giungo 1987;.............................................................................................. par. 9.2

93         -. Audizione dott. Micolini, 11 marzo 1997;...................................................................... par. 9.3; 9.4

94         -. Nota UNALAT, 18 dicembre 1987, n.8661/87;.............................................................. par. 9.3

95         -. Corte Giustizia Comunità Europee, 5 dicembre 1996;.................................................. par. 9.3

96         -. Risposte ASL di Putignano, Caserta e Aversa;........................................................... par. 9.3

97         -. Comunicazione dott. G. Ciotti (MAF), 11 febbraio 1997;............................................ par. 9.3

97bis   - Nota MiRAAF, 9 aprile 1997;.......................................................................................... par. 9.3

98         -. Nota Commissione Europea, 1° luglio 1994, n.97;........................................................ par. 9.4

99         -. Nota Cons. Corte Conti Uff. Spec. c/o AIMA a Comm. Gov. 10.4.97;...................... par. 9.4

100       -. Nota Commissione Europea, 30 agosto 1993;.............................................................. par. 9.4

101       -. Nota consulente Comm. Parlamentare Inchiesta sull’AIMA;.................................... par. 9.4

102       -. Convenzione AIMA-CSIA, 19 novembre 1996;........................................................... par. 9.4

103       -. Delibera commissariale EIMA, 9 maggio 1995;............................................................ par. 9.4

104       -. Nota Collegio Revisori dei conti AIMA;...................................................................... par. 9.4

105       -. Tabulato comparazione resa produttiva;...................................................................... par. 9.5

106       -. Nota AIA, 4 marzo 1997;.................................................................................................. par. 9.5

107       -. Risposte ASL impossibilitate effettuare controlli;....................................................... par. 9.5

108       -. Comparazione dati aggregati per denominazione e comune;..................................... par. 9.5

109       -. Codici fiscali e partite IVA mancanti (bollettino 2/95-96);.......................................... par. 9.6

110       -. Codici fiscali duplicati (bollettini 2/95-96 e 1/97-98);................................................... par. 9.6

111       -. Partite IVA duplicate (bollettini 2/95-96 e 1/97-98);..................................................... par. 9.6

112       -. Riepilogo regionale acquirenti da produttori fuori Regione;..................................... par. 9.6

113       -. Rapporto G. di  F. dell’8 aprile 1997;.............................................................................. par. 9.6

114       -. Controlli incrociati anagrafe tributaria;.......................................................................... par. 9.6

115       -. Documento presentato dal consulente della Regione Marche;................................ par. 9.7; 14.1

116       -. Nota Regione Basilicata, 19 marzo 1997; n.2607;......................................................... par. 10.1

117       -. Nota Comunità Europea, 6 dicembre 1996;................................................................... par. 10.1

117bis - Posizione P. Leoni;............................................................................................................ par. 10.1                                                                                                  

118       -. Nota MiRAAF, 2 marzo 1995, n.31014;.......................................................................... par. 10.2

119       -. Nota UNALAT, 16 ottobre 1990;................................................................................... par. 11.1

120       -. Nota AIMA, 11 aprile 1997;............................................................................................ par. 11.2

121       -. Ordinanza Giud. Tribunale di Bologna, 22 dicembre 1996;......................................... par. 11.4

122       -. Ordinanza Tribunale Bologna, 24 gennaio 1997;......................................................... par. 11.4

123       -. Nota Legras, 23 agosto 1993;.......................................................................................... par. 11.4

124       -. Nota  Unione Europea, 3 novembre 1993;..................................................................... par. 11.4

125       -. Nota Steichen, 7 dicembre 1994;..................................................................................... par. 11.4; 12.6

126       -. Nota MiRAAF, 31 marzo 1994;....................................................................................... par. 11.4

127       -. Conclusioni avv. gen. Mayras;...................................................................................... par. 11.4

128       -. Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, n.5/88;....................................................................... par. 12.1

129       -. Dairy Produce Quotas Regulations, 1994;.................................................................... par. 12.3

130       -. Circolare MiRAAF, 29 ottobre 1993, n.16;.................................................................... par. 12.3

131       -. Contratti fac-simile vendita ed affitto quota;................................................................ par. 12.3

132       -. Contratto fac-simile comodato di stalla;........................................................................ par. 12.5

133       -. Nota Regione Lombardia, 24 marzo 1997,...................................................................... par. 12.5

134       -. Verbale G. di F. Oristano, 17 aprile 1997;....................................................................... par. 12.5

135       -. Verbale G. di F. Iglesias, 17 aprile 1997;......................................................................... par. 12.5

136       -. Verbale G. di F. Cremona, 17 aprile 1997;....................................................................... par. 12.5

137       -. Commissione UE, visita ispettiva, 14 novembre 1994;................................................ par. 12.6

138       -. Nota EIMA a MiRAAF, 10 marzo 1995;........................................................................ par. 12.6

139       -. Dichiarazione del sig. Castellini a questa Commissione;............................................ par. 13.1

140       -. Nota Presidenza Cons. Ministri, 25 ottobre 1989, n. 200/4884;.................................. par. 13.2; 14.1

141       -. Articolo Corriere della Sera, 29 gennaio 1997;.............................................................. par. 14.1

142       -. Fatti di false attestazioni;................................................................................................. par. 14.1

143       -. Casi di iscrizione di stessi allevatori in due distinte APL;.......................................... par. 14.1

144       -. Sequestri G. di  F. e NAS;................................................................................................ par. 14.1

145       -. Sequestro burro ecc. da paesi Est.;................................................................................ par. 14.1

146       -. Questione europarlamentari inglesi del 9.6.93, e risposta Steichen;......................... par. 15.1

147       -. Relazione FEOGA sul regime prelievo latte 1984-90;................................................... par. 16.2

148       - “Simulazione” CSIA, 19 aprile 1997;............................................................................... par. 16.2

149       -. TAR Veneto, 5 febbraio 1996 n.137;.............................................................................. par. 16.5

150       -. Esempi “estratti conto” allegati ai bollettini;................................................................ par. 16.5

151       -. Nota AIMA a Commissario Governo, 24 settembre 1996;.......................................... par. 16.7

152       -. Nota AIMA a Ministro Risorse Agricole, Alimentari e Forestali;............................ par. 16.7

153       -. “Simulazione” CSIA compensazione per APL (Boll. 2/95-96);................................... par. 16.7

154       -. “Simulazione” CSIA compensazione a livello regionale (Boll. 2/95-96);.................. par. 16.7

155       -. Nota CSIA con elenco APL, 21 aprile 1997;................................................................. par. 16.7

156       -. Nota Commissione a tutte le APL italiane, 22 aprile 1997;.......................................... par. 16.7

157       -. Aziende zootecniche “senza capi”: nota CSIA 18 aprile 1997................................... par. 16.8

158       -. Relazione. Commissione Parlamentare  d’Inchiesta  sul  fenomeno Mafia.............. par. 16.9

159       -. Risposte ASL e supporti magnetici;.............................................................................. par. 16.2

160       -. Supporti magnetici AIA (censimento AIA + 1995-96);............................................... par. 16.2

161       -. Volume  “Quote latte: vincolo o strumento di gestione?”.......................................... par. 17.2

162       -. Milch Garantiemengen Verordnung, 21 marzo 1994.................................................... par. 17.2

163       -. Modifica del Regolamento tedesco sulle quantità garantite del latte; .................... par. 17.2

164       -. Codici fiscali o partite IVA errati (Bollettino 1/1997-98);............................................ par. 9.6

165       -. Codici fiscali o partite IVA errati (Bollettino 2/1995-96);............................................ par. 9.6

166       -. Casi di omonimia (bollettino 2/95-96);........................................................................... par. 9.6

167       -. Bollettino n.5 (1995-96).

 

I supporti magnetici di cui agli allegati 159 e 160 sono custoditi presso il Centro Elaborazione Dati del Comando Generale della Guardia Finanza.